L’Italia consuma, dopo Canada
e Stati Uniti, più acqua minerale al mondo!
Sembrerà strano ma nel nostro paese si producono ogni anno oltre 10 miliardi di
litri di acqua minerale,
(nel 2002 ha raggiunto quasi 11 miliardi di litri,
e le previsioni per il futuro sono in crescita), per un consumo pro capite che
supera i 170 litri.
Una cifra di tutto rispetto che pesa non solo nelle tasche degli italiani, ma
anche nell’ambiente! Secondo il sito ufficiale di Mineracqua
- l’associazione di categoria delle acque minerali aderenti a Confindustria –
infatti il 77% delle bottiglie di acqua minerale vendute sono di plastica (PET).
Sapendo che l’acqua viene commercializzata in bottiglie da un litro e mezzo, un
semplice calcolo dimostra che oltre 5 miliardi di contenitori (per un totale di
128.000 tonnellate di plastica) finiscono ogni anno nelle discariche pubbliche,
provocando un costo ambientale altissimo che grava sulle singole regioni e di
conseguenza su noi consumatori.
Oltre all’impatto ambientale di non poco conto, tra l’acqua minerale e quella di
rubinetto esiste un’estenuante diatriba qualitativa: chi afferma la superiorità
della prima e chi invece giura per la seconda.
Secondo Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua, «le acque minerali italiane
sono tra le migliori in Europa, e il regime che vige in Italia non ha eguali in
nessun altro Paese»;
sarà sicuramente vero ma nell’acqua di rubinetto – secondo il giornalista
Giuseppe Altamore autore del libro «Qualcuno vuol darcela a bere» - vengono
controllati almeno un centinaio di parametri contro i 49 di quella minerale.
Chi ha ragione? Secondo il salomonico Ministro della Salute, Girolamo
Sirchia, ce l’hanno entrambi: «l’acqua di rubinetto che si beve in Italia è
tra le migliori in Europa (…) – così anche - l’acqua minerale è pura e
controllata e quindi ha garanzie altrettanto sicure».
Sicuramente fortunati ad avere le acque migliori e più controllate del mondo, ma
è d’obbligo fare qualche piccola precisazione per entrambe.
L’acqua di rubinetto, dando per scontato la sicurezza microbatteriologica, ha un
grosso problema: il gusto! Può capitare infatti che sia fresca, limpida e
buonissima, ma anche che sia assolutamente imbevibile, proprio a causa della
perdita di quelle caratteristiche gusto-olfattive (per usare un termine da
sommelier), nel percorso chilometrico all’interno delle tubature, e a causa dei
sistemi di disinfezione utilizzati (clorazione, ecc.).
Mentre il problema dell’acqua minerale non è tanto il gusto ma la plastica con
cui viene imbottigliata, le informazioni incomplete delle etichette sulle
sostanze chimiche in essa disciolte, e per ultimo ma non per importanza, il
depauperamento delle falde sotterranee – con disagi ambientali enormi -
provocato dall’estrazione continua e forzata di decine di milioni di litri ogni
giorno.
Le etichette, che dovrebbero specificare ai consumatori tutte le caratteristiche
biochimiche dell’acqua, sono assolutamente insufficienti. I produttori elencano
solamente una piccolissima parte del tutto: qualche sale minerale, residuo
fisso, conducibilità, ecc. E il resto? Per quale motivo le percentuali di
sostanze presenti non vengono stampate? Sostanze dichiaratamente cancerogene
come l’arsenico, la cui quantità (50 microgrammi/litro) può essere fino cinque
volte più alta rispetto a quello dell’acqua di rubinetto (10 microgrammi/litro),
o del velenosissimo alluminio che in casa non può superare i 200 microgrammi per
litro mentre nella minerale non ha alcun limite; o che ne so, il manganese il
cui limite è di 50 μg/l e 2000 nella minerale. Per non parlare del fluoro il cui
valore massimo è di 1,5 milligrammi per litro in casa contro nessun limite
nell’acqua minerale!
Di tutte queste sostanze, e la lista non è completa, non c’è l’obbligo di
dichiararlo, cioè di scriverlo nell’etichetta: quindi perché farlo? Lo permette,
pensate, una legge del 1939, e all’epoca le sostanze pericolose per la salute
non erano certamente abbondanti come oggi!
Un buon motivo per non farlo potrebbe essere quello di evitare informazioni
«ambigue» alle persone che andranno a bere quell’acqua; informazioni che però
devono assolutamente essere fornite, se non dal punto di vista informativo, da
quello etico e professionale. Una corretta e completa informazione è
fondamentale nel rapporto fiduciario tra produttore e consumatore!
Se si venisse a sapere per esempio che una bottiglia di minerale contiene
diversi milligrammi di fluoro, o magari anche di più visto che il limite non
c’è, quanti l’acquisterebbero, dopo aver saputo dell’influenza che tale sostanza
chimica ha sul cervello e sul comportamento? Ma questo lo vedremo in dettaglio
alla fine dell’articolo.
Nel nostro paese l’acqua minerale è un bene demaniale
e lo sfruttamento è permesso a quelle aziende (circa 160 ditte con 250 marchi)
che sono titolari di concessioni. I canoni annuali che le regioni impongono per
queste concessioni
però rasentano il ridicolo. Qualche esempio? L’azienda Vera (controllata dalla
multinazionale Nestlé)
per estrarre l’acqua in Veneto paga alla regione ogni anno la stratosferica
cifra di 3615,20 euro; mentre la San Benedetto (controllata sempre dalla
Nestlé)
ogni anno ne spende addirittura 555,16 euro! Avete capito? Poco più di un
milione di vecchie lire per un intero anno di estrazioni!!!
E’ per questo motivo che l’acqua imbottigliata, distribuita e pubblicizzata
arriva a costare dalle 500 alle 1000 volte in più rispetto all’acqua di
rubinetto (un produttore alla fine paga un litro di acqua più o meno 0,02 lire,
cifra che non è convertibile in euro). L’aumento dell’estrazione - aiutato da
canoni regionali iniqui - però sta mettendo seriamente in pericolo non solo le
falde acquifere stesse ma anche tutto l’ambiente collegato.
L’ultimo problema riguarda invece il contenitore utilizzato per l’acqua
minerale, il PET o anche polietilentereftalato - i cui brevetti per gli Stati
Uniti sono nelle mani dell’impero chimico Du Pont.
Secondo Altamore infatti «l’acqua minerale può restare in circolazione fino a
18 mesi, conservata talvolta in condizioni non ottimali». Condizioni che
riguardano lo stoccaggio, il trasporto e l’esposizione prolungata al sole. Chi
può garantire il mantenimento della struttura chimica del contenitore e della
stessa acqua dopo mesi dall’imbottigliamento e nelle condizioni appena viste?
Siccome ovviamente nessuno può garantire alla popolazione la sicurezza assoluta,
da qualche anno sempre più persone - nonostante la campagna mediatica
miliardaria delle lobbies delle bollicine che investe carta stampata e
televisioni - si stanno rivolgendo verso quei sistemi alternativi che permettono
la depurazione casalinga dell’acqua. Questa nuova presa di coscienza è motivata
da diversi fattori: incompleta informazione delle sostanze contenute nell’acqua
in bottiglia come abbiamo visto, risparmio economico, rispetto ambientale e
soprattutto praticità. Basta code al supermercato; basta ai quintali di
bottiglie da trasportare fino a casa; basta alle tonnellate di plastica che
dovranno essere riciclate con costi notevoli. Un bel depuratore e via!
Queste apparecchiature vengono collegate direttamente al rubinetto di casa o
alla tubatura principale e sono in grado di filtrare l’acqua rendendola non solo
più buona ma anche più sicura per la salute. Con un costo che varia da poche
centinaia a qualche migliaio di euro, questi depuratori, (a filtri oppure a
«osmosi»), si ammortizzano in pochissimi mesi, richiedendo solamente una
manutenzione. Manutenzione che, come vedremo, ha creato non pochi problemi ai
produttori…
La differenza di costo tra i due sistemi dipende soprattutto dalla differente
tecnica di filtraggio: quelli più economici, a filtri, bloccano essenzialmente
cariche batteriche e sostanze indesiderate sopra una certa dimensione (0,3 o 0,4
micron: milionesimo di metro); quelli a osmosi invece filtrano attraverso una
membrana particolare il 90-98% delle sostanze chimico-tossiche: arsenico,
cloruri, cianuri, pesticidi, mercurio, bromuri, fluoruri, virus, cariche
patogene, microbi, ecc.
I depuratori a «osmosi
inversa», questo è il nome tecnico-commerciale, in questi mesi sono stati
oggetto di grossissime polemiche sanitarie e legali, al punto tale da scatenare
una vera e propria campagna mediatica molto simile alla caccia alle streghe di
qualche secolo fa. Articoli di giornali hanno criticato fermamente questi
sistemi, affermando la loro non sicurezza per la salute. Trasmissioni televisive
hanno fatto spazio alla programmazione per denunciare tutto ciò: «Striscia la
Notizia» se n’è interessata il 2 ottobre 2003 e dopo pochi giorni, l’8 ottobre,
anche i canali nazionali con «Mi manda RaiTre».
Una vera e propria campagna diffamatoria!
L’unica cosa che possiamo dire in proposito è che la stampa e la televisione si
sono interessate così a fondo e con un tale accanimento a questa vicenda che il
sospetto di un conflitto d’interessi è molto forte. Gli investimenti
pubblicitari dei produttori di minerale si sa raggiungono cifre da capogiro:
nel 2002, per fare solo un piccolo esempio, hanno speso oltre 300 milioni di
euro per sponsor suddivisi in questo modo: televisione (62%), radio (11%),
quotidiani (14%), periodici (10%) e affissioni (2%).Una canale televisivo o un quotidiano che riceve così tanti soldi in
pubblicità, ovviamente deve stare molto attento a non perdere la fiducia degli
sponsor - in questo caso la minerale - altrimenti questa sfiducia si potrebbe
trasformare in perdita economica vera e propria! Se lo sponsor spende milioni di
euro per decantare le qualità, la purezza e la sicurezza dell’acqua minerale,
secondo voi in quel giornale o in quella televisione sarà possibile leggere o
ascoltare l’utilità dei depuratori di acqua casalinghi? Penso proprio di no!
Questo fiume di milioni che inonda i media da ogni parte, potrebbe
spegnere qualsiasi approccio critico nei confronti della minerale, e accendere
invece la discussione sulle strade alternative! Semplici ipotesi, che però
s’incupiscono quando si legge del sequestro da parte dei carabinieri dei NAS di
centinaia di depuratori a osmosi inversa a Padova. Una denuncia privata ha fatto
scattare nel Nord-Est il sequestro cautelativo di oltre 800 impianti e le
perquisizioni a decine di aziende del settore.
A questo punto è
importante precisare che ultimamente numerose aziende, dopo aver fiutato l’odore
del guadagno facile, da un giorno all’alto si sono improvvisate esperte nella
depurazione, lanciando nel mercato numerose apparecchiature. Costi proibitivi,
sistemi di vendita illegali e totale mancanza di esperienza, hanno creato le
condizioni per far scattare le denunce da parte degli utenti, sfociate poi nei
sequestri e indagini. La manutenzione di questi impianti infatti è fondamentale
per il mantenimento e la qualità dell’acqua.
Oltre all’irresponsabilità di queste neoaziende, che rappresentano la minoranza,
a complicare il quadro si aggiunge una normativa che impone agli «addolcitori»
(apparecchiature che scambiano chimicamente ioni di calcio con ioni di sodio,
ben diversi dai depuratori in oggetto) di non scendere sotto un certo parametro
sulla demineralizzazione. In pratica non è permesso togliere minerali sotto una
certa soglia.
La quantità di sali minerali (Calcio e Magnesio) è chiamata tecnicamente
«durezza» e nell’acqua si misura in Gradi Francesi (°F). Per intenderci: 1 grado
francese (1°F) corrisponde a 10 milligrammi per litro di idrocarbonato di
calcio; ciò significa che un’acqua con «durezza» di 15 °F contiene 150
milligrammi di carbonato. La legge nell’acqua potabile non definisce un vero e
proprio valore guida, ma piuttosto «consiglia» valori di durezza compresi tra 15
e 50 °F; maggiore è questo numero e più alta è la concentrazione di sali! Mentre
le cosiddette acque «addolcite», cioè le acque dove gli ioni di calcio sono
stati sostituti da quelli di sodio, hanno un limite di 15 °F (Decreto
legislativo n° 31 del 02/02/2001) sotto il quale non si può andare. In pratica,
la massima «addolcitura» permessa deve lasciare almeno 150 milligrammi per litro
di sali.
Questo è un problema di non poco conto per i depuratori a osmosi, perché in
mancanza di una normativa specifica per questa particolare depurazione, vengono
considerati alla stregua degli «addolcitori», nonostante la differenza sia
abissale: gli «addolcitori», eseguono un vero e proprio trattamento chimico
all’acqua, mentre nei depuratori a osmosi il trattamento è fisico (la membrana
lascia passare solo le molecole sotto un certo diametro). Ora, questo
trattamento fisico (e non chimico) dell’osmosi abbatte quasi totalmente la
durezza l’acqua, e quindi per il decreto visto prima (che sarebbe valido
solamente per gli «addolcitori») non sono conformi agli standard. E’ bene
ricordare che le principali marche di acqua minerale in commercio hanno una
durezza inferiore a 15°F, e le più pregiate e costose, addirittura sono
inferiori a 1°F. Ma essendo acque minerali…il discorso ovviamente non vale.
Quindi le acque minerali
minimamente o quasi per nulla mineralizzate (sotto 1°F) sono perfettamente
legali e salubri, mentre le acque «osmotizzate» no! Come mai questa discrepanza,
e perché vengono considerati uguali, quando non lo sono, gli «addolcitori» e i
depuratori? Le risposte, come al solito sono scontate.
L’altro motivo per cui si punta il dito verso i depuratori a osmosi è che
l’acqua viene privata per la quasi totalità dei minerali. Ma anche in questo
caso, a confutare tale assurda teoria vi sono numerose ricerche scientifiche,
tra cui, quelle dell’idrologo francese Vincent.
Louis Claude Vincent - consulente del governo, che negli anni ’50 debellò in
Libano alcune epidemie facendo bere alla popolazione acqua bioelettonicamente
pura – ha dimostrato infatti che solamente i sali organici, in grado di fare
ruotare la luce polarizzata, possono essere assimilati dall’organismo umano.
Tutti gli altri provocano un sovraccarico del sangue e di conseguenza del fegato
e delle reni. Questo significa che un sale inorganico per essere assimilato
correttamente dall’organismo deve essere prima «vegetalizzato», cioè reso
organicamente disponibile dalla meravigliosa macchina alchemica chiamata Natura,
altrimenti è come ingerire dei sassi! Secondo voi i minerali contenuti
nell’acqua potabile o in quella in bottiglia sono stati vegetalizzati
prima?
Tornando al discorso dei sequestri e della campagna di discredito eseguita a 360
gradi fatta contro questi depuratori, a rimetterci la faccia - grazie
soprattutto ai media compiacenti che non fanno distinzioni alcuna - sono stati
tutti quei produttori e/o rivenditori seri che lavorano correttamente da anni e
che seguono in tutto e per tutto i propri clienti. Questi hanno subito un danno
all’immagine e un danno economico enormi, e faranno molta fatica a riconquistare
la fiducia delle persone, in particolar modo di quelle condizionate mentalmente
dal tubo catodico.
Visto che stiamo parlando di menti condizionate, vorrei aggiungere un’ultima
cosa in merito al processo, prima mediatico e poi legale, dei depuratori a
osmosi inversa, e riguarda una sostanza che si chiama fluoro, o per essere
precisi, fluoruro di sodio.
Ricordiamo quello che
abbiamo detto prima a proposito del fluoro: nell’acqua di rubinetto la sua
presenza è limitata a 1,50 milligrammi per litro, mentre nell’acqua in bottiglia
tale limite non esiste!
Detto questo è necessario sapere che vi sono numerosi studi medici che mettono
in luce gli effetti negativi del fluoro a livello organico e sul comportamento.
Partiamo dalla d.ssa Mullenix (PhD alla Harvard University), le cui ricerche
hanno dimostrato come dosi somministrate ai topi prima della nascita davano
luogo a marcata iperattività nella prole, mentre la somministrazione dopo la
nascita determinava quella che la Dr. Mullenix chiama «sindrome da
teledipendente» - un malessere o assenza di iniziativa ed attività.
Siamo assolutamente convinti dell’inutilità e crudeltà dei test sugli animali,
ma questo aumento di iperattività riscontrata a causa del fluoro, non può essere
associato anche all’aumento della ADHD (Sindrome da iperattività con o senza
deficit di attenzione) nei bambini?
Cosa dire poi della sindrome definita del «teledipendente»? Assomiglia molto, e
non per via del nome, alla totale assenza con mancanza di reazione dei bambini
davanti alla televisione!
Alla Florida International University invece, i ricercatori Rotton, Tikovsky e
Feldman, hanno riscontrato che «...piccole quantità (0.45 p.p.m.) di
soluzione di fluoruro di sodio...danneggiano le caratteristiche sensomotorie
della visione» con il conseguente abbassamento nei tempi delle reazioni
mentali e fisiche (J.A.P., voI. 67:2).
Per problemi di spazio, citiamo un ultima ricerca, questa volte eseguita in Cina
sull’intelligenza di 907 bambini tra gli 8 e i 13 anni. L’indagine dimostra
inequivocabilmente che il quoziente di intelligenza dei bambini che vivono in
aree con alta presenza di fluorosi
è più basso statisticamente di quello riscontrato sempre nei bambini in zone a
bassa presenza di fluorosi. In pratica, i bambini più a contatto con il fluoro
nell’ambiente, riducono il proprio quoziente intellettivo!
Il fluoro in definitiva ha un’azione diretta sullo sviluppo di una zona molto
particolare del cervello: l’ippocampo. Quest’ultimo assieme all’amigdala fanno
parte del sistema limbico e svolgono la funzione di regolazione e formazione
della memoria e delle emozioni.
Il fluoro quindi va ad interagire nella zona che gestisce e regola la memoria e
le emozioni! In particolare l’amigdala, strettamente interconnessa
all’ippocampo, gioca un ruolo fondamentale nell’acquisizione della paura
condizionata che nasce anche quando lo stimolo scatenante non è presente!
Ricordando che le emozioni rappresentano una risposta organica a situazioni
importanti per l’uomo come rabbia e paura: quali conseguenze potrà mai avere sul
comportamento umano questa sostanza che troviamo un po’ dappertutto: acqua,
dentifrici, caramelle, gomme da masticare, farmaci, spray, ecc.
E’ forse per questo che le truppe naziste, dopo aver conquistato una città, la
prima cosa che facevano era fluorare l’acqua? Volevano proteggere lo smalto dei
denti - come afferma la scienza medica - della popolazione o per caso indebolire
la loro capacità di reazione, esaltando contemporaneamente la macchina
propagandistica? Sotto questa luce, anche la strana decisione presa da
Margaret Thatcher (guarda caso laureata in chimica!) ai primi degli anni ‘80 di
fluorare l’acqua dell’Irlanda del Nord, forse non è poi così strana…
Sorge allora il sospetto che questo accanimento mediatico nei confronti dei
depuratori a osmosi inversa, e solo di essi, non sia del tutto casuale ma che
rientri in un piano strategico ben preciso; anche perché tali apparecchiature
sono le uniche in commercio in grado di filtrare il fluoro!
In un periodo caratterizzato da censura e guerre preventive, speriamo che non
s’inizi a parlare anche di controllo (mentale) preventivo…
Marcello Pamio
Per approfondimenti in rete sul fluoro:
www.nofluoride.org (inglese)
www.nofluoride.com (inglese)
www.newmediaexplorer.org/ivaningrilli/index.htm
(italiano)
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