Buone notizie per i malati di leucemia mieloide cronica: le promesse di un
farmaco innovativo, l'imatinib, peraltro disponibile in Italia dal 2002,
sono diventate realta'. Uno studio multicentrico iniziato alla fine del
1999 all'Ospedale San Gerardo di Monza/Universita' Milano Bicocca e in
altri 20 centri nel mondo ha dimostrato in via definitiva l'efficacia del
farmaco: l'80% dei pazienti trattati col farmaco e' vivo a 5 anni dalla
diagnosi, lasso di tempo in cui negli anni precedenti la maggior parte dei
pazienti moriva.
I risultati di questo studio, che ha arruolato circa 500 pazienti, sono
stati presentati al Congresso dell'Associazione Americana di Ematologia (ASH),
ad Atlanta (USA), da Carlo Gambacorti professore associato presso
l'Universita' di Milano Bicocca, che opera presso l'Unita' Operativa di
Ematologia del San Gerardo diretta dal prof. Enrico Pogliani.
La leucemia mieloide cronica (LMC) e' causata dal cromosoma Philadelphia,
un'anomalia genetica che produce una proteina cancerogena chiamata
BCR-ABL. Nella ricerca in questione, nota come 'protocollo 110',
pazienti affetti da LMC gia' da alcuni anni (in media 3) sono stati
trattati con imatinib, farmaco che agisce legandosi a BCR-ABL, bloccando
completamente la sua attivita' e arrestando in tal modo la crescita del
tumore. Gia' dopo 3-6 mesi si sono cominciati a vedere i primi risultati
favorevoli: nel midollo osseo dei pazienti ricrescevano cellule staminali
normali con effetti collaterali minimi o completamente assenti. Questo
dato richiedeva pero' la conferma nel tempo. E questa e' arrivata.
"In questa popolazione di pazienti ci aspettavamo al momento dell'inizio
della terapia con imatinib una sopravvivenza di non oltre 2 anni -afferma
il prof. Gambacorti-. Ad oltre 5 anni di distanza 80% dei pazienti e'
invece vivo. Inoltre, nel 83% dei pazienti in cui e' avvenuta la
ricrescita di un midollo normale, cioe' in quelli che hanno raggiunto la
cosiddetta 'remissione citogenetica completa', questa remissione permane
immutata dopo 5 anni. Possiamo anche calcolare che in questi pazienti il
rischio annuo di un risveglio della malattia e' estremamente basso, tra lo
0.5 e il 1.5%. Considerando l'eta' media di insorgenza della malattia
(45-50 anni), cio' significa che oggi, per la gran parte dei pazienti, una
diagnosi di LMC significa solamente la necessita' di prendere una
pastiglia di imatinib al giorno. E' significativo che negli ultimi due
anni di studio, la maggior parte dei pazienti deceduti, sono morti non per
progressione della LMC, ma per altre cause non legate alla leucemia". In
altre parole, questi pazienti sono rientrati nella curva di sopravvivenza
della popolazione normale.
Se il problema LMC sembra risolto per circa l'80% dei pazienti, cosa dire
per il rimanente 20%? Anche qui il futuro sembra promettente, afferma
Gambacorti; tre nuovi inibitori della proteina Bcr/Abl sono in
sperimentazione clinica per pazienti non responsivi a imatinib o che
sviluppano resistenze. Tutte e tre queste molecole, al momento note solo
con sigle (BMS-354825, AMN107, SKI-606), sono disponibili al San Gerardo.
E' importante ricordare che se oggi raccogliamo questi risultati, e se
un'istituzione italiana e' stata tra le prime a intraprendere questa
strada, dobbiamo tutto cio' alla ricerca di base, che ha dapprima
identificato la causa della LMC (una traslocazione cromosomica, il famoso
cromosoma Filadelfia, che produce la proteina Bcr/Abl), e successivamente
identificato e caratterizzato il farmaco giusto, l'imatinib. "Dal 1995 ho
iniziato a lavorare in laboratorio con imatinib", afferma Gambacorti, che
grazie alle ricerche svolte col finanziamento dell'Associazione Italiana
per la Ricerca sul Cancro (AIRC) ha potuto per primo identificare alcune
caratteristiche importanti di questa molecola.
Archivio cellulestaminali
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