“Il se ed il ma sono il pane dei grulli”
Proverbio toscano
Dopo le commemorazioni di rito per l’attentato “che ha cambiato il mondo”,
dopo i mille “speciali” dei TG nazionali, dopo gli “esperti” che ci hanno
mostrato anche l’ultimo pelo nell’uovo della vicenda (dov’erano durante la
guerra in Libano?), dopo la retorica e la mistificazione, l’incenso e la
polvere, cosa rimane? Una sensazione d’inadeguatezza, confusione, sconcerto:
la classica “sbornia mediatica”. Ma, veramente, qualcuno ritiene di poter
scrivere la verità sugli attentati dell’11 settembre 2001? Ci sono persone
le quali ancora credono che, sapere tutta la verità su cosa successe,
cambierebbe qualcosa? Conoscere i retroscena della vicenda muterebbe l’oggi?
Confesso che l’argomento mi ha appassionato assai poco, giacché chi ha
vissuto la stagione italiana delle bombe e degli attentati, delle BR e dei
servizi segreti deviati non ci ha messo molto a capire che si tratta del
solito polverone, del medesimo garbuglio storico già visto tante volte,
delle comuni mezze verità raccontate per alimentare per anni i “cercatori
della verità”, che a loro volta finiscono proprio per essere utilissimi –
nella miglior buona fede – per chi desidera nascondere la verità.
Apparente contraddizione? No, perché le “verità” importanti sono altre, e
non serve andare a squartare il capello in quattro per verificare se gli
attentatori fossero proprio quelli indicati, se gli aerei furono proprio
quelli, se nessuno sapeva nulla, se, se, se…
Per gli amanti della Storia, possiamo citare alcuni eventi che illuminano
quanto sia pieno di sfumature e contraddizioni ciò che ci raccontano.
Garibaldi fu il conquistatore del Regno delle Due Sicilie? E come fece a
raggiungere Marsala – con due piroscafi praticamente rubati – se a
contrastarlo c’era la Marina Partenopea, ossia la più forte ed organizzata
Armata Navale italiana dell’epoca? Come mai le navi di Francesco II non
fecero a pezzi il Piemonte ed il Lombardo?
Semplicemente perché nel porto di Marsala erano ormeggiate – casualmente –
due fregate britanniche. Quando le navi borboniche giunsero nel luogo dello
sbarco, non riuscirono a far molto per il timore di colpire i due legni
inglesi – che a loro volta avrebbero chiamato qualche “fratello maggiore”
della Flotta del Mediterraneo britannica – e Garibaldi riuscì ad inoltrarsi
nell’interno indisturbato. Successivamente, parecchi alti ufficiali
borbonici si fecero corrompere – ma qui entriamo già in aree dubbie – mentre
la presenza delle due navi inglesi è inconfutabile. Molti, però, continuano
a ritenere l’impresa dei Mille una semplice combinazione di coraggio e
fortuna, mentre dietro all’impresa c’era la precisa volontà britannica, che
vedeva in un futuro (e relativamente debole) stato italiano un contrasto
all’espansione francese nel Mediterraneo.
Spicchiamo un salto di quasi un secolo ed atterriamo a Pearl Harbour il 7
dicembre del 1941, quando gli aerei giapponesi stanno per attaccare le
corazzate americane alla fonda. Nessuno sapeva nulla delle sei portaerei
dell’ammiraglio Nagumo, che avevano attraversato completamente indisturbate
il Pacifico?
Gli americani sapevano che le navi giapponesi erano scomparse dal loro
ancoraggio nella baia di Hitokappu – nelle isole Kurili, Giappone
settentrionale – il 23 di novembre[1] : quando si presentarono alle Hawaii
erano due settimane che lo Stato Maggiore Americano le aveva perse di vista.
Tutto ciò avveniva proprio mentre Roosevelt attendeva una risposta
all’ultimatum posto al Giappone, nel quale gli USA fissavano le quantità di
materie prime (ferro, carbone, petrolio, ecc) che l’Impero del Sol Levante
avrebbe potuto importare: Washington attendeva una risposta che poteva
significare solo pace (ossia completa sottomissione) oppure guerra. E
persero di vista per due settimane l’intera squadra di portaerei giapponesi?
Di più: l’ammiraglio Chester Nimitz – a quel tempo addetto alle operazioni
navali a Washington – bramava per avere un comando in mare: l’occasione di
Pearl Harbour gli consentì di superare l’ostracismo del presidente Roosevelt
verso la sua persona, e “scalzò” lo sfiduciato Kimmel dalla poltrona di
comandante della Flotta del Pacifico.
In questo caso, addirittura, ci furono più elementi a giocare a favore della
sorpresa giapponese: la necessità di Washington d’entrare in guerra per dare
finalmente la scalata al potere planetario ed anche un competitore interno
che – pur di raggiungere quella poltrona – possiamo ipotizzare che “tifasse”
giapponese.
Alberto Franceschini – uno degli storici fondatori delle BR – afferma nel
suo libro[2] di memorie che riuscirono a scampare più volte alle trappole
tese loro dalle forze dell’ordine, grazie alle “soffiate” ricevute niente di
meno che dal Mossad. Quando furono catturati nel 1974, nei pressi di
Pinerolo, erano di ritorno da Roma dove s’erano recati per preparare un
agguato a Giulio Andreotti. Allora non esistevano i telefonini, ed un loro
compagno che puntualmente ricevette la “soffiata” non riuscì a contattarli
per avvertirli del pericolo prima che giungessero in Piemonte, dove i
Carabinieri li attendevano.
Forse il Mossad riteneva che una sorta di “tanto peggio, tanto meglio” –
vista la politica sfacciatamente filo-araba dell’Italia – potesse aprire la
porta a soluzioni autoritarie più favorevoli per Israele, oppure colui che
forniva le “soffiate” – sempre che Franceschini racconti la verità – usò la
“copertura” del Mossad per proteggere le sue vere fonti? Come si può notare,
nonostante queste coincidenze, non è possibile dimostrare nulla: nessuno può
sostenere un diretto coinvolgimento della Gran Bretagna nell’impresa dei
Mille né, tanto meno, affermare che Nimitz si guardò bene dal rendere
pubbliche eventuali informazioni in suo possesso. Chi era l’informatore
delle BR? C’era veramente il Mossad dietro alle “soffiate”?
Stupisce osservare come tanti commentatori si consumino per dimostrare un
coinvolgimento diretto dell’amministrazione Bush negli attentati dell’11
settembre, per un semplice motivo: anche se così fosse – ossia se gli USA
avessero avuto proprio bisogno dell’attentato per partire alla conquista
delle aree di produzione petrolifera – non avevano nessuna necessità di
“sporcarsi le mani” e compierlo loro stessi.
Stupisce ancor più costatare che nella trappola cascano esperti giornalisti
italiani: ma, abbiamo dimenticato cosa successe nel nostro paese fra il 1969
ed il 1980? Chi ha saputo indicare gli autori dell’attentato di Piazza
Fontana? Dopo i vari processi-farsa, dopo Valpreda, Freda, Ventura,
Giannettini, Zorzi…cosa rimane?
Nel giugno del 1980 un DC-9 sparì dagli schermi radar, e dai tabulati di
tutti gli aeroporti del Tirreno scomparvero contemporaneamente tutti i
tracciati radar di quella sera maledetta. Si trattò di una coincidenza del
tutto normale? Pochi giorni prima o dopo (nessuno è nemmeno più in grado di
sostenere con certezza una data!) un Mig libico si schiantò sulla Sila. E’
un fatto del tutto normale: i Mig libici ogni tanto cascano, cadono dove fa
loro comodo.
Insomma, che questa gente ci sta prendendo in giro da decenni lo sappiamo,
ma se commettiamo l’errore di correre dietro ai “fatti” – ossia al
sofisticato caleidoscopio delle informazioni e delle smentite, dei processi,
delle sentenze emanate e poi annullate, delle “gole profonde” e dei
“dossier” segreti – sapete cosa combiniamo? Ci dissanguiamo in un assurdo
teatrino, nel quale noi corriamo come pazzi per dimostrare la loro cattiva
fede, mentre loro se la ridono beati e preparano per tempo la nuova
“rivelazione”, il nuovo “agente all’Avana”, l’ennesima imitatrice di Mata
Hari. E ci prendono per il sedere alla grande.
Qualcuno pensa veramente che, se gli USA avevano bisogno di un attentato
eclatante per dare il via alla danza della guerra, dovevano per forza
crearsi i “mostri” in casa? Dovevano andarli a pescare proprio dalle parti
del socio in affari del presidente, nei rapporti fra il Saudi Binladin Group
e la famiglia Bush?
Suvvia, signori, non crediamoli troppo fessi. Per fare queste cose non è
necessario “fare”, è sufficiente “lasciar fare”. Da qualche parte, nel
pianeta, esisterà pure il più scalcinato gruppo terrorista del Medio Oriente
– che so io…il “Donald Duck Fan Club” della valle della Bekaa – che si
propone d’affondare la corazzata USA distruggendo tutte le copie esistenti
dell’odiato “Topolino”. Basta lasciarli fare: è sufficiente fornire loro i
mezzi economici e qualche “buon consiglio”. I buoni consiglieri militari non
mancano mai: sono lì apposta per consigliare…
Basta spostare l’attenzione da Topolino ad un altro obiettivo…fornire un po’
di soldi…il necessario addestramento…fatto! Dopo, si può gridare ai quattro
venti che l’Islam ha colpito l’Occidente – come se i quattro scalzacani
fossero l’Islam – e dare inizio alle grandi operazioni militari su larga
scala. E chi glielo fa fare di preparare loro stessi una simile pantomima?
Di più: lasciano filtrare anche vecchi piani “segreti” dove si narra di
missili contro il Pentagono, contro Paperino, contro Marte…e noi: giù per la
china a correre loro dietro!
Piuttosto, la domanda da porre ai sostenitori della politica USA è: com’è
possibile che la prima potenza mondiale – che può contare sull’FBI, sulla
CIA, sui servizi di spionaggio e controspionaggio di Esercito, Marina,
Aviazione e Marines e sulla rete consolare più ramificata del pianeta – non
sia riuscita a sapere nulla del più eclatante attentato terroristico mai
compiuto?
Questa domanda – solo apparentemente retorica – ne trascina una seconda: è
sulla stessa rete d’informazioni e di elaborazione dei dati che poggia la
cosiddetta “guerra al terrorismo”? In altre parole, è sotto il comando della
stessa gente che le truppe ed i servizi di molti paesi dovrebbero
contrastare il terrorismo mondiale? No, ditelo subito se è così, perché
sarebbe meglio – a questo punto – chiamare subito il Mago Zurlì ed
affidargli seduta stante tutta la faccenda.
Il tranello nel quale cade chi si presta a correre dietro a queste Fate
Morgane è quello di farsi dare dell’idiota, del fantasticatore, del
cantastorie e del terrorista in pectore da gente che dovrebbe invece
rispondere dei massacri di Falluja e di Haditha, di Abu Graib, del disastro
afgano, del nuovo “polpettone” in salsa ONU del Libano, della Jugoslavia,
del Ruanda…dov’erano lor signori mentre migliaia di persone ci lasciavano la
pelle per le loro belle pensate? Forse a preparare l’ennesima notizia/bufala
da far filtrare abilmente per gli sciocchi che amano reti, ami e nasse
mediatiche? Se vogliamo tracciare le future linee della politica
internazionale, non le troveremo certo andando a rovistare negli archivi che
la CIA (guarda a caso!) ci consente di sbirciare; suvvia: sarebbe come se un
potenziale uxoricida si mettesse a seminare per strada bigliettini con
scritto “Ucciderò mia moglie”, firmato con nome, cognome ed indirizzo!
L’unica vera notizia è che il prezzo dell’energia aumenta a ritmi superiori
al 15% annuo, perché sugli ultimi 50 anni d’estrazione petrolifera vogliono
giocarsi tutto, fino all’ultimo centesimo. Passare alle rinnovabili? Perché
farlo oggi quando c’è ancora tanto da lucrare?
I contratti d’estrazione del petrolio iracheno erano nelle mani di Francia e
Russia? OK: facciamo una bella guerra all’Iraq e prendiamoci ‘sto petrolio.
Punto. Cosa serve? Un po’ di polverone mediatico? E che ci vuole…date a
Powell due fialette d’acqua distillata, scriveteci sopra “Antrace” e
mandatelo all’ONU, ci cascheranno come degli idioti…
Per contrastare il passaggio d’eventuali oleodotti verso la Cina serve
occupare l’Afghanistan? Ma sì, tanto racconteremo che andremo a prendere Bin
Laden…
L’Iran vende il suo gas alla Cina e con i dollari che guadagna compra
tecnologia da Mosca? Cosa si può trovare per bombardarlo? Costruiscono
centrali nucleari? E voi raccontate che costruiscono bombe nucleari, tanto
la gente quando sente la parola “nucleare” si spaventa e chiude le orecchie.
Il Pakistan ci ha costruito sotto gli occhi degli ordigni nucleari ed i
relativi missili per la consegna? Perché, cosa c’entra il Pakistan? C’è
petrolio in Pakistan?
No, in Pakistan abitano Bin Laden ed Ayman Al Zawahiri, ma non ce ne frega
niente. Bin Laden era a libro paga della CIA? Ma lo sanno tutti, che notizia
è? Iniziò in Afghanistan, poi in Bosnia ad organizzare i battaglioni dei
mujaiddin, mentre l’inviato di Clinton – William Burns – compiva un lungo
tour fra i clan dell’Albania e del Kosovo per preparare il gran finale del
decennio balcanico, la guerra contro la Serbia.
Intanto, nel 1998 a Washington giungevano in visita i separatisti ceceni,
accolti non proprio in pompa magna ma comunque con tutto il rispetto dovuto
a chi combatteva l’orso russo: il nemico del mio nemico è in qualche modo il
mio amico.
Anche in questo caso – però – giungere a concludere che oggi Al-Qaeda è a
libro paga di Washington è un azzardo che non si può dimostrare, perché il
miliardario saudita ed il medico egiziano hanno probabilmente deciso
semplicemente di mettersi in proprio. Eh, dopo tanti anni “a bottega” il
mestiere l’abbiamo imparato: se c’è da combattere almeno proviamo a farlo
per qualcosa che renda – magari io mi prendo Ryad e tu Il Cairo, che ne dici
Ayman? – mica per riempire le tasche delle corporation di quel bellimbusto
di George.
Perché hanno deciso di mettersi in proprio?
Osserviamo chi ha debiti e chi invece ha crediti nel pianeta, chi vorrebbe
acquistare beni e servizi con quei crediti e chi vorrebbe invece calmierare
la sua situazione debitoria con i crediti altrui.
A quanto ammonta il debito pubblico italiano? All’incirca al 110% del PIL,
qualcosa come 1.400 miliardi di euro. Bel colpo.
E quello americano?
Sommando il debito interno, quello con l’estero e l’indebitamento delle
famiglie americane potremmo ipotizzare una cifra fra i 15.000 ed i 20.000
miliardi di dollari, un voragine. Francia e Germania stanno un poco meglio,
ma circa mille miliardi di euro di debito li hanno anch’esse sul groppone.
Chi ha dei crediti?
La consistenza delle riserve di petrolio nel Medio Oriente ammonta a circa
700.000 milioni di barili[3] – ed è una cifra molto prudente, senz’altro
sottostimata – che tradotti in dollari ad un prezzo medio di 70 $/barile
fanno la rispettabile cifra di 49.000 miliardi di dollari, ossia quanto
basta per “rimpinguare” l’immaginario conto in banca dell’Occidente e
tornare ad osservare il mondo “in rosa”. C’è poi il gas naturale, e circa un
terzo del metano presente nel pianeta è sempre da quelle parti: altre
migliaia di miliardi di dollari.
E, attenzione: quelle riserve sono beni, non pezzi di carta di dubbio
valore, sono il motore con il quale alimentare il pianeta nei prossimi 40
anni (forse meno, ma non ha soverchia importanza).
Avendo la possibilità di mettere le mani su un simile tesoro, c’è da
preoccuparsi su come accendere la miccia che consentirà di mettere le mani
sul malloppo?
A fronte di simili cifre tutto torna comodo: grattacieli, navi, attentati
vari…anche un pestone su un callo al presidente USA può essere utile per
rimpinguare la sciaguratissima economia americana e l’asfittico sistema
produttivo europeo.
In definitiva, il lupo perde il pelo ma non il vizio: dopo aver trascorso
quattro secoli a depredare le ricchezze altrui, USA ed Europa tornano sui
loro passi e riprendono l’andazzo coloniale e neocoloniale che,
tradizionalmente, ha sempre dato buoni frutti.
Iniziarono subito dopo la scoperta delle Americhe con il cosiddetto
“triangolo degli schiavi”: le navi europee portavano mercanzie di scarso
valore in Africa, le scambiavano con gli schiavi neri razziati dagli arabi,
poi prendevano il mare per le Americhe e scambiavano la carne umana con
zucchero, cotone, tabacco, ecc. che rivendevano in Europa. Con quella bella
trovata campammo tre secoli: l’esperienza qualcosa insegna. Dopo, venne la
stagione dell’energia: lo scambio di petrolio contro dollari, tecnologia ed
armi segue praticamente lo stesso schema. L’unica cosa da non permettere è
che qualcuno che possiede l’energia sia in grado di trasformarla in
tecnologia, altrimenti il giocattolo – il nuovo “triangolo degli schiavi” –
si rompe: vedi la questione iraniana.
Per mantenere in vita il nuovo “triangolo” servono delle truppe
d’occupazione? Pazienza, si raccattano negli slums di New York i poveracci –
come un tempo venivano raccattati nei bassifondi di Liverpool per
schiaffarli in India – e con un po’ di fregnacce li si convince che l’Iraq
non è poi tanto male: tanto, quando ritorneranno in un sacco di plastica non
potranno più obiettare. I soldati USA in Iraq sono i nostri eroi: sono loro
che consentono alla massaia americana di comprare pane e latte anche domani.
Per la stessa ragione, l’unico accordo che sta bene agli occidentali è
quello con i paesi arabi “moderati” (e Musharraf?), ossia con quei dittatori
(Mubarak, gli Al-Saud, ecc) che non si fanno problemi di “democrazia” pur di
vivere nel lusso sfrenato che la corruzione occidentale loro concede.
Chi si oppone alla legge dei colonialisti viene via via accusato di
terrorismo, di non essere “democratico”, d’essere uno “stato canaglia”,
mentre i sauditi che continuano a tagliare le teste dei condannati a morte
in piazza – come nel Medio Evo – non sono mai menzionati.
Perché Ryad non è uno “stato canaglia”?
Poiché i sauditi – dopo gli accordi che misero fine ai contrasti degli anni
’70 – compresero che per vivere tranquilli bastava vendere il proprio
petrolio in dollari e riconsegnare gli stessi dollari ai grandi gruppi
finanziari ed alle corporation americane – questo è il senso dei
petroldollari – cosicché Washington scambia il petrolio con della pura e
semplice carta.
Di più: se domani, per caso, Ryad meditasse di cambiare alleato, verrebbe
accusata subito di terrorismo e si vedrebbe congelare all’infinito le enormi
ricchezze che ha negli USA. 15 degli attentatori dell’11 settembre erano
sauditi? Ma davvero? Cheney mi ha raccontato che erano tutti iracheni, ed io
credo a Cheney: è il miglior amico di papà.
Queste sono le ragioni che stanno alla base di Al-Qaeda, che non lavora per
l’Occidente, anche se in passato lo ha fatto perché i suoi interessi e
quelli USA coincidevano. Finché c’era da ricevere rifornimenti ed armi dagli
USA per combattere i russi od i serbi tutto filò liscio, ma quando s’iniziò
a parlare di petrolio la questione divenne più complessa.
Osama Bin Laden sentenziò che i mujaiddin non dovevano colpire gli impianti
petroliferi, perché – a suo dire – rappresentano la fonte di reddito della
futura nazione araba che vorrebbe edificare. In Iraq vengono attaccati gli
oleodotti per rallentare l’esportazione del greggio iracheno verso gli USA e
l’Europa, ma non vengono attaccate le aree di produzione: la ragione della
guerra è tutta qui, ed il vincitore potrà mettere le mani su un gruzzolo che
non riusciamo nemmeno a quantificare in beni. Con 49.000 miliardi di dollari
ci si può permettere d’acquistare 200 milioni di Ferrari, centinaia di
flotte mercantili o militari, addirittura degli Stati, tutto compreso nel
prezzo.
Ovviamente, tutti sono interessati a questo piatto di poker: arabi ed
europei, americani e russi, giapponesi e cinesi; tutti “lavorano” in qualche
modo per raggiungere i propri scopi. Non crederemo mica che la Francia e la
Russia si siano limitate a protestare all’ONU per essere state “scippate”
dei contratti che avevano per l’estrazione del greggio iracheno? La
guerriglia in Iraq va avanti da anni, e ci raccontano che sono “poche
migliaia” di fanatici che tengono in scacco con il terrorismo il più potente
esercito del pianeta. Prima considerazione: se fossero veramente “poche
migliaia” di terroristi, l’Iraq oramai sarebbe più tranquillo di un cantone
svizzero; è evidente a tutti che così non è.
Domanda: chi rifornisce – da anni – la guerriglia irachena con esplosivo,
munizioni, lanciarazzi RPG, missili contraerei spalleggiabili ed infine la
merce più preziosa, ossia i dollari per vivere e corrompere?
Risposta: chi non vuole consegnare nelle mani USA la fonte primaria
d’energia del pianeta.
Vogliamo i nomi ed i cognomi?
Ecco dove inizia il campo minato, perché nessuno – nel sottobosco
internazionale dei servizi segreti – vi racconterà mai la verità: anzi,
racconteranno soltanto ciò che a loro conviene in quel momento.
Qual è l’obiettivo di Europa, USA e Giappone? Garantire un flusso costante
di petrolio, possibilmente a prezzi non esorbitanti. Qual è l’obiettivo
degli arabi e della Russia? Regolare i flussi e mantenere il prezzo il più
elevato possibile. Qual è l’obiettivo della Cina? Sottrarre petrolio
all’Occidente per alimentare la “fame” d’energia del nuovo colosso
industriale del pianeta. Mescoliamo in un bussolotto i tre ingredienti, con
tutti i loro derivati, ed osserviamo il risultato: le briciole di questi
colossali interessi sono sufficienti ad alimentare terrorismo e guerriglia
per decenni.
Veniamo ora all’ultimo atto, ossia al nostro “armiamoci e partite” verso il
Libano: ci siamo illusi d’andare in Libano al comando della missione, ma
quando i francesi hanno mostrato il cappello di Napoleone ci siamo
debitamente inchinati; comme vous voulez, mon colonel.
Subito si sono levate voci accusatorie: gli italiani vanno a fare gli
scagnozzi per gli americani in Libano!
A parte il fatto che andiamo a farlo per i francesi, non mi sembra proprio
che gli interessi della Francia e degli USA coincidano perfettamente. Dopo
essere stata scippata del petrolio iracheno, la Francia accetterebbe un
ruolo subalterno ad USA e GB? Suvvia: chi conosce un minimo la politica
estera francese non può sostenere una simile fandonia. La Francia ritorna
semplicemente nei territori (Libano e Siria) che le furono assegnati dagli
accordi di Sèvres del 1920: la “magra” figura di Israele nella recente
guerra ha aperto uno spiraglio che né gli americani e né gli inglesi
potevano occupare, un’occasione da non perdere per tornare ad occupare il
“salotto buono” della geopolitica.
Quali sono gli obiettivi?
Troppo presto per dirlo: senz’altro, però, la Francia non ha nessun
interesse a consegnare nelle mani degli USA e di Israele un Libano
“demilitarizzato” ed una Siria prona ai desideri di Washington. Perché mai
Parigi dovrebbe andare a fare il “lavoro sporco” per gli americani? Semmai,
un solido ancoraggio nel Vicino Oriente potrà essere prezioso, qualora gli
USA fossero obbligati a lasciare l’Iraq (e prima o dopo dovranno farlo), per
giocare nuove carte in una nuova partita della quale non conosciamo ancora,
oggi, i giocatori.
Una prova che l’attuale momento è un periodo d’attesa ce lo fornisce una
fonte affidabile: il prezzo del greggio, che è in calo. Se fosse in
preparazione il grande assalto a Siria ed Iran, i future sul greggio
sarebbero così bassi?
In definitiva, il cui prodest non fornisce prove concrete, ossia nomi e
cognomi, mentre “l’andar per prove” significa soltanto assaggiare ad uno ad
uno l’infinita serie di esche che i nostri amabili governi ci preparano
tutti i giorni. Chiediamo ai nostri magistrati – senz’altro preparati e con
molti mezzi a disposizione – com’è finita la “partita” per chiarire Piazza
Fontana, Brescia, l’Italicus, Bologna, Ustica…chiediamo loro se sono
riusciti a ricostruire un quadro coerente di quegli avvenimenti.
A parte Vinciguerra, reo confesso della strage di Peteano, ed una condanna
per la strage di Bologna assegnata alla banda Fioravanti – una sentenza che
lascia parecchi dubbi ancora aperti – nulla.
Almeno, chi scelse il cui prodest qualche idea di cosa avvenne riuscì a
farsela, ma nessuno se la sentì d’interrogare ad uno ad uno i componenti
della famosa “lista” della P2 ritrovata a villa Wanda – in quel di
Castiglion Fibocchi – l’abitazione di Licio Gelli. C’era la “crema” della
Repubblica.
Anzi, ai due magistrati che scesero da Milano a Roma per consegnare la lista
della P2 nelle mani dell’allora ministro Forlani, il leader democristiano
rispose “che, in quei casi, era consuetudine che lo Stato fornisse il volo
di ritorno con un aereo di Stato: ma non era quello il caso”. Che caso.
Nemmeno il viaggio di ritorno si videro pagare i due magistrati che erano
“andati per prove”: i miei più sinceri auguri a chi desidera calcare quei
sentieri.
Carlo Bertani
bertani137@libero.it
www.carlobertani.it
16.09.06
Note:
[1] John Toland – I primi sei mesi di guerra nel Pacifico – Longanesi.
[2] Alberto Franceschini – Mara, Renato e io. Storia dei fondatori delle BR
– Mondadori, Milano, 1999.
[3] Fonte: BP, Statistical Review.
Archivio 11 Settembre
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