="reference" title="^ Gianni Oliva, Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria, Mondadori, Milano, 2003, ISBN 88-0448978-2, pag. 4 ">[1]
in
Venezia Giulia e
Dalmazia.
Tali eccidi furono per lo più compiuti dall'Armata
popolare di liberazione della Iugoslavia, fiancheggiata dall'OZNA
e dagli stessi partigiani italiani.[2]
Negli eccidi furono coinvolti prevalentemente cittadini italiani di etnia
italiana e in misura minore e con diverse motivazioni, anche cittadini
italiani di nazionalità
slovena
e croata.
Il nome deriva dagli
inghiottitoi di natura
carsica dove furono gettati e, successivamente,
rinvenuti i cadaveri di centinaia vittime e che localmente sono
chiamati "foibe". Per
estensione i termini "foibe" e il neologismo "infoibare" sono in
seguito diventati sinonimi degli eccidi, che furono in realtà perpetrati
con diverse modalità.[3]
Nonostante la ricerca accademica abbia ormai ampiamente chiarito gli
avvenimenti, nell'opinione pubblica italiana il tema delle foibe continua
a generare polemiche, incentrate sulle responsabilità che fascismo e
comunismo hanno avuto nella vicenda.
Inquadramento
storico
Con l'ascesa del
nazionalismo in Europa, a seguito dell'epoca
napoleonica, si sviluppa il concetto di "popolo", inteso come una
comunità cementata da una comune razza, religione, lingua e cultura, e
avente il diritto a formare il proprio stato. Man mano che le singole
popolazioni si identificavano in specifiche nazioni (che inizialmente - in
molti casi - erano indefinite e controverse), si vennero a creare diverse
occasioni di conflitto. Ad esempio quando una nazione rivendicava
territori abitati da propri connazionali e posti al di furori dei confini
del proprio stato. Oppure quando specifiche
minoranze etniche cercavano la secessione da uno stato, sia per
formare una nazione indipendente, sia per unirsi a quella che
consideravano la nazione madre. Una terza fonte di conflitto fu provocata
dal tentativo di molte nazioni di
assimilare od
espellere minoranze etniche dal proprio stato, considerandole realtà
estranee o un pericolo per la propria integrità territoriale.
La composizione etnica di Venezia Giulia e Dalmazia
Prima del
XIX
secolo, in
Venezia Giulia e
Dalmazia,
avevano convissuto popolazioni di lingua
romanza e
slava, che non avevano fra di loro tensioni dovute ad ancor
inesistenti concetti di
nazionalità (le diverse
etnie,
viceversa, erano in larga misura mischiate).[4]
Vi era una differenza di carattere linguistico-culturale fra la società
urbana e marittima (prevalentemente romanzo-italica) e quella rurale e
montana (per lo più slava o slavizzata). Nell'entroterra montano erano
presenti inoltre comunità
morlacche di origine illiro-romana che si slavizzarono
progressivamente. Le classi elevate (aristocrazia e borghesia) erano
dovunque di lingua e cultura italiana, anche se di origine slava.
Gli opposti
nazionalismi
Fu solo con l'imporsi del concetto di
stato nazionale, a seguito dell'epoca
napoleonica, che istriani e dalmati (a partire dalle loro classi
borghesi) cominciarono a identificarsi nelle moderne nazionalità: nel
presente caso italiana, slovena, serba e croata. Ciascuna delle fazioni
cominciò di conseguenza a lottare per riunire le "proprie terre" alle
rispettive "madrepatrie".[5]
Si originò così quella contrapposizione etnica che fu la causa remota
dei massacri delle foibe. È bene ricordare che simili tensioni sono
caratteristiche di diverse zone ad etnia mista e ancor oggi possono
sfociare in episodi violenti (come in
Irlanda del Nord, nei
Paesi Baschi o nell'ex-Iugoslavia).
Il sorgere dell'irredentismo
italiano portò il governo
asburgico a favorire il nascente nazionalismo di sloveni
[6] e croati, nazionalità ritenute più leali ed affidabili
rispetto agli italiani.[6]
Si intendeva così contrastare non solo le ben organizzate comunità
cittadine italiane ma anche l'espansionismo serbo, che mirava ad unificare
tutti gli slavi del sud. Di conseguenza in Dalmazia si verificò una
costante diminuzione della popolazione italiana, in un contesto di
repressione e violenza[7].
Nella Venezia Giulia il
decremento della componente italiana fu molto più contenuto.
Le tensioni fra le diverse nazionalità, pertanto, non traggono la
propria origine dall'avvento delle politiche nazionalistiche e di
repressione dell'elemento slavo applicate del fascismo, anche se il
fascismo acuì i contrasti fino alla degenerazione della situazione[6][8].
Le tesi
del nazionalismo croato
|
« La
nazionalità italiana in Dalmazia è una parola vuota di senso, trovata
dall'interesse, dall'impostura. Alcuni superstiti dei vecchi despoti
sognano una nazionalità italiana in Dalmazia, e per il colmo
dell'assurdo parlano anche di civiltà italiana. Tutto ciò mira
all'interesse di pochi individui e all'oppressione di tutti i Dalmati.
(...) Il giornalismo italiano badi prima di dichiararsi protettore dei
pseudoitaliani della Dalmazia (...). Un italiano non può, non deve
alzar la voce per difendere i despoti, poiché prima deve rinunziare
alla vera gloria italiana, ch'è la lotta per la libertà; dovrebbe
cancellare tutta la sublime epopea dell'italiano risorgimento, per
dichiararsi amico degli italiani dalmati. » |
|
|
|
« Nessuna
gioia, solo dolore e pianto, dà l'appartenere al partito italiano in
Dalmazia. A noi,
italiani della Dalmazia, non rimane che un solo diritto, quello di
soffrire. » |
|
( Antonio
Bajamonti, Discorso inaugurale della Società Politica Dalmata,
Spalato 1886)
|
Nell'ambito dei succitati conflitti nazionali nacque fra i croati
l'idea che Istria, Fiume e Dalmazia fossero parte integrante del loro
territorio nazionale fin dall'alto
medioevo. Non si riconosceva la presenza di comunità italiane
autoctone né in Dalmazia, né a Fiume (e solo parzialmente in Istria).
Tali comunità venivano considerate una realtà estranea (come i
pieds noirs in Algeria e i russi nelle repubbliche baltiche e in
Moldova), frutto di "invasioni straniere" che avevano italianizzato parte
delle popolazione croata originaria. Gli italiani "veri" dovevano quindi
essere espulsi, mentre i "croati italianizzati" dovevano essere riportati
alla loro condizione originaria, anche prescindendo dalla loro volontà.
Questa retorica nazionalista fornì una giustificazione morale agli
avvenimenti.
Grande Guerra e annessione all'Italia
L'Italia accettò di entrare nella
Grande Guerra a fianco della
Triplice Intesa in base ai termini del
Patto di Londra, che garantiva all'Italia il possesso dell'intera
Istria,
di Trieste
e della
Dalmazia settentrionale - incluse le isole. La città di
Fiume, a maggioranza italiana e corpus separatum del Regno
d'Ungheria, sarebbe stata attribuita a un'eventuale Croazia indipendente o
all'Austria-Ungheria
nel caso in cui non si fosse dissolta. In ogni caso, il trattato prevedeva
la neutralizzazione di Fiume e di tutte le parti di costa dalmata non
attribuite all'Italia. Al termine delle guerra, con i
trattati di Saint Germain e di
Rapallo, l'Italia ottenne solo parte di ciò che le era stato promesso:
le fu infatti negata la Dalmazia (dove ottenne solo la città di
Zara e alcune isole). Rimase aperta la
questione di Fiume: la città fu rivendicata dall'Italia sulla base
dello stesso principio dell'autodeterminazione che aveva fatto assegnare
al Regno iugoslavo le terre dalmate promesse all'Italia con il Patto di
Londra. L'annessione all'Italia avvenne nel 1924.
I territori annessi erano abitati da consistenti minoranze slovene e
croate, i cui diritti fondamentali furono, pur con alcune limitazioni,
rispettati dal Regno d'Italia. Si verificarono, tuttavia, scontri
organizzati da nazionalisti e dal nascente fascismo, che proprio in
Venezia Giulia condusse alcune delle sue azioni più violente (il
cosiddetto "fascismo di frontiera").
Violenze analoghe avvennero contro gli italiani di Dalmazia rimasti
sotto l'amministrazione iugoslava, come i noti
Incidenti di Spalato in cui persero la vita due militari italiani.
Mentre l'episodio più noto avvenuto in Italia, fu l'incendio del
Narodni dom ("Casa nazionale slovena") di Trieste. Infatti l'uccisione
di un militante fascista, da parte di uno sloveno[10]
durante un comizio tenuto da
Francesco Giunta, scatenò la ritorsione degli
squadristi che direttisi presso il
Narodni dom furono fatti bersaglio di colpi di fucile e di bombe a
mano, secondo altre fonti le scariche di fucile partirono invece dai
manifestanti. In seguito alla sparatoria all'edificio fu appiccato il
fuoco che lo distrusse completamente. Secondo alcune fonti il rapido
propagarsi dell'incendio con numerosi scoppi fu favorito dal fatto che gli
slavi celavano all'interno del Narodni un arsenale di esplosivi ed armi.[11].
L'incidente del Narodni Dom assunse a posteriori un forte significato
simbolico, in quanto fu presentato come l'inizio delle violenze a danno
degli slavi della Venezia Giulia.
L'italianizzazione fascista
|
« Di
fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve
seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. [...]
I confini dell'Italia devono essere il
Brennero, il
Nevoso e le
Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi
barbari a 50.000 italiani » |
|
|
La situazione degli slavi si deteriorò con l'avvento al potere del
fascismo,
nel 1922. Fu
gradualmente introdotta in tutta Italia una politica di
assimilazione delle minoranze etniche e nazionali, che prevedeva l'italianizzazione
di nomi e toponimi, la
chiusura delle scuole slovene e croate e il divieto dell'uso della
lingua straniera in pubblico. Simili politiche di
assimilazione forzata erano all'epoca assai comuni, ed erano
applicate, fra gli altri, anche da paesi democratici (come
Francia[13]
e
Regno Unito). Da notare che furono adottate dalla stessa Jugoslavia,
dove si verificarono anche episodi di repressione violenta.[14]
L'azione del governo fascista annullò l'autonomia culturale e
linguistica di cui le popolazioni slave avevano ampiamente goduto durante
la dominazione asburgica e esasperò i sentimenti di inimicizia nei
confronti dell'Italia.
Le società segrete irredentiste slave, preesistenti allo scoppio della
Grande Guerra, si fusero in gruppi più grandi, a carattere
nazionalista e comunista, come la
Borba e il
TIGR, che si resero responsabili di numerosi attacchi a militari,
civili e infrastrutture italiane.
Alcuni elementi di queste società segrete furono catturati dalla
polizia italiana e condannati a morte dal tribunale speciale per
terrorismo dinamitardo.
Anche la residua
minoranza italiana in Dalmazia subì delle crescenti vessazioni,
nonostante la
Convenzione di Nettuno del 1925 ne avesse regolato la condizione.
L'invasione della Iugoslavia
La spartizione della Iugoslavia.
Nell'aprile del 1941 l'Italia partecipò all'attacco
dell'Asse contro la Iugoslavia. La Iugoslavia fu smembrata e parte dei
suoi territori furono annessi dagli stati invasori. Col
trattato di Roma l'Italia annesse una gran parte della Slovenia, la
Dalmazia settentrionale e le Bocche di Cattaro. Inoltre occupò tutta
la fascia costiera della ex-Iugoslavia, con un ampio entroterra.
In Slovenia fu costituita la
provincia di Lubiana, dove, a fini politici ed in contrapposizione con
i tedeschi, si progettò, senza successo, di instaurare un'amministrazione
rispettosa delle peculiarità locali[15].
In Dalmazia fu invece instaurata una politica di italianizzazione forzata,
spesso ottusa e maldestra.
La Croazia fu dichiarata indipendente col nome di
Stato Indipendente di Croazia, il cui governo fu affidato al partito
ultranazionalista degli
ustascia,
con a capo
Ante Pavelić.
Il fronte iugoslavo
La situazione, in tutta la Iugoslavia, degenerò ben presto in una
feroce guerriglia, che vide da un lato la resistenza contro gli eserciti
invasori e quelli collaborazionisti, e dall'altro la lotta fra le diverse
fazioni etniche e politiche in cui si frammentò la resistenza iugoslava.
Numerosi
crimini di guerra furono commessi da tutte le parti in causa.
[16]
Nello
Stato Indipendente di Croazia, il regime
ustascia
scatenò una feroce ed
orrenda pulizia etnica nei confronti dei
serbi,
nonchè di
zingari ed
ebrei. Contro il regime ustascia e contro gli occupanti, presero le
armi i partigiani di
Tito, plurietnici e comunisti, e i
cetnici,
monarchici e a prevalenza serba.
[17]
Comunisti e cetnici perpetrarono a loro volta crimini contro la
popolazione civile croata che appoggiava il regime ustascia e si
combatterono reciprocamente.
Nella
Provincia di Lubiana tramontò il tentativo di instaurare un regime di
occupazione morbido. La repressione italiana fu dura e in molti casi
furono commessi
crimini di guerra. Furono, fra l'altro, istituiti campi di
concentramento, fra i quali si ricordano quelli di
Arbe e di
Gonars. Anche nella Dalmazia (italiana e croata) si innescò , fin
dalla fine del
1941, una spaventosa e crudele guerra civile, che raggiunse livelli di
massacro dopo l'estate
1942.
A causa dell'annessione della Dalmazia costiera al
Regno d'Italia, cominciarono, inoltre, a crescere le tensioni tra il
regime
ustascia e le forze d'occupazione italiane. Venne perciò a formarsi, a
partire dal 1942,
un'alleanza tattica tra le forze italiane e i vari gruppi cetnici. Gli
italiani incorporarono i cetnici nella
Milizia volontaria anticomunista (MVAC) per combattere la resistenza
titoista, provocando fortissime tensioni con il regime
ustascia.
Gli eccidi
1943: armistizio e prime esecuzioni
4 novembre 1943: accanto alla foiba di Terli vengono ricomposti i
corpi di Albina Radecchi (A), Caterina Radecchi (B), Fosca Radecchi
(C) e Amalia Ardossi (D)
L'8
settembre
1943 con l'armistizio
tra Italia e
Alleati,
si verifica il collasso del
Regio Esercito.
Fin dal 9 settembre le truppe tedesche assunsero il controllo di
Trieste e successivamente di Pola e di Fiume, lasciando momentanemente
sguarnito il resto della Venezia Giulia. I partigiani occuparono quindi
buona parte della regione, mantenendo le proprie posizioni per circa un
mese. Il 13 settembre 1943, a
Pisino
venne proclamata unilateralmente l'annessione dell'Istria alla Croazia, da
parte del Consiglio di liberazione croato per l'Istria.[18]
Il 29 settembre 1943 venne istituito il Comitato esecutivo provvisorio di
liberazione dell'Istria.
Improvvisati tribunali, che rispondevano ai partigiani dei Comitati
popolari di liberazione emisero centinaia di condanne a morte. Le vittime
furono non solo rappresentanti del regime fascista e dello Stato italiano,
oppositori politici, ma anche semplici personaggi in vista della comunità
italiana e potenziali nemici del futuro Stato comunista jugoslavo che
s'intendeva creare.[19]
A Rovigno il Comitato rivoluzionario compilò una lista contenente i nomi
dei fascisti, ma anche di persone estranee al partito ma rappresentanti lo
stato italiano, i quali vennero arrestati e condotti a
Pisino.
In tale località furono condannati e giustiziati assieme ad altri fascisti
italiani e croati. La maggioranza dei condannati fu scaraventata nelle
foibe o nelle miniere di bauxite, alcuni mentre erano ancora in vita.[20]
Secondo le stime più attendibili, le vittime del periodo
settembre-ottobre 1943 nella Venezia Giulia, si aggirano sulle 600-800
persone. Alcune delle uccisioni sono rimaste impresse nella memoria comune
dei cittadini per la loro efferatezza: tra queste sono
Norma Cossetto, don
Angelo Tarticchio, le tre
sorelle Radecchi. Norma Cossetto ha ricevuto il riconoscimento della
medaglia d'oro al valor civile.
L'armistizio
in Dalmazia
Il
10 settembre, mentre Zara veniva presidiata dai tedeschi, a
Spalato
ed in altri centri dalmati entravano i partigiani. Vi rimasero sino al
26 settembre, sostenendo una battaglia difensiva per impedire la presa
della città da parte dei tedeschi. Mentre si svolgevano quei 16 giorni di
lotta, fra Spalato e
Traù i
partigiani soppressero 134 italiani, compresi agenti di pubblica
sicurezza,
carabinieri, guardie carcerarie ed alcuni civili.
La
Dalmazia fu occupata militarmente dai tedeschi, mediante la famigerata
7ª SS-Gebirgsdivision "Prinz Eugen". La 77a divisione
fanteria italiana Bergamo, di stanza a
Spalato
e precedentemente impegnata per anni proprio nella lotta antipartigiana,
in quel frangente appoggiò in massima parte i partigiani e combatté in
condizioni psicologiche e materiali difficilissime contro le truppe
germaniche, fra le quali la sopra citata divisione
Prinz Eugen, nonostante l'atteggiamento aggressivo e poco
collaborativo dei partigiani titini. Dopo la capitolazione ordinata dal
comandante, generale Becuzzi, molti ufficiali italiani furono passati per
le armi, in quello che è noto come il
massacro di Trilj. La Dalmazia fu annessa allo Stato Indipendente di
Croazia. Tuttavia Zara, restò - seppur sotto il controllo tedesco - sotto
la sovranità della
RSI, fino alla occupazione jugoslava dell'ottobre 1944.
Link originale
Il testo è disponibile secondo la
licenza
Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo; possono
applicarsi condizioni ulteriori. Vedi le
condizioni d'uso per i dettagli.
Foibe, i massacri parte seconda
Foibe, i massacri parte terza
Foibe, i massacri parte quarta
Archivio Giornata del Ricordo delle Foibe
Glossario di TuttoTrading
|