Ottantaquattro provvedimenti diversi, un lenzuolo di disegno
di legge di settantaquatro pagine e un decreto altrettanto
corposo che certo non cambieranno l'Italia ma, almeno, ci
aiuteranno a vivere un po' meglio. Potrebbe essere
riassunta in questo modo la fase 2 delle
liberalizzazioni a firma di Pierluigi Bersani, che segna
anche l'inizio del nuovo corso del governo Prodi,
nonostante una cospicua parte della stessa maggioranza, a
partire da Rutelli, avrebbe preferito meno timidezze e un
più robusto afflato riformista. Però si cominciano a
incidere piaghe importanti, soprattutto dal punto di vista
dei consumatori, risolvendo qualche inutile complicazione
e facendo risparmiare - che non fa mai male - perfino
qualche centesimo in più. Si dovesse esprimere un primo
giudizio sul pacchetto di liberalizzazioni (che, comunque,
dovrà essere esaminato nel tempo con maggior cura e nei
dettagli) si potrebbe affermare che questa maggioranza ha
svolto un ampio giro di orizzonte ed ha focalizzato la
propria impronta riformatrice a partire dal basso, dalle
piccole cose, quelle che sembrano contare poco per i
grandi analisti finanziari ma che, nel concreto, sono
quelle che contano per i cittadini, specie i meno
abbienti. Qualcosa di sinistra, insomma. Timida, per
carità, ma con i tempi che corrono senz'altro benvenuta.
Certo, su alcune grandi questioni (dai servizi
all’energia) i ministri hanno chiesto tempo per meglio
definire gli interventi, per capire bene cosa fare e dove,
per evitare che le aspirazioni troppo liberal di
alcuni si ripercuotessero immediatamente sull'occupazione
e sull'efficienza dei servizi. Intanto, però, non si può
non guardare con favore al fatto che d'ora in poi si potrà
chiudere un mutuo senza pagare incomprensibili penali o
sborsare cifre pesanti ad un notaio per estinguere
un'ipoteca altrimenti ventennale. Che ricaricare il
telefonino costerà meno, che non servirà fare chilometri
per raggiungere un’edicola e che sarà persino possibile
tagliarsi barba e capelli il lunedì. Niente di davvero
rivoluzionario, ma basta poco, in fondo, per sentirsi meno
vessati dalla burocrazia e dal sistema e, dunque, un po'
più liberi.
Meno entusiasmo, invece, suscita quella norma (inserita
all'ultimo tuffo e in piena notte nel pacchetto Bersani)
che consentirà di donare soldi - per esempio - alla scuola
dei propri figli. Un modo come un altro per consentire un
risparmio sulle tasse, soprattutto per le grandi imprese.
Ma viene da chiedersi: se si fanno entrare le aziende, le
società, i privati insomma nel sistema gestionale degli
istituti scolastici, poi che cosa chiederanno in cambio
dei finanziamenti? Dalla scuola pubblica (dove, per
carità, non funziona nulla) la società civile, lo Stato,
ha in cambio solo un ritorno in capacità e cultura dei
propri figli, futura classe dirigente del Paese.
Privatizzare la scuola di base significa interrompere
questo circolo virtuoso e lasciare nelle mani di chi ha
più soldi anche la scelta della tipologia di istruzione da
impartire alle nuove generazioni, in ossequio, forse, più
alle leggi del mercato che a quelle della cultura e della
formazione, dell'educazione e della crescita. Si ha dunque
l'impressione che, con questa norma, lo Stato abbia voluto
allontanare da sé uno dei compiti principali che gli
spetta, ovvero la formazione di coloro che lo terranno in
piedi domani. E senza alcuna contropartita.
Ma a parte questo punto oscuro, il resto dei provvedimenti
possono comunque essere considerati un passo
incoraggiante, prima di tutto a livello di immagine per il
governo. Dopo una finanziaria tutta da dimenticare, il
fallimento del vertice di Caserta da dove era emerso solo
il nulla e le continue polemiche sui temi etici più
scottanti, ecco riemergere una leggera espressione di
ottimismo in quel cittadino-consumatore, che solo fino a
ieri si era sentito solo ed esclusivamente
cittadino-contribuente. Senza essere specialisti nella
comunicazione, si tratta di un risultato non da poco. E se
questo è quanto ha prodotto, alla resa dei conti, la
cosidetta “guerra tra i riformisti”, allora che questa sia
la benvenuta, avendo dato – di fatto – un risultato
nettamente migliore di quella tra riformisti e radicali,
alla quale, per altro, non riusciamo ad appassionarci. E
che, anzi, ci preoccupa.
Tutto sul Decreto Bersani e le Liberalizzazioni
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