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30/10/2007 Maschere teatralmente scomposte (Vincenzo Andraous)

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Viaggiavo in autostrada e davanti alla mia auto, transitava un tir, di quelli che trasmettono a pelle un certo fastidio, con tante piccole finestrelle sulle fiancate, tante piccole celle, ravvicinate, troppo ravvicinate.
Avevo la radio accesa, eppure nel momento del sorpasso, un suono acuto, lacerante mi ha colpito le orecchie e di più il cuore.
Ho rallentato la corsa affiancandomi al mezzo, in bella mostra stavano dorsali color rosa e piccole code svolazzanti, ma non c’era sorriso in quella allegra scampagnata, piuttosto faceva pensare a ben altro carro merci e a ben altra carne da macello.
Ho visto tanti, davvero tanti animali in continuo sballottamento, appiccicati alle inferriate, con i musi che parevano maschere teatralmente scomposte.
Percepivo il terrore e lo smarrimento di quegli animali, era palese che tremassero non solo per il sobbalzare dell’autotreno, ma anche e soprattutto per il freddo e per la paura.
L’autoarticolato è entrato in una area di ristoro, l’ho seguito, fermandomi a pochi passi dalla motrice, sono sceso dall’auto rimanendo a guardare l’infamia di fronte ai miei occhi. In spazi sporchi, angusti, ridotti all’inverosimile, stavano inscatolati vivi maiali di grosse proporzioni, un fetore indicibile saliva alle narici, suoni incontrollati si incrociavano a sguardi perduti.
Ho allungato una mano per sfiorare una di quelle schiene, tremava come una foglia al vento, la sua pelle era ghiacciata, i peli induriti come chiodi ferivano le dita.
Mi sono chiesto come sia possibile constatare e accettare tanto dolore, come sia “normale” porre termine a eventuali conflitti di coscienza, affermando che in fondo si tratta unicamente di animali da reddito, materiale di base per realizzare guadagno e profitto, per dar da mangiare a una società sempre più moderna e sempre più affamata, forse solamente sempre più violenta con i più indifesi.
Ma esistono leggi esaurienti a tutelare gli animali? Tutti, anche quelli che non definiamo “carinamente” di casa, leggi e norme che pongano fine a uno spettacolo del genere, che insegna “diseducativamente “ a banalizzare la tragedia.
In quella piazzetta gremita di persone mi sono chiesto in quanti avranno fatto caso all’ingiustizia buttata lì, anonimamente, in quanti hanno gettato uno sguardo compassionevole verso quegli animali ridotti a “nulla”, o se veramente per ognuno nella propria indifferenza, ciascuno di “quei cosi” avesse perso la propria dimensione di essere vivente con il diritto inalienabile di essere rispettato per quello che è.
Mi sono chiesto se il bisogno di masticare carne in abbondanza affida a ogni essere umano il potere di tormentare un altro essere vivente, fino a farlo diventare una cosa, un oggetto, obbligato a rimanere per lungo tempo sulle zampe, incollati gli uni agli altri, a urlare e ferirsi per la paura.
Su quel camion non c’è giustizia umana, nè giustizia della scienza, ottusamente inascoltato il consiglio a riflettere ad avere maggior riguardo per quelle “bestie” che sentono come noi, che stanno male come noi, che amano come noi.

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