Telecom Italia contiene una "golden share", che dà al governo poteri
speciali in caso di riorganizzazioni societarie e ingresso di nuovi
soci. Anche se volesse farlo, tuttavia, il governo non potrebbe impedire il
riassetto di Telecom. Vediamo perché.
Dalle partecipazioni statali alle privatizzazioni
Chi possiede il pacchetto di maggioranza di una società
ha diritto di indirizzarne le scelte. La minoranza ha diritto di controllare
tali scelte e di resistervi se le ritiene inopportune, ma se esse sono
legittime, per i soci di minoranza (a meno che non formino un blocco
compatto) c’è poco da fare.
Queste regole valgono, in linea di principio, anche per le società a
partecipazione pubblica. Qualsiasi governo, tuttavia, riserva un’attenzione
particolare alle imprese che operano in alcuni settori economici ritenuti
vitali per gli interessi dello Stato: difesa, telecomunicazioni,
trasporti, energia. In Italia, l’attenzione per questi settori era in
passato così elevata che lo Stato vi faceva operare, in monopolio o in
regime di concorrenza (spesso comunque calmierata), società ed enti posti
sotto il suo controllo, vigilate all’interno del più ampio sistema delle
cosiddette partecipazioni statali. In questo modo il problema di scelte di
soci e amministratori che fossero contrarie agli interessi statali neppure
si poneva: lo Stato era l’imprenditore, o comunque lo
controllava strettamente.
Quando negli anni Novanta il sistema delle partecipazioni statali è fallito
(talvolta letteralmente: si pensi al disastro dell’Efim), e il bisogno di
incassi da privatizzazioni si è fatto disperato, l’indirizzo politico è
cambiato: le grandi società in mano pubblica sono state via via
privatizzate, incluse quelle operanti nei settori giudicati strategici per
gli interessi del paese. Lo Stato ha dunque dovuto cercare di tutelare gli
stessi vitali interessi disponendo però solo di una partecipazione di
minoranza, o addirittura avendo venduto tutte le proprie azioni.
Una missione apparentemente impossibile, se non fosse per uno strumento di
cui nessun privato può disporre.
"Golden share" e poteri speciali
Già il codice civile del 1942 consentiva allo Stato e
agli enti pubblici il diritto di nominare direttamente alcuni amministratori
e sindaci. Ciò, tuttavia, non era sufficiente, e lo strumento che venne
scelto nel 1994 fu quello di attribuire al governo (o in certi casi agli
enti locali, su società di servizio pubblico quali trasporti ed energia
operanti sul suo territorio) dei "poteri speciali" sulle società da
privatizzare. (1) Nel loro complesso vengono definiti come "golden
share" ("azione speciale"), ma non richiedono in realtà che lo Stato (o
l’ente pubblico) sia effettivamente azionista (anche se di minoranza): si
tratta infatti di prerogative pubbliche, che lo statuto delle società "a
sovranità limitata" incorpora e riconosce.
Tali poteri speciali, all’epoca delle grandi privatizzazioni degli
anni Novanta (Eni, Telecom, Enel), consistevano:
a) nel diritto di impedire che soci sgraditi acquistassero le azioni
e superassero una "soglia di attenzione" (a seconda dei casi fra il tre e il
cinque per cento). Analogo potere lo Stato si è poi riservato nei confronti
di coalizioni che si formino fra azionisti separati;
b) nel diritto di opporsi a decisioni fondamentali per il destino
della società, quali fusioni, scissioni, trasferimenti d’azienda,
trasferimenti della sede all’estero, e simili;
c) nel diritto (già previsto dal codice civile) di nominare uno o più
amministratori (fino a un quarto del totale) e sindaci della società.
Nel dare al governo i poteri speciali, l’Italia non era sola: lo stesso
(seppur con diversi accenti) hanno fatto il Regno Unito, la Francia, la
Spagna, e molti altri.
La "golden share": uno strumento sotto attacco
Vi è però da sempre un problema: questi "poteri speciali"
possono ostacolare la circolazione dei capitali all’interno del
mercato comune europeo. È per questo che, da molti anni, la Commissione
conduce una battaglia contro di essi, con vittorie anche significative
contro i singoli Stati membri dell’Unione, condannati dalla Corte di
giustizia delle Comunità europee. (2)
In conseguenza di ciò anche l’Italia, nel 1999 e quindi nuovamente
nel 2003, ha limato le unghie alla golden share. (3) Sotto
quattro profili:
a) sfoltendo la pletora delle società sotto tutela, riducendole a quelle che
operano in settori ritenuti vitali per il paese;
b) chiarendo che i poteri speciali possono essere esercitati solo quando
siano concretamente minacciati "interessi vitali" del paese;
c) disponendo che lo Stato non nomini più (veri) amministratori e sindaci,
ma solo un "amministratore senza diritto di voto" (una sorta di semplice
controllore ben informato, dunque);
d) specificando che il pericolo non può essere generico, ma deve riguardare
l’ordine pubblico, la sanità, la difesa nazionale, l’approvvigionamento
delle materie prime, la sicurezza delle reti, la continuità dei servizi
pubblici essenziali, delle telecomunicazioni e dei trasporti: ipotesi
gravissime ed estreme, che mal si adattano a "coprire" semplici finalità di
politica economica.
Ma la tendenza al dirigismo è forte, e spesso il socio pubblico cerca
di restare nella stanza dei bottoni anche quando diviene minoranza. Così,
nel 2004, il comune di Milano ha ceduto la maggioranza assoluta di
Aem (quotata), mantenendo però, mediante una combinazione di statuto e
codice civile apparentemente astuta, il diritto di nominare la maggioranza
degli amministratori. Scoperta facilmente la foglia di fico, una nuova
condanna della Corte di giustizia è questione di settimane. (4)
Telecom e la "golden share"
Se questo è il quadro, nella vicenda Telecom, il cui
statuto contiene una golden share (5), l’esercizio del diritto di
veto sulle operazioni di scorporo della rete fissa e mobile non sembra
seriamente ipotizzabile. Il governo potrebbe al massimo esigere che lo
statuto della società cui è conferita la rete fissa (che ha senz’altro
carattere strategico per gli interessi del paese) contenga una golden share:
ciò per mantenere gli stessi poteri di salvaguardia di cui oggi
dispone in caso di pericolo.
Ed anche se Tim, dopo essere stata scorporata in una nuova società,
venisse poi venduta, e persino a soggetti stranieri, ben poco ci sarebbe da
fare per il governo: il mercato comune è anche questo, ed Enel,
società controllata dallo Stato (e non semplicemente posta sotto tutela con
una golden share), vendendo Wind, ha appena fatto la stessa cosa.
(1) Legge 30 luglio 1994, n. 474.
(2) Si veda Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 23
maggio 2000, causa C-58/99, Commissione/Italia. La Corte, in coerenza con
precedenti pronunzie, ha ribadito che i "poteri speciali", potendo
ostacolare o scoraggiare l'esercizio delle libertà fondamentali garantite
dal Trattato, devono soddisfare quattro condizioni: 1) devono applicarsi in
modo non discriminatorio; 2) devono essere giustificati da motivi imperativi
di interesse generale; 3) devono essere idonei a garantire il conseguimento
dell'obiettivo perseguito; 4) non devono andare oltre quanto necessario per
il raggiungimento di questo.
(3) Legge 23 dicembre 1999, n. 488 (art. 66, comma 3), e legge 24
dicembre 2003, n. 350 (art. 4 commi 227-231). Si veda anche, per le modalità
di esercizio dei "poteri speciali", il decreto del presidente del Consiglio
dei ministri 10 giugno 2004 (in Gazz. Uff. n. 139 del 16 giugno 2004).
(4) Si vedano le conclusioni 7 settembre 2006 dell’Avvocato
generale presso la Corte, nelle cause riunite C-463/04 - C-464/04,
Federconsumatori e altri contro Comune di Milano. Le conclusioni
dell’Avvocato generale non vincolano la Corte, ma raramente vengono
disattese.
(5) Art. 22 dello statuto di Telecom Italia spa: "Ai sensi del comma
1 dell'articolo 2 del decreto legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con
modificazioni dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, come sostituito
dall’articolo 4, comma 227, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, il
ministro dell’Economia e delle finanze, d’intesa con il ministro delle
Attività produttive, è titolare dei seguenti poteri speciali:
a) opposizione all’assunzione, da parte dei soggetti nei confronti dei quali
opera il limite al possesso azionario di cui all’articolo 3 del decreto
legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito con modificazioni dalla legge 30
luglio 1994, n. 474, di partecipazioni rilevanti, per tali intendendosi
quelle che (…) rappresentano almeno il 3 per cento del capitale sociale
costituito da azioni con diritto di voto nelle assemblee ordinarie.
L’opposizione deve essere espressa entro dieci giorni dalla data della
comunicazione che deve essere effettuata dagli amministratori al momento
della richiesta di iscrizione nel libro soci, qualora il ministro ritenga
che l’operazione rechi pregiudizio agli interessi vitali dello Stato. (…).
Il provvedimento di esercizio del potere di opposizione è impugnabile entro
sessanta giorni dal cessionario innanzi al tribunale amministrativo
regionale del Lazio;
b) veto, debitamente motivato in relazione al concreto pregiudizio arrecato
agli interessi vitali dello Stato, all’adozione delle delibere di
scioglimento della società, di trasferimento dell’azienda, di fusione, di
scissione, di trasferimento della sede sociale all’estero, di cambiamento
dell’oggetto sociale, di modifica dello statuto che sopprimono o modificano
i poteri di cui al presente articolo. Il provvedimento di esercizio del
potere di veto è impugnabile entro sessanta giorni dai soci dissenzienti
innanzi al tribunale amministrativo regionale del Lazio. Il potere di
opposizione di cui alla precedente lettera a) è esercitabile con riferimento
alle fattispecie indicate all’articolo 4, comma 228, della legge 24 dicembre
2003, n. 350. I poteri speciali di cui alle precedenti lettere a) e b) sono
esercitati nel rispetto dei criteri indicati dal decreto del presidente del
Consiglio dei ministri del 10 giugno 2004
Indice Tutto sul Decreto Bersani e le Liberalizzazioni
Il governo approva la manovra: vendita dei farmaci nei supermercati e inasprimento fiscale per le rendite. Soddisfatti sindacati e consumatori
Liberalizzazione delle licenze dei taxi, vendita dei farmaci da banco nei supermercati, aumento delle imposte sugli affitti stagionali, dell’imposizione fiscale sulle stock option, i pacchetti azionari appannaggio dei manager aziendali, attualmente molto basse, e sulle rendite finanziarie. E poi ancora liberalizzazione delle tariffe dei professionisti e possibilità di effettuare il passaggio di proprietà dell’auto presso i comuni e non più presso i notai..
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