Peggio della ‘grande depressione’ e
di tutte le guerre mondiali messe insieme. I cambiamenti climatici rischiano
di essere a lungo termine un gravissimo problema, oltre che per il pianeta,
anche per l’economia mondiale. L’allarme è stato lanciato ieri in un
rapporto commissionato dal governo britannico a Sir Nicholas Stern, ex capo
economista della Banca Mondiale. Nell’approfondito studio di settecento
pagine, Stern giunge alla conclusione che si è ancora in tempo per evitare
il peggio ma i governi dovranno agire al più presto per arginare gli effetti
dei cambiamenti climatici, già oggi tangibili. Se invece non verrà fatto
nulla per alleggerire l’inquinamento quotidiano che devasta ogni giorno di
più il nostro pianeta, le conseguenze potrebbero essere drammatiche sia dal
punto di vista della salute collettiva del pianeta che per l’economia
mondiale.
Tsunami, tornado, uragani, siccità, alluvioni, desertificazione, effetto
serra, riscaldamento globale, buco dell’ozono, contaminazioni, ed altro
ancora sono il prezzo da pagare per un progresso economico e tecnologico non
sostenibile, cieco a tutto quello che non genera profitto.
Le previsioni per il futuro si fanno sempre più pessimistiche e l’opinione
pubblica inizia a rendersi conto di questa situazione intollerabile. Il
costo del profitto incondizionato incomincia a diventare molto alto, tanto
da creare problemi non solo alla nostra stessa sopravvivenza, ma anche agli
stessi interessi delle persone che operano nella spirale distruttiva del
guadagno, grandi responsabili dei cambiamenti climatici.
Secondo lo studio commissionato dal governo britannico, se non verrà fatto
nulla per contrastare la nostra espansione autodistruttrice, la perdita
economica nei prossimi decenni si attesterà a circa il 20% del Pil modiale,
ovvero i costi materiali, e forse anche umani, della somma delle due guerre
mondiali. Infatti, nei prossimi anni si rischia di vedere 200 milioni di
possibili profughi, la maggiore migrazione della storia moderna, causata
dalla distruzione di intere zone da siccità e alluvioni.
L’unico modo per fare fronte all’emergenza è sostenere costi equivalenti
all’1% del Pil mondiale entro il 2050; un costo già elevato, stimato a 5
mila miliardi di euro, ma che potrebbe salire ulteriormente a 12 mila
miliardi di euro se il problema venisse trascurato. Un prezzo sicuramente
astronomico, ma tutto sommato irrisorio rispetto ai danni irreparabili che
stiamo procurando senza indugio alla vita sul nostro pianeta.
Per evitare in parte un disastro che stiamo già causando da anni e che
continueremo ancora a provocare per molto, il rapporto di Stern parla
chiaro: l’obiettivo dell’economista è stabilizzare le emissioni di Co2 a
500-550 parti per milione rispetto alle attuali 430. A prima vista pare un
risultato assai ragionevole, ma il rapporto spiega che per raggiungerlo, da
qui al 2050, bisognerà ridurre di tre quarti le emissioni potenziali che si
accumulerebbero al ritmo di crescita attuale. Per fare ciò, oltre a ridurre
le emissioni di Co2, i governi dovranno porre al più presto un freno alla
deforestazione che pesa per ben il 18% delle emissioni mondiali, più di
quanto causato dall’intero sistema dei trasporti. Bisognerà promuovere
dunque progetti ambiziosi, che coinvolgano la sensibilità di governi e
cittadini, e soprattutto che riescano ad infrangere il muro degli interessi
delle potentissime multinazionali e delle corporazioni, spesso indisposte a
tali radicali cambiamenti.
Sarà inoltre compito arduo far cambiare rotta a tutti quei Paesi che non
hanno firmato un blando Protocollo di Kyoto, in testa gli Stati Uniti, la
più grande macchina industriale ed economica al mondo che si ostina a
promuove una politica distruttrice. La Conferenza Internazionale sui
cambiamenti climatici indetta annualmente dall’Onu, in programma a Nairobi
dal 5 novembre, si pone come sfida proprio convincere gli Stati Uniti ad
aderire al Protocollo, oltre che accelerare la messa a punto di serie regole
a lungo termine, necessarie per stabilire le tappe di un cambiamento
indispensabile. Infatti, malgrado i risultati fissati per la prima fase
dell’accordo internazionale siano piuttosto modesti, ovvero la riduzione del
5% delle emissioni di gas serra entro il 2012 rispetto ai livelli del 1990,
la comunità mondiale fatica a centrarli. Fra il 2000 e il 2004 le emissioni
da parte dei Paesi industrializzati sono invece aumentate dell’11%. Al
momento, inoltre, il Protocollo di Kyoto non prevede nessun limite alle
emissioni dei Paesi di via di sviluppo come Cina e India, che però hanno
ormai raggiunto quelle delle grandi potenze industriali.
Da questo punto di vista lo studio britannico di Stern propone di estendere
il sistema detto ‘cap and trade’, nel quale le emissioni di anidride
carbonica vengono fissate a un certo tetto massimo: se un’azienda vuole
inquinare di più deve comprare questo diritto da industrie meno inquinanti,
che non raggiungono il tetto. Così, si auspica, le aziende accelereranno la
ricerca di sistemi di produzione meno inquinanti. I governi, al tempo
stesso, devono raddoppiare gli investimenti nella ricerca di fonti
energetiche pulite ed i cittadini devono essere più consapevoli che il
cambiamento di certi comportamenti può contribuire molto ad una causa che
coinvolge tutti noi ed i nostri figli.
È necessario dunque prendere maggiore consapevolezza del possibile scenario
apocalittico che potrebbe caratterizzare la quotidianità del futuro. Il
grande sforzo deve essere fatto da ognuno di noi, ma per arrivare ad una
società sostenibile è necessario che vi siano precise scelte politiche che
vadano contro le ideologie di mercato, al consumismo sfrenato ed i grandi
interessi economici, veri e propri macellai del nostro pianeta e della
nostra società.
Marzio Paolo Rotondò
Fonte:
www.rinascita.info
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31.10.06
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TESTO DEL RAPPORTO
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