La ricorrenza del quinto anniversario degli orrendi attentati dell'undici
settembre del 2001, ha dato modo di tracciare ricordi e bilanci di un
avvenimento che, come molti dicono, ha visto il mondo cambiare in profondità.
Dopo l'undici settembre, si dice da più parti, il pianeta non è più lo stesso.
Certo, il gruppo di sauditi aiutati dai pakistani che cinque anni fa ha
squarciato i cieli americani, nel rappresentare il punto più alto della storia
di attacco militare contro gli USA, ne ha anche certificato la fine
dell'inviolabilità territoriale. Sarebbe forse suggestivo proporre a simbolo
della sconfitta militare statunitense l'immagine del gendarme del pianeta
piegato da un gruppo di pazzi armato di taglierini per la carta, ma questa è
solo l'immagine "giornalistica" di quanto avvenuto.
Di ben altro si trattava: di una guerra che, per la prima volta, cambiava
scenario e modalità della conduzione, passando dal Golfo Persico e dall'Asia
direttamente nel territorio statunitense. Le inchieste aperte
dall'Amministrazione USA sugli autori dell'attentato sono risultate un coacervo
di bubbole costruite per giustificare l'invasione dell'Afghanistan prima e dell'Irak
poi. L'occasione per penetrare nell'Asia centrale ed installare basi militari
nei vecchi territori sovietici. Lo stesso Senato USA, pochi giorni or sono, è
arrivato a stabilire - con quattro anni di ritardo e a solo due mesi dalle
elezioni di mid term - che le tesi sulle responsabilità irachene, tanto in
ordine agli attentati al WTC e al Pentagono, quanto al possesso di armi di
distruzione di massa, siano state un cumulo di menzogne spacciate senza pudore
ai quattro angoli del pianeta.
Quello che il Senato USA ha reso noto, in realtà, è cosa da tutti ormai
ampiamente conosciuta da anni. Quello che invece lo stesso Senato e il Congresso
non hanno ancora volutamente preso in esame, è il seguito; cioè la reazione
statunitense, la nuova dottrina militare imperiale - definita per comodità
dottrina di "sicurezza nazionale" - e i suoi effetti a breve e medio termine.
Buona parte dell'establishment statunitense, da Kissinger all'ex Presidente
Clinton, ha già criticato duramente l'operato della Casa Bianca con parole di
fuoco. Proprio Clinton ha fatto notare come "i nemici degli USA siano
spaventosamente aumentati" e ha chiesto "se si ritiene di cominciare a trattare,
giacché proprio con i nemici si tratta o se, invece, si pensa di ucciderli
tutti". Le organizzazioni della società civile statunitense, in particolare
quelle dedite alla salvaguardia dei diritti umani e civili, non cessano di
ricordare la ferita profonda che la strategia della Casa Bianca nella guerra al
terrorismo ha prodotto nel mondo intero e negli USA stessi e come, a tutt'oggi,
in fondo, la strage dell'11 Settembre sia rimasta sostanzialmente impunita.
Ma forse, per valutare meglio la portata della politica antiterrorista degli
Stati Uniti, sarebbe opportuno riferirsi ai dati che loro stessi pubblicano. Non
quindi dati provenienti da fonti indipendenti, di solito le più puntuali e le
meno servili, ma dati originali degli uffici governativi, che davvero
risulterebbe stravagante tentare di giudicare pregiudizialmente "antiamericani".
In questo caso, poi, ci sarebbe semmai da evidenziare come la fonte, che è il
Dipartimento di Stato USA, che pubblica annualmente un rapporto sul terrorismo
nel mondo, sia tutt'uno con la Casa Bianca; dunque il più desideroso nel
presentare i risultati positivi ed occultare quelli negativi dell'azione
dell'Amministrazione statunitense.
Ebbene, il rapporto diffuso nell'Aprile del 2006 riferisce delle attività
terroristiche e dei loro effetti lungo tutto l'anno precedente, cioè il 2005. Il
rapporto lascia allibiti: nel corso dell'anno 2005 si sono prodotti 11.000
attacchi terroristici in tutto il pianeta, che hanno provocato la morte di
14.600 persone. Non vengono menzionati feriti, mutilazioni permanenti e danni
alle infrastrutture, ma le cifre sono oggettivamente spaventose. Cifre che da
sole basterebbero a certificare senza ombra di dubbio quantomeno l'inefficacia
della guerra al terrorismo condotta con le modalità militari e d'intelligence
con le teorie politiche a supporto che l'Amministrazione neocons ha profuso su
scala planetaria. Ma, pur nella sua nettezza, non sarebbe ancora un giudizio
sufficiente: perché se si mettono in relazione questi dati con quelli dell'anno
precedente - relazione imprescindibile per la valutazione complessiva del
fenomeno - allora la sconfitta della politica antiterrorismo statunitense appare
ancora maggiore. Nell'anno 2004, infatti, lo stesso rapporto del Dipartimento di
Stato USA registrava la realizzazione di 651 attentati terroristici
"significativi" che produssero la morte di 1907 persone. Anche qui non ci sono
dati riguardanti feriti e danni infrastrutturali, ma è evidente che,
confrontando i dati del 2004 con quelli del 2005, si può dedurre, con una
semplice operazione matematica, come in un solo anno gli attentati si siano
moltiplicati per 23 volte e le vittime per 8 volte.
Quello che emerge con chiarezza da questi dati, da loro stessi diffusi, è il
fallimento completo della strategia utilizzata nella così chiamata "guerra al
terrorismo", che lungi dal riuscire ad eliminare il fenomeno o anche solo a
contenerlo, ottiene l'effetto di moltiplicarlo anche nei suoi effetti più
drammatici. La politica della Casa Bianca risulta essere fomentatrice del
terrorismo stesso e moltiplicatrice dell'instabilità planetaria. In altre
parole, la politica statunitense ha trasformato il terrorismo da fenomeno
limitato e circoscritto in fenomeno globale, autentico tumore del terzo
millennio. Altro che progetti di ordine internazionale, di governance globale:
l'Amministrazione Bush, oltre ad evidenziare il declino inarrestabile della sua
potenza militare, dopo aver drasticamente ridotto il potere d'influenza della
sua stessa diplomazia considerata oggi come un ufficio propagatore di menzogne
costruite a tavolino, si propone come principale ostacolo alla convivenza
internazionale. Causa primaria d'instabilità che ha ridotto a carta straccia il
Diritto Internazionale e che, con la scusa della minaccia terroristica, ha
introdotto, negli stessi Stati Uniti, legislazione e norme che violano in
profondità lo stesso assetto democratico del sistema.
Una debacle totale dalla quale non sarà semplice uscirne. Grave è la
responsabilità degli statunitensi che hanno dapprima scelto e poi confermato (al
netto dei brogli elettorali) un'Amministrazione che ha trasformato l'esercizio
del governo in potere criminale al servizio dei suoi stessi interessi.
L'aggressione all'Irak è stata la mecca degli affari per le grandi corporations
legate al clan Bush, sulle quali sono piovute commesse e contratti da centinaia
di milioni di dollari. Per aggiustare la relazione tra petrolio e dollaro in
chiave favorevole agli interessi dei petrolieri texani di cui Bush è primo
esponente, è stata dichiarata una guerra che è stata un disastro militare, una
debacle politica e una ecatombe umanitaria, costata duecentomila morti e un
paese distrutto.
In attesa di una Norimberga per gli organizzatori di lager, sequestri e
torture, di invasioni illegittime e di stragi di civili, speriamo che almeno il
prossimo 7 Novembre arrivi il primo inequivocabile segnale di sfratto per una
Amministrazione di faccendieri senza scrupoli e d'integralisti fanatici che mai
avrebbe dovuto insediarsi sul trono del mondo.
Archivio 11 Settembre
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