Saddām Hussein Abd al-Majīd al-Tikrītī Hussein (arabo:صدام
حسين عبد المجيد التكريتي, Ṣaddām Ḥusayn ‘Abd al-Majīd al-Tikrītī
[1];
Tikrit, 28
aprile 1937 – Baghdad, 30
dicembre 2006)
è stato un
politico iracheno,
presidente e dittatore del suo paese dal
1979 al
2003, quando venne
destituito in seguito all'invasione anglo-americana in quella che è conosciuta
come la
seconda guerra del Golfo. La data di nascita è incerta[2].
È stato
giustiziato per
impiccagione il
30
dicembre 2006
in esecuzione di una sentenza di condanna a morte pronunziata da un tribunale
iracheno - confermata in appello - per
crimini contro l'umanità. La sua esecuzione ha destato scalpore e polemiche
in tutto il mondo
Primi anni
Immagini di diversi momenti di vita del rais
Saddam Hussein nacque nel villaggio di al-Awja, nel distretto iracheno di
Tikrīt, da una
famiglia di pastori di ovini. Il padre, Husayn Abd al-Majīd, sparì sei mesi
prima della sua nascita lasciando la madre, Ṣubḥa Tulfāh al-Mussallat, sola con
un figlio tredicenne malato e il nascituro Saddam in grembo. Dopo la morte del
figlio tredicenne, la madre cercò, in piena crisi
depressiva, un'altra famiglia in cui far crescere il neonato, trasferendolo
dallo zio
Khayr Allāh Tulfāh.
Dopo il nuovo matrimonio della madre con Ibrāhīm al-Ḥasan, che mise al mondo
altri suoi fratellastri, Saddam tornò a vivere con la madre ed il patrigno, la
cui rigidità fu motivo principale per cui all'età di dieci anni si trasferì
nuovamente a
Baghdad per vivere con lo zio, Khayr Allāh Tulfāh, padre della sua futura
sposa.
Si iscrisse al Partito
Ba'th (Partito della Risurrezione, di tendenze socialiste) e nel
1956, prese parte
al fallito tentativo di colpo di Stato contro Re
Faysal II. Il 14 luglio
1958, un gruppo
nazionalista non-baʿthista d'idee repubblicane, condotto dal Generale
Abd al-Karīm Qāsim (Abd el-Karim Kassem), abbatté la monarchia e uccise il
re e il
Primo Ministro
Nūrī Āl Sa‘īd. Nel
1959, dopo un tentativo fallito (pare finanziato dalla
CIA
[1]) di assassinare Kassem, Saddam Hussein fuggì in
Egitto
attraverso la Siria
ed il Libano e
fu condannato a morte in contumacia.
In Egitto
conseguì un titolo di studio nella Facoltà di legge dell'Università
del
Cairo.
Colpo di stato
Saddam Hussein tornò in Iraq a seguito del colpo di Stato militare del mese
di ramadan (8
febbraio 1963)
che aveva abbattuto e ucciso Qāsim, ma fu imprigionato nel
1964 a causa di un
nuovo mutamento al vertice dello Stato iracheno causato dalla morte violenta del
gen. ‘Abd al-Salām ʿĀref. Nel
1967 riuscì ad
evadere e nel 1968
contribuì al
colpo di Stato non violento realizzato dal partito Baʿth ai danni del
regime militare filo-nasseriano di ʿAbd al-Rahmān ʿĀref, fratello del precedente
Presidente iracheno.
Nel 1968 Saddam ottenne anche la laurea in giurisprudenza conferitagli
dall'università di
Baghdad.
A partire da quell'anno Saddam Hussein rivestì il ruolo di vicepresidente del
Consiglio del Comando Rivoluzionario; nel
1973 fu promosso al
grado di Generale dell'esercito iracheno, malgrado facesse parte dell'ala
cosiddetta "civile" del partito Baʿth.
Nel 1979 il
Presidente della Repubblica
Ahmad Hasan Al Bakr annunciò il suo ritiro e Saddam Hussein - imparentato
con Āl Bakr - lo sostituì nella carica.
Dittatura
Secolarizzazione
Il partito Baath aveva un programma progressista e socialista che
puntava alla modernizzazione e secolarizzazione dell'Iraq.
Saddam Hussein si attenne alla linea del suo partito e proseguì le riforme
modernizzatrici iniziate dai suoi predecessori, completando riforme quali la
concessione alle donne di diritti pari a quelli degli uomini, l'introduzione di
un codice civile modellato su quelli dei paesi occidentali (che sostituì la
Sharīʿa) e la
creazione di un apparato giudiziario laico (che comportò l'abolizione delle
corti islamiche,
anche se alcuni sostengono che vennero conservate per casi particolari).
Dopo essere stato incaricato di sovrintendere alla nazionalizzazione
dell'industria
petrolifera irachena (1972),
Saddam utilizzò una parte consistente dei profitti petroliferi per programmi di
welfare (istruzione gratuita ed obbligatoria; sanità pubblica gratuita) o
per modernizzare le infrastrutture e l'economia dell'Iraq, ad es. portando
l'elettricità in tutto il Paese.
Guerra contro l'Iran
Tuttavia gran parte dei proventi petroliferi andarono negli apparati di
sicurezza iracheni (responsabili di reprimere ogni opposizione interna) e
nell'esercito. Saddam desiderava ottenere la leadership dell'area
vicino-orientale, il che lo pose in conflitto con l'Iran
dove nel 1979 era
salito al potere l'ayatollah
Khomeyni (1900
- 1989), cacciando
dal trono lo scià
Mohammad Reza Pahlavi (1919
- 1980).
Entrambi gli Stati ambivano a un ruolo egemonico nell'area del Golfo Persico
e del Vicino Oriente. Prendendo a pretesto la questione delle frontiere fra i
due Paesi (specie la discussa linea di confine che correva nello
Shatt al-Arab, fino ad allora regolamentata dall'accordo bilaterale di
Algeri) l'Iraq
attuò una serie di misure contro l'Iran, tra cui l'espulsione di 30.000 iracheni
di origine iraniana. La crescente tensione sfociò in in conflitto armato: l'Iraq
attaccò l'Iran nel 1980
in quella che fu allora definita la "Guerra del Golfo" (oggi più nota come
guerra Iran-Iraq), durata dal
1980 al
1988, anche se solo
nel 1990 le
operazioni belliche cessarono del tutto.
L'Iraq fu
appoggiato sia dagli
Stati Uniti - perché Khomeyni era loro notoriamente avverso - sia, ma solo
parzialmente, dall'URSS
che preferiva un governo laico a uno di matrice islamica. Le truppe irachene nel
periodo 1980 -
1986 avanzarono
celermente nel territorio iraniano grazie agli aiuti militari ricevuti e a una
discreta assistenza degli
USA
che permisero all'Iraq
di usufruire delle fotografie del teatro bellico prese dai loro satelliti
militari, ma dal 1986
l'Iran riuscì a organizzare un'accanita resistenza richiamando gli Iraniani ai
loro più profondi sentimenti patriottici contro quello che ritenevano un
aggressore. Gli iracheni nel
1988 furono
ricacciati quasi interamente dal territorio iraniano anche se il restante
territorio occupato fu sgomberato solo dopo la fine del conflitto, a seguito di
appositi accordi bilaterali.
I due paesi si fronteggiarono per 8 anni: l'Iraq
poteva contare su armi tecnologicamente superiori, alle quali pero' l'Iran
rispondeva con un superiore numero di soldati, che andavano all'attacco dei
carri armati nemici in vere e proprie azioni suicide. Furono impiegati anche
armi chimiche contro la fanteria iraniana, sprovvista di maschere antigas.
Saddam Hussein accettò una tregua e la pace fu stipulata nel
1990, anno in cui
entrambi i paesi erano ormai stremati per la lunghissima guerra.
Saddam non rinunciò però a svolgere un ruolo egemonico nella regione e,
riprendendo le mai accantonate pretese di sovranità irachena sul territorio
dell'emirato, nell'agosto
1990 invase il
Kuwait, che si
arrese rapidamente.
È possibile che alcune allusioni dell'ambasciatrice statunitense in
Iraq avessero
convinto Saddam che gli
Stati Uniti non sarebbero venuti in aiuto dell'Emirato.
In realtà le Nazioni Unite si affrettarono a condannare l'aggressione mentre
il presidente degli
Stati Uniti d'America
George Bush veniva autorizzato dal
Congresso degli Stati Uniti ad utilizzare la forza militare contro le truppe
irachene in Kuwait.
L'ONU
impose all'Iraq il
15 gennaio
come data ultima per il ritiro, dopodiché autorizzava i suoi membri ad
utilizzare ogni mezzo possibile per cacciare dall'emirato le truppe di Saddam.
Dopo mesi di negoziati infruttuosi, il
16 gennaio
una coalizione guidata dagli
Stati Uniti (della coalizione facevano parte, fra gli altri,
Gran
Bretagna,
Francia, Egitto,
Siria,
Arabia Saudita,
Italia, Canada)
cominciò una devastante campagna aerea contro l'Iraq
e le truppe irachene nel
Kuwait.
Il ra‘īs rispose lanciando missili balistici Scud-B contro città
israeliane e
saudite; tuttavia
Israele, che non faceva parte della coalizione, non entrò nel conflitto per
esplicita richiesta dell'ONU
e degli
USA
(azioni israeliane avrebbero provocato l'uscita dei Paesi arabi dalla coalizione
e forse anche un allargamento del conflitto). Dopo quattro settimane di
bombardamenti, cominciò la fase terrestre della campagna Desert Storm:
unità arabe e dei Marines sfondarono le difese irachene nel sud del
Kuwait e
liberarono la capitale dopo cento ore di battaglia, mentre divisioni corazzate
americane penetrarono in
Iraq da occidente
ed effettuarono una manovra a tenaglia che impedì all'esercito e alla Guardia
Repubblicana irachena di ripiegare verso
Baghdad.
Delle 40 divisioni presenti in
Kuwait, solo 4
se ne salvarono dall'accerchiamento ed erano divisioni della Guardia
Repubblicana, l'élite delle forze armate irachene. L'offensiva venne sospesa il
2 marzo a
soli 60 km da
Baghdad perché
George H. W. Bush si rese conto della pericolosità di un vuoto di potere in
Iraq (la successiva
invasione del 2003 ha dimostrato la validità di questo timore). Mentre in
Iraq infuriavano le
rivolte della popolazione
sciita nel sud, e di quella
curda nel nord,
il 3 marzo
1991 fu firmato a
Ṣafwān un armistizio tra i generali alleati e iracheni che sanciva di fatto la
fine della guerra.
Questo armistizio consentì al regime di domare le insurrezioni e di riprendere
il controllo del Paese.
Ciononostante, l'Iraq
uscì molto indebolito dalla guerra: le strutture militari e governative erano
devastate dai bombardamenti, buona parte dell'esercito era stata distrutta e si
stima che le perdite irachene (civili e militari) superassero i 100.000 morti;
invece le perdite della coalizione erano state molto ridotte (circa 230 morti).
Azioni politiche
Saddam è sopravvissuto a numerosi colpi di Stato, tentativi di assassinio e
complotti.
Il
1 giugno 1972,
portò a compimento il processo di nazionalizzazione delle compagnie petrolifere
occidentali che avevano il monopolio sul
petrolio
iracheno. Saddam favorì la modernizzazione dell'economia irachena, affrettando
la costruzione di industrie e seguendone il loro sviluppo. Supervisionò anche la
modernizzazione dell'agricoltura conseguita con una massiccia meccanizzazione
agricola e corroborata da un'ampia distribuzione di terre ai contadini.
Favorì una rivoluzione globale delle industrie energetiche, così come lo
sviluppo dei servizi pubblici, dal trasporto all'educazione. Avviò e perfezionò
una campagna nazionale per lo sradicamento dell'analfabetismo e a favore
dell'istruzione obbligatoria gratuita.
Nel novembre del
2000 Saddam iniziò a richiedere che il
petrolio
iracheno fosse pagato in euro anziché in
dollari, forse perché gran parte delle importazioni irachene avvenivano dai
paesi europei, ma più probabilmente per tentare di indebolire la moneta
statunitense: infatti secondo alcuni la domanda di dollari sarebbe dovuta
soprattutto alla compravendita del greggio in quella valuta, il che sosterrebbe
il suo
cambio, proteggendolo dalla
svalutazione; secondo costoro l'invasione
statunitense del 2003 può essere interpretata anche come uno scontro fra
petro-dollaro e petro-euro.
L'embargo
proclamato dalle
Nazioni Unite a seguito della guerra ha pesato fortemente sull'economia
irachena, vista la difficoltà per l'apposito Ufficio dell'ONU
incaricato di vagliare la rilevanza militare di ogni componente elettronico e ad
alto contenuto tecnologico la cui importazione veniva sollecitata dall'Iraq
e che, tra l'altro, ha a lungo impedito al Paese di sfruttare appieno la sua
potenzialità energetica e idrica che in forte misura dipendevano proprio da un
corretto impiego e da un'utilizzazione appropriata di tali apparecchiature.
Il degrado dell'efficienza industriale fu notevole e di questo pagò le
conseguenze la popolazione civile, anche se la componente militare del regime
iracheno fu messa al riparo col massimo dell'impegno possibile.
Nel 1996 il
parlamento iracheno ha accettato un piano del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che autorizzava la vendita di
quantità limitate di petrolio per far fronte alle necessità primarie alimentari
e farmaceutiche del Paese (cosiddetto piano
Oil for
food ovvero petrolio in cambio di cibo).
In base ai rapporti ufficiali, la popolarità di Saddam Hussein sarebbe
rimasta anche in tali momenti molto alta tra la popolazione irachena che veniva
convinta dagli strumenti della propaganda del regime che le difficoltà patite
scaturivano dalle decisioni vessatorie assunte dalle
Nazioni Unite. Nel
2002 un referendum, che chiedeva la riconferma di Saddam Hussein come leader
dello Stato iracheno, ottenne il 100% di voti favorevoli. D'altra parte, Saddam
era l'unico candidato e il voto era obbligatorio.
Saddam aveva tre figlie e due figli,
ʿUdayy Saddam Hussein e
Qusayy Hussein, entrambi uccisi a
Mossul dai
militari statunitensi in
Iraq: il
figlioletto quattordicenne di quest'ultimo, Muṣṭafà, fu anch'esso ucciso nel
raid di Mossul, con un accanimento - il ragazzo era già ferito e si nascondeva
sotto un letto - inspiegato dalle ancora oscure modalità dell'operazione
militare, ammesso che queste possano giustificare la messa in conto di uccidere
civili minori.
Caduta
Saddam Hussein dopo la cattura
Accusato di non aver adempiuto agli obblighi imposti dalla comunità
internazionale e di possedere ancora armi nucleari, chimiche e biologiche, mai
trovate però dagli ispettori dell'ONU,
l'Iraq venne
nuovamente attaccato. Il
19 marzo
2003, 300.000
soldati statunitensi e britannici invasero da sud l'Iraq dando il via all'operazione
Iraqi Freedom con l'obiettivo di disarmare e distruggere il regime di Saddam,
accusato di collusione con il terrorismo internazionale. Dopo pochi giorni di
guerra le truppe britanniche conquistarono la penisola di al-Faw e Umm Qaṣr; la
3a Divisione di Fanteria e la 2a Divisione dei Marines
arrivano alle porte di Baghdad il
2 aprile.
Il 3 aprile
comincia la battaglia per la conquista dell'Aeroporto Internazionale 'Saddam' a
sud-ovest della capitale irachena; il
5 aprile lo
scalo è totalmente sotto il controllo americano; nella stessa giornata, unità da
ricognizione entrano per la prima volta a
Baghdad
incontrando scarsa resistenza; il
6 aprile
comincia la battaglia di
Baghdad con
violenti scontri tra Fedayn e Statunitensi. Il
9 aprile,
la capitale irachena cade e i Marines entrano vittoriosi nella piazza del
Paradiso dove viene abbattuta, in diretta mondiale, la statua di Saddam Hussein.
Il 15 aprile,
le truppe statunitensi attaccano e conquistano
Tikrīt, ultimo bastione di Saddam. Il
1° maggio 2003,
il presidente
George W. Bush proclama la fine dei combattimenti in
Iraq: "Nella
guerra contro l'Iraq,
gli
Stati Uniti d'America e i suoi alleati hanno prevalso".
Nonostante l'emergere di una violenta e sanguinosa insurrezione portata avanti
dalla resistenza irachena (a seconda dei punti di vista anche definita gruppi
terroristici) con azioni di
guerriglia
(anche qui un altro punto di vista le definisce azioni terroristiche) e
dagli uomini di
Abū Musʿab al-Zarqāwī, leader di
al-Qāʿida in Iraq, l'ex presidente iracheno viene catturato dai soldati
americani in un villaggio nelle vicinanze di Tikrīt il
14
dicembre (fu trovato in un piccolo bunker scavato sottoterra).
Processo e condanna
Saddam Hussein al processo
Sottoposto a processo da un tribunale iracheno assieme ad altri sette
imputati, fra cui il fratellastro, tutti gerarchi del suo regime, per
crimini contro l'umanità, in relazione alla strage di
Dujayl del 1982
(148 sciiti
uccisi), il
5 novembre 2006
è stato condannato a morte per
impiccagione (Saddam aveva richiesto la
fucilazione) e il
26
dicembre 2006
la condanna è stata confermata dalla Corte d'appello. Con lui è stato condannato
a morte per impiccagione anche
Awwad al-Bandar, presidente del tribunale rivoluzionario, mentre
Ṭāhā Yāsīn Ramaḍān, vice presidente, è stato condannato all'ergastolo.
L'esecuzione per
impiccagione è avvenuta alle 6 del mattino (ora irachena) del
30
dicembre 2006,
data che coincideva con la
festa del sacrificio, la maggiore solennità islamica.
In Iraq la sentenza ha provocato reazioni contrastanti:
curdi e
sciiti si
sono rallegrati (il primo ministro
Nūrī al-Mālikī avrebbe dichiarato che "La condanna a morte segna la fine di
un periodo nero della storia di questo paese e ne apre un altro, quello di un
Iraq democratico e libero"), mentre i
sunniti hanno reagito manifestando contro il verdetto. Anche in
Vicino Oriente le reazioni sono state contrastanti: i tradizionali nemici di
Saddam (Iran e
Kuwait) hanno
accolto la sentenza con favore, mentre i governi del mondo sunnita hanno tenuto
un basso profilo, cercando di non dispiacere né agli Stati Uniti, né alle
proprie opinioni pubbliche, eccezion fatta per la
Libia.
In Occidente la notizia della condanna a morte dell'ex-raʿīs di
Baghdad è
stata oggetto di giudizi fortemente contrastanti. L'Amministrazione degli Stati
Uniti ha espresso la sua completa soddisfazione (Una pietra miliare sulla
strada della democrazia,
G.W. Bush). Invece i governi dei Paesi dell'Unione
Europea, incluso quello italiano (siamo contro la pena di morte sia come
italiani che come europei,
Massimo D'Alema), pur approvando il verdetto di colpevolezza, hanno ribadito
la loro contrarietà di principio alla pena capitale. Molti di essi si sono
spinti a suggerire all'Iraq di non eseguire la sentenza, una posizione non
lontana da quella russa[3].
Numerose e autorevoli organizzazioni umanitarie (tra le quali
Amnesty International[4]
e
Human Rights Watch[5])
hanno criticato non solo la condanna a morte, ma anche lo svolgimento del
processo, in cui non sarebbero stati sufficientemente tutelati i diritti della
difesa e che sarebbe stato sottoposto a forti pressioni da parte del governo
iracheno e indirettamente dell'Amministrazione statunitense.
Secondo l'agenzia
di stampa
Reuters l'impiccagione di Saddam Hussein è stata eseguita alle 4:00 italiane
(le 6:00 ora locale) del
30
dicembre 2006.
La trasmissione del video dell'impiccagione, in parte, è stata oggetto di dure
critiche da parte di molte forze politiche.
Il video dell'esecuzione
Nelle ore successive alla morte, i media di tutto il mondo, a cominciare
dalla
televisione di Stato dell'Iraq,
al-ʿIrāqiyya, hanno trasmesso un filmato relativo ai momenti
immediatamente precedenti al momento dell'esecuzione, dove si vede Saddam
Hussein giungere, apparentemente tranquillo, al patibolo e gli viene applicato
il grosso cappio intorno al collo. Il video si interrompe poco prima che la
botola sotto i piedi di Ṣaddām Ḥusayn venga aperta.
Più tardi sono stati diffusi altri due filmati, di cattiva qualità, il primo che
mostrava il cadavere del condannato avvolto parzialmente in un lenzuolo bianco -
ma con il volto visibile, livido e sanguinante - mentre veniva portato via dal
luogo dell'esecuzione e il secondo (l'unico dotato di traccia audio), ripreso
verosimilmente con un telefono cellulare dai piedi del patibolo, che mostra
l'intera sequenza dell'esecuzione.
In quest'ultimo video[6]
è possibile seguire, con angolazione dal basso, gli stessi eventi ripresi nel
primo video; di seguito si odono chiaramente i presenti inneggiare a Muqtadà
al-Ṣadr non appena il condannato viene lasciato solo dal boia in piedi sulla
botola chiusa e con il cappio già stretto al collo, il quale replica
pronunciando a propria volta il nome Muqtadà con aria e tono ironico e
chiedendo con aria di sfida a chi lo insulta se creda in tal modo di comportarsi
da uomo. Alcuni secondi dopo Ṣaddām inizia, nel silenzio, a pronunciare ad alta
voce la professione di fede islamica quando, dopo pochi secondi, viene
interrotto all'incipit del secondo versetto dall'apertura della botola che, con
uno stridore metallico, fa precipitare il suo corpo e tendere la corda.
Seguono alcuni confusi fotogrammi accompagnati dall'inneggiare dei presenti
all'avvenuta esecuzione dell'ex presidente iracheno e, poco dopo, le immagini ne
inquadrano il volto, mentre, ormai morto, pende appeso al cappio.
La diffusione dei due filmati, in particolare quello nel quale è evidente lo
scherno e l'oltraggio cui venne sottoposto il condannato poco prima
dell'esecuzione, ha provocato notevole scandalo internazionale, profondo
risentimento tra gli arabi sunniti e grave imbarazzo al governo iracheno, che ha
annunciato di aver arrestato due persone come responsabili della sua esecuzione
e diffusione. Ciò nonostante, dopo qualche giorno è emerso ed è stato diffuso
via Internet un terzo filmato simile al primo, ancora una volta di cattiva
qualità, che mostra il cadavere di Ṣaddām poco dopo l'esecuzione avvolto in un
sudario, che viene scostato per mostrare la testa del giustiziato innaturalmente
piegata a destra e il collo con un'ampia e profonda ferita sanguinolenta.
A seguito dell'impiccagione del fratellastro di Saddam Hussein,
Barzān Ibrāhīm al-Tikrītī, e dell'ex-presidente del tribunale rivoluzionario
iracheno,
Awad al-Bandar (coimputati nella stesso processo conclusosi con la condanna
capitale ai danni di Ṣaddām Ḥusayn), originariamente previste per la stessa
notte nella quale fu eseguita quella di Saddām, poi rinviate ed effettuate alle
03:00 locali del
15 gennaio
2007, si è
nuovamente diffuso orrore nel mondo alla notizia che la corda ha decapitato di
netto il primo, facendo schiantare il corpo al suolo e rotolare la testa a
diversi metri di distanza, come riferito dai giornalisti che hanno potuto
visionare il video dell'esecuzione, rimasto questa volta riservato. Anche queste
esecuzioni hanno attratto riprovazione da parte della comunità internazionale.
Il 16
gennaio 2007,
in un'intervista senza precedenti, persino il presidente degli
Stati Uniti d'America,
George W. Bush, la cui Amministrazione aveva in precedenza difeso senza
riserve la condanna morte e l'esecuzione di Saddam Hussein, ha condannato con
parole molto forti le modalità di impiccagione ("L'esecuzione di Ṣaddām è
sembrata come una vendetta", ha dichiarato Bush[7]
e il governo iracheno presieduto da
Nūrī al-Mālikī che, ha spiegato ancora il presidente, "deve ancora
maturare" e "rende difficile [per il governo USA] far passare presso il
popolo americano l'idea che si tratti di un governo che voglia unificare il
Paese".[8].
Tali dichiarazioni di
George
Bush sono state accolte con scetticismo da alcuni osservatori internazionali
che, come Feurat Alani, inviato a
Baghdad per
il giornale svizzero Le Temps, hanno sollevato il sospetto che la fretta
nel liberarsi di Ṣaddām e dei suoi più prossimi complici sia in realtà stata
originata dal desiderio di metter a tacere per sempre la delicata questione
costituita dai considerevoli aiuti - anche militari ed in termini di armi di
distruzione di massa - forniti da
Stati Uniti d'America, Francia e
Gran
Bretagna al regime di Ṣaddām Ḥusayn durante gli anni '80[9].
Funerale e sepoltura
Il 31
dicembre,
giorno successivo all'esecuzione, il corpo di Saddam Hussein è stato consegnato
al capo della tribù cui apparteneva e il suo cadavere, lavato ritualmente da un
imam sunnita ed avvolto nel sudario e deposto in una bara coperta dalla
bandiera irachena, è stato sepolto nella tomba di famiglia nei pressi del
villaggio natale, accanto ai figli dell'ex dittatore,
ʿUdayy e
Qusay e al nipote quattordicenne Muṣṭafà (figlio di
Qusay), uccisi dalle
forze americane il
22 luglio
del 2003 a
Mosul.
Curiosità
- Il rais iracheno appare anche nel cartone animato
South
Park in due episodi: in uno (The Mexican Starying Frog), compare
alla fine mentre esce mano nella mano con
Satana,
l'altro è dedicato a lui (Not Without My Anus, in Italia noto come
70.000 Puzzette per Saddam) e parla del tentativo dei comici sboccati
Trombino e Pompadour di convincerlo a non invadere il
Canada.
Compare anche nel film di South Park: è collocato nell'Inferno, come compagno
sodomita di Satana.
Nei titoli di coda, quando si vede chi presta la voce ai vari personaggi,
sembra che sia stato lo stesso Saddam a doppiare la sua versione animata. In
realtà era uno degli autori del cartone,
Matt
Stone.
Inoltre,durante la prigionia è stato costretto dai Marines a vedere il film di
South Park per umiliarlo.
Note
Bibliografia
- Hanna Batatu, The Old Social Classes & the Revolutionary Movement in
Iraq, Princeton University Press, 1979.
ISBN 0691052417.
- Chris Kutschera (a cura di), Le Livre noir de Saddam Hussein,
prefazione di
Bernard Kouchner, Parigi, Oh! éditions,
2005,
ISBN 2915056269.
- Claude Angeli, Stephanie Mesnier, Notre allié Saddam, Parigi, Orban,
1992,
ISBN 2-85565-658-3.
- Marcella Emiliani, Leggenda nera. Biografia non autorizzata di Saddam
Hussein, Milano, Guerini e Associati, 2003.
- Maddalena Oliva, Fuori Fuoco. L'arte della guerra e il suo racconto,
Bologna, Odoya 2008.
ISBN 978-88-628-8003-9.
Voci correlate
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