Come
di consueto, l’orgoglio cattolico corona nel Meeting di CL la propria
autocelebrazione, lancia progetti politici, tende la mano al sacerdote del
Centro Casini e quest’anno, più che in passato, per voce di Bagnasco, lamenta un
tentativo di violento ostracismo dalla vita politica e sociale del nostro Paese.
Surreale se non comico questo outing da chiesa perseguitata, sfrontato rispetto
all’evidenza della vita politica nazionale. Tutti gli appuntamenti più
importanti dell’agenda di palazzo hanno visto non soltanto il contributo e
l’osservazione degli alti prelati, ma il pesante condizionamento della Santa
Sede sulle scelte dell’elettorato in tante importanti occasioni, non
risparmiandoci vere e proprie pagine di propaganda cattolica attraverso i media.
Queste sono le vicende che allarmano e che fanno tremare coloro che hanno a
cuore la laicità delle nostre istituzioni. Tolleriamo benissimo, su questo
vorremmo rassicurare il cardinale Bagnasco, gli Angelus da Castel Gandolfo del
Santo Padre, ai suoi appelli alla pace e alla guida sicura il sabato sera.
Come sottolinea lo storico Melloni, le parole della Chiesa tradiscono le ragioni
della paura e il discorso di Bagnasco è denso di profonde contraddizioni.
Nessuno ha mai teorizzato, tantomeno in questo Paese, la chiusura privatistica
della fede cattolica, la necessità di rinunciare alla testimonianza del
messaggio cristiano, prima ancora che cattolico, nello spazio della società
civile e nella vita politica. E’ la nostra storia: il passato e l’eredità di una
cultura dominante in tutto il Vecchio Continente. Nessun imbarazzo, piuttosto
una cifra di interpretazione della nostra identità. Il cardinale però cade in un
errore concettuale e metodologico insieme. Lo fa sapendo bene soprattutto quello
che tace piuttosto che quello che dichiara.
Non può dire apertamente che persino l’anima della destra, appendice storica di
CL, sembra non garantire più abbastanza la difesa in trincea di alcuni dogmi
etici, proprio quelli che possono diventare in una strategia di conversione
forzata - eccola la tentazione - divieti di legge; quelli che invadono non tanto
e non solo lo spazio della vita politica, ma il privato dei cittadini costretti
in questo modo, per legge dello Stato e non per catechismo della chiesa, ad
essere cattolici praticanti senza nemmeno saperlo. E’ questa la strategia
nemmeno troppo occulta del vertice CEI ed è questa che – a dire di Bagnasco -
non è più difesa abbastanza dalla destra.
Siamo abituati a questo misero dòmino. Negli anni 80 era Alex Zanotelli ed era
allora il direttore di Nigrizia. Lanciava documentate denunce sulla politica
corrotta di tanti governi africani sul commercio di armi, sulla mafia delle
multinazionali. Accuse di fuoco per i nostri Craxi, Andreotti, Spadolini. Nel
1987 per esplicita volontà delle autorità ecclesiastiche padre Alex venne
allontanato e rimosso dalla direzione del mensile. Troppo disturbo il suo
impegno politico, la sua ossessiva ricerca della verità e lo smascheramento
coraggioso di ogni forma di ingiustizia sociale e abuso. Un uomo in lotta con i
poveri, un vero uomo del Vangelo, un religioso votato all’impegno cristiano
nella società civile, uno che non conosce cosa significhi una fede solo privata,
appesa al collo in un rosario o recitata in sagrestia.
Forse un po’ troppo impegnato per i gusti della CEI. Difficile giustificare
questa alternanza a convenienza sul portare i valori della fede religiosa nella
geografia del potere politico e nell’anima della società civile. Forse Bagnasco
intende dire che questo vale solo per alcuni temi? Forse l’unica piazza in cui
vuole cimentarsi è quella degli obiettori di coscienza, dei difensori
dell’embrione, di quanti rifiutano pietà per Eluana Englaro?
Insomma forse il non detto è che la Chiesa postmoderna, in pieno vento di nuova
controriforma, vive la contraddizione di pretendere controllo sul privato perché
nel pubblico non ha più titoli di sovranità da rivendicare? Non sarà che mira a
recuperare quello stesso titolo compiacendo di volta in volta il trono giusto,
che diventa magari ancora più giusto se acconsente alla strategia della
conversione, il tutto a scapito delle altre chiese e delle altre fedi?
Perché al di là dei pacati inviti alla convivenza pacifica tra religioni e
culture diverse, la chiesa - come ogni chiesa - non ha mai smesso di combattere
la sua guerra santa. La nostra lo fa in modo tutto occidentale e lo fa proprio a
partire dal privato dei cittadini, corrodendo quella distinzione essenziale tra
uomo e civis su cui lo Stato nazionale moderno ha l’unica possibilità di
sopravvivere a se stesso e adeguarsi alle morfologia di una geografia trans
nazionale. E’ la loro ultima possibilità.
Perché se salta quel confine, salta ogni fondamento ragionevole e
universalizzabile di ragione pubblica e diventa sempre più vincente quel modo
tutto cattolico - ma potremmo dire tipico dei tre grandi monoteismi –
d’intendere la politica per cui anche chi non è fedele deve adeguare il proprio
profilo morale ai dettami di quella fede; spacciandolo per l’unico sistema
morale possibile e confidando nel paternalismo istituzionale, quello secondo il
quale chi decide lo fa per “il tuo bene”. Non sono cosi lontane sul piano
concettuale le monarchie illuminate e a quanto pare non ancora scomparse del
tutto, nonostante la robusta democrazia occidentale.
Perché Bagnasco mente. Non c’è bavaglio in uno Stato laico alla testimonianza
pubblica di una fede religiosa. Non facciamo che sentire la loro voce e le loro
prediche in ogni evento di questo paese. Ogni celebrazione eucaristica lo è e
ogni spazio pubblico in cui la Chiesa liberamente interviene lo diventa. Non c’è
religione che possa rinunciare alla politica della conversione e che possa
pertanto essere privata della sua naturale vocazione all’impegno sociale. Chi lo
fa è giustamente condannato senza ombre a livello internazionale.
Per ogni pratica profondamente spirituale, persino nelle forme più integrali di
clausura e preghiera, esiste sempre un lato pubblico di impegno. E se questo è
vero per ogni espressione di fede religiosa, lo è particolarmente per quella
cristiana, che in Europa ha intessuto insieme al potere politico ogni angolo di
storia, ogni scontro, la tensione della dialettica dei poteri ispirando la vita
intera dei cittadini dal lavoro al pensiero. Ancora di più in Italia che paga a
tutt’oggi il prezzo di avere in casa uno Stato religioso.
Il punto vero è che la Chiesa di Ratzinger come di Wojtyla vuole altro. Vuole
convertire usando il voto dei cittadini con uno spirito di prevaricazione delle
competenze che nulla c’entra con la libertà di testimoniare la fede. Vuole
controllo e lo vuole assolutamente nel privato. L’unica strada libera per
controllare il potere che non ha più ufficialmente. E per farlo non le bastano
gli strumenti dell’omelia, dell’oratorio, delle missioni. Vuole farlo mutuando
le forme del potere politico o ancor peggio mirando a condizionarle e ad
asservirle con la teoria falsa di essere depositari della morale e dell’etica.
Errore di contenuto, errore di metodo.
Il presidente della CEI era distratto forse quando don Tonino Bello nelle sue
omelie tesseva il mosaico di un autentico manifesto politico contro la
discriminazione degli stranieri, quando Oscar Romero veniva ucciso sull’altare
da cui gridava la sua denuncia ai militari di El Salvador e non veniva ricevuto
da Wojtila. E’ distratto quando Famiglia Cristiana scrive di discriminazione
fascista ai danni degli stranieri. E’ distratto o non è d’accordo. Lui la
politica preferisce farla ai meeting dei potenti, alla vigilia dei referendum,
quando vorrebbe decidere al posto di ogni uomo e di ogni donna come fare
l’amore, come concepire figli, come costruire una famiglia e come morire. Una
tela di ragno velenosa che forse nemmeno il Parlamento italiano può tessere più
con tanta disinvoltura.
29/08/2008 Il dialogo è necessario: il messaggio del Meeting di Rimini (Simone Baroncia, http://www.korazym.org)
Nella penultima giornata riminese del
Meeting di Comunione e Liberazione, il dialogo e la libertà religiosa sono
stati il filo conduttore della riflessione. Mario Mauro, vicepresidente del
Parlamento Europeo, ha introdotto l’incontro "Protezione e diritto di
libertà religiosa" con un dettagliato elenco di uccisioni e rapimenti di
cristiani e religiosi degli ultimi giorni.
Ovvio il riferimento ai recenti fatti dell’Orissa che ancora una volta
mostrano come la persecuzione per causa religiosa sia un fatto di fronte al
quale è necessario prendere posizione. "È ardito esortare i cristiani ad
essere ‘protagonisti’; - esordisce monsignor Dominique Mamberti, segretario
per i rapporti con gli Stati della Santa Sede - infatti nella mentalità
comune è protagonista solo chi raggiunge il successo, ma don Giussani aveva
capito che, in realtà, solo l’uomo religioso, cioè consapevole del suo
legame con Dio, è veramente protagonista".
Monsignor Mamberti ha la preoccupazione di far comprendere che la libertà
ha bisogno di un fondamento che la possa far sviluppare e questo può essere
solo trascendente, "perché solo la fede nell’Assoluto trascendente è
garanzia dai falsi assoluti terreni. Solo così non si mette a rischio
dignità umana e coesione sociale".
Il vescovo tiene a ricordare che l’impegno politico dell’onorevole Mauro in
sede europea ha portato recentemente all’approvazione di una risoluzione
"sui gravi episodi che mettono a repentaglio l’esistenza delle comunità
cristiane e di altre comunità religiose". Ciò è stato particolarmente
importante in quanto ha "lanciato un messaggio politico ai responsabili di
efferati episodi e alle stesse istituzioni europee, non sempre immuni da
una sorta di pregiudizio antireligioso e in particolare anticristiano". In
occidente infatti non siamo immuni dalle sfide alla libertà religiosa, in
un contesto in cui "l’odierna cultura occidentale rischia di contrapporre
la libertà alla verità ed alla giustizia".
Monsignor Mamberti ha poi voluto spiegare com’è strutturata la diplomazia
vaticana di cui egli fa parte e come agisce nel campo delle relazioni
internazionali in particolare a tutela di questa primaria libertà. "La
stessa natura religiosa della Santa Sede e la sua vocazione universale
fanno sì che la sua diplomazia non determini le proprie priorità sulla base
di interessi economici o politici e che non abbia ambizioni geo-politiche.
La priorità della diplomazia pontificia - continua - è l’assicurazione di
condizioni favorevoli all’esercizio della missione propria della Chiesa
cattolica e alla vita dei suoi membri". Non ci può essere però una vera
libertà religiosa se viene intesa come limitata alla sola sfera privata. La
dimensione pubblica, collettiva e istituzionale non può essere negoziata.
"È cartina di tornasole per tutte le altre libertà" dice Mauro per
sottolineare che non si sta parlando di uno dei tanti diritti fondamentali,
ma di quello "da cui derivano tutti gli altri". "Dove la libertà religiosa
fiorisce – spiega il vescovo – germogliano e si sviluppano anche tutti gli
altri diritti; quando è in pericolo, anche gli altri vacillano". Perché ciò
sia compreso e applicato, "la diplomazia vaticana lavora instancabilmente a
più livelli: con le Comunità Europee e il Sovrano Militare Ordine di Malta,
oltre che con la Federazione Russa e l’Olp rappresentate presso la Santa
Sede da missioni speciali. È poi impegnata in sede Onu e Osce per
promuovere la dignità di tutte le persone e dunque combattere la
cristianofobia ma anche l’islamofobia e l’antisemitismo". Davanti alla
drammatica realtà vissuta da molti cristiani nel mondo, come in Iraq dove
oggi la comunità è ridotta alla metà rispetto a quella che era prima del
2003, è necessario "adottare misure concrete per garantire loro di godere
della libertà religiosa senza discriminazioni".
Ciò è possibile attraverso il dialogo che però, come ha detto Benedetto XVI
"deve essere chiaro, evitando relativismi e sincretismi, animato da un
sincero rispetto per gli altri e da uno spirito di riconciliazione". Ognuno
di noi deve essere testimone della verità incontrata, perché "qualsiasi
tradizione religiosa solida esige l’esibizione della propria identità. I
valori che appartengono alle autentiche convinzioni di fede non sono
estranei a quelli che la natura conserva e la ragione raggiunge: sono
quindi condivisibili da tutti".
Conclude l’intervento parlando non solo da diplomatico, ma anche da
vescovo, monsignor Mamberti, esortando tutti ad "accettare in prima persona
il rischio della libertà e di essere testimoni della verità. Così sarà
possibile promuovere anche sul piano politico e diplomatico un’autentica
libertà di religione per tutti". La libertà è anche dialogo con la scienza
e con la modernità: la fede ha sempre privilegiato un canale particolare
nel dialogo con il mondo scientifico.
Alla domanda: ‘esiste un ruolo per la creatività nella scienza?’ il prof.
Costantino Tsallis, responsabile del Centro Brasileiro de Pesquisas Fisicas,
afferma: "Io vedo una catena che inizia con la scoperta di qualche cosa che
ancora non si conosce. Il secondo anello è la creatività che spinge a fare
qualche cosa con quanto si è scoperto, a manipolarlo. E questo porta alla
scienza". Una consequenzialità di pensiero e azione che lo scienziato
sintetizza prendendo in uso una frase scritta da John Keats nel 1819:
"Beauty is truth, truth is beauty" e affiancandola a quanto contenuto nel
messaggio che Benedetto XVI aveva preparato per la visita all’Università La
Sapienza lo scorso febbraio: "La verità ci rende buoni e la bontà è vera".
I tre termini libertà, bellezza e bontà sono stati visualizzati come
vertici di un triangolo equilatero. Tsallis ha poi raccontato che da anni
sta lavorando sull’entropia. "L’entropia è la spia del bisogno, ma questo
concetto oltrepassa il campo fisico e chimico dove è solitamente
utilizzato. Il lavoro da me iniziato quasi per caso dal niente ha avuto
decine di applicazioni da parte di altri".
A originare il suo interesse era stato il desiderio di bellezza: "la
bellezza nella scienza ha una funzione importante per la scoperta della
verità". Mentre il presidente della Pontificia Accademia ‘Pro Vita’ e
rettore della Pontificia Università Lateranense, mons. Rino Fisichella, ha
ritenuto necessario il dialogo della Chiesa con la modernità, in quanto
"noi non stiamo nelle sagrestie, siamo nel mondo", rivendicando un ruolo
pubblico per la Chiesa, che porta ‘parole di vita e di speranza’.
Ricordando gli episodi di violenza contro i cristiani, avvenuti in India,
mons. Fisichella ha ribadito che le morti e le persecuzioni contro i
cristiani affermano che "i martiri ci sono ancora oggi come ai primi tempi
della chiesa" e queste violenze sono "frutto di un fanatismo che viene
censurato dai media solo perché siamo cristiani".
Infine, nell’incontro "Alle radici della diversità: oltre il
multiculturalismo", il prof. Prades Lopez, docente di teologia dogmatica
alla Facoltà teologica di Madrid, ha precisato che il multiculturalismo è
un fatto che si sta verificando ed al quale bisogna guardare. La sfida è su
quale sia l’ipotesi che può farci comprendere meglio questo fenomeno e
farci porre in modo ragionevole di fronte ad esso.
L’ortodosso Mescerinov, superiore della Fondazione del monastero San Daniil
di Dolmatovo, ha parlato del rapporto tra Chiesa, società e Stato in
Russia. Ha messo in rilievo che compito della Chiesa è quello di educare il
popolo: ma questo presuppone che la Chiesa abbia forza dentro di sé e che
la società avverta di avere bisogno della Chiesa. Invece la società è più
grande della Chiesa e la schiaccia, cercando di infiltrare in essa principi
laici: "Condizione perché possa parlarsi di multiculturalismo è che sia
presente una cultura; invece il comunismo ha smantellato la cultura russa e
questo è di ostacolo affinché esso possa attuarsi".
Ma al Meeting di Rimini si è parlato anche di ‘Persona e impresa:
valorizzazione e merito’ con l’on. Pierluigi Bersani. Il presidente della
Compagnia delle Opere, Bernhard Scholz, parte dalla domanda che molti
giovani gli pongono: "La domanda che tanti giovani mi pongono è sulla
possibilità della valorizzazione dell’individualità del singolo lavoratore
anche in un grande gruppo". Il ministro ombra dell’economia Pierluigi
Bersani afferma: "Quella del merito è parola da maneggiare con cautela.
Tutti pensano di aver merito, io preferisco concentrarmi su altre due
parole: libertà e cambiamento. Non c’è merito senza libertà. Anche le ‘lenzuolate’,
le liberalizzazioni delle quali sono stato promotore, non erano tanto
riorganizzazioni di sistema. Lo spirito è quello di rendere libero il
mercato affinché sia permesso ai giovani di trovare lavoro per ciò che
hanno studiato. Non è possibile studiare da farmacista se non ci sono le
farmacie".
Riguardo al secondo termine, cambiamento, precisa che "la più grande
dissonanza che un giovane può affrontare è quella di trovare un lavoro
diverso da quello per cui ha studiato", ritenendo l’unico rimedio la
continua innovazione. Un elemento importante è "la liberazione di tutti
dalla dipendenza dai bisogni primari". Infine è necessario sottolineare
l’enorme successo di due mostre: "Dall’amicizia all’azione, dall’azione
all’amicizia. Giuseppe Tovini", che è stata visitata da oltre 6000 persone;
e "Libertà va cercando, ch’è sì cara. Vigilando redimere", la quale ha
visto un immenso flusso di visitatore incessantemente e costante per tutta
la settimana e la cui fila invadeva gli altri padiglioni fieristici. Il più
importante aspetto della mostra è stato fornito da testimonianze di chi è
direttamente coinvolto nella vita delle carceri, documentazione di una
presenza che fa rinascere la speranza in un ambiente dove non si dovrebbe
aver più speranza.
Per concludere questo fil rouge giornaliero da Rimini non ci resta che
citare le parole del segretario di Stato, Giovanni Battista Montini, futuro
Papa Paolo VI, che nella prefazione alla biografia di Giuseppe Tovini nel
1953 scrisse: "Bisogna che i cattolici italiani non trascurino il culto dei
loro predecessori nella lotta per conservare alla nostra trasformata
società i tesori della tradizione cristiana, e che abbiano essi stessi
coscienza d’essere di tale tradizione e eredi, e custodi, e promotori,
quasi anelli dell’aurea catena che da Cristo arriva ai tempi nostri e ai
venturi si tende".
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