«Credo che oggi esistano le condizioni che non ci sono state in altre
circostanze», sprona Mastella. Ma intanto, solo a ripercorrere la storia di
questa commissione, vengono i brividi per il denaro speso e le energie in buona
parte sprecate. Andiamo a ritroso. Nella passata legislatura, sotto il ministro
leghista Roberto Castelli, era stata insediata ed aveva lavorato per ben cinque
anni la commissione capitanata dal magistrato Carlo Nordio, figura di alto
profilo, notoriamente simpatizzante della destra. «Il presidente - ricordano a
Napoli nell’entourage di Pietro Lignola, al vertice della Corte d’Assise Appello
e membro della commissione Nordio - si spostava nella capitale un paio di volte
al mese, restandovi alcuni giorni per partecipare ai lavori della commissione,
cui ha dedicato molte energie ed impegno professionale. Le conclusioni cui erano
pervenuti, per quanto ancora non definitive, riguardavano aspetti rilevanti,
come ad esempio il livello di discrezionalità del giudice nella valutazione
delle attenuanti o delle aggravanti al momento di decidere sulle esigenze di
custodia cautelare». In pratica, le ragioni per le quali saltiamo sulla sedia
ogni volta che un camorrista pluriassassino viene clamorosamente rimesso in
libertà.
«E’ assurdo - commenta il costituzionalista e senatore Ds Massimo Villone, che
con il recente volume Il costo della democrazia ha acceso i riflettori sullo
sperpero evitabile della cosa pubblica - impiegare energie e risorse in
commissioni che poi vengono sistematicamente sostituite col cambio delle
maggioranze. Meglio sarebbe far lavorare team di professionisti bipartisan, il
cui prezioso apporto scientifico sia ben al di sopra dei partiti e delle
compagini governative». Il codice penale insomma, sia chiaro, non dovrebbe
essere nè di destra nè di sinistra. Invece, tutti a casa. Istituita per decreto
il 23 dicembre 2001 (scadenza prevista dopo i canonici 12 mesi), la Commissione
Nordio era stata integrata e prorogata addirittura nove volte. 21 i membri che
la componevano inizialmente. Nel 2003 diventano ben 44, molti dei quali
provenienti da diverse parti della penisola. Fra gli altri, oltre allo stesso
Lignola, i magistrati Antonio Sardiello di Brindisi, Sebastiano Sorbello di
Asti, Mirko Stifano di Rovigo, Arturo Toppan di Treviso.
Chiediamo
a un funzionario contabile del Parlamento quanto, grosso modo, ci è costata
questa commissione. «Ad un calcolo semplice, considerando fra rimborsi, gettone
e indennità di missione una spesa media pari a 250 euro al giorno per ciascun
componente, pari a circa 1.000 euro al mese (nel caso di una seduta di un paio
di giorni ogni due settimane, ndr), possiamo parlare di una spesa annua pari a
circa 10.000 euro a testa. Il che significa che nei cinque anni di legislatura,
per questa sola commissione da 44 membri, il costo potrebbe aver superato i 2
milioni di euro».
Fra i componenti di spicco del team guidato da Nordio c’era il penalista
partenopeo Alfonso Stile, ordinario di Diritto penale alla Sapienza. «Ho
lasciato presto la Commissione - spiega - perchè ci si chiedeva di lavorare in
gran fretta e non condividevo questo metodo. Comunque, almeno nel mio caso, non
è stato speso nemmeno un euro, dal momento che insegno a Roma, dove ha sede
anche il mio studio professionale». Il problema vero è stato che «mentre la
commissione lavorava alacremente per riformare il codice, il governo procedeva a
colpi di decreto legge, come è accaduto ad esempio con la Cirielli, stravolgendo
di fatto il senso stesso di quella corposa attività».
Prima delle commissioni Pisapia e Nordio, altri governi avevano destinato somme
del bilancio dello Stato per insediare analoghi staff di professionisti con
l’identico scopo. Non erano stati portati a termine, ad esempio, i lavori della
commissione guidata dal celebre penalista piemontese Federico Grosso, voluta ai
tempi del guardasigilli Giovanni Maria Flick nel primo governo Prodi. Analogo
destino per la Commissione Pagliaro che, sotto il ministro Giuliano Vassalli,
nei primi anni novanta era arrivata a buon punto prima di fare le valigie per
tornare a casa. Lo spreco maggiore, secondo il professore Stile, sta soprattutto
«in una organizzazione complessivamente sbagliata, che in molti casi vanifica il
consistente dispendio di energie dei magistrati, degli avvocati e dei docenti
universitari».
Ma non è ancora finita. Sempre a via Arenula un nuovo “doppione”, finora passato
sotto silenzio, merita di essere portato alla luce. E’ quello che riguarda la
commissione incaricata di riformare il codice di procedura penale. Presieduta da
Giuseppe Riccio, docente alla Federico II e figlio del gavianeo Stefano Riccio,
la nuova compagine è composta da 26 personalità e comprende, fra gli altri, i
magistrati Tommaso Buonanno, procuratore aggiunto a Bergamo, il giudice del
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Raffaello Magi, il procuratore capo di
Reggio Emilia Italo Materia, il pm partenopeo Giovanni Melillo, il giudice del
tribunale di Napoli Maurizio Stanziola e, dalla Cassazione, Giuseppe Santalucia.
Durante il governo Berlusconi l’identico compito era stato affidato alla
Commissione presieduta dal penalista salernitano Antonio Dalia, affiancato dai
magistrati partenopei Luciano D'Angelo ed Angelo Di Salvo, nonchè dai
consiglieri di Cassazione Nicola Milo e Giovanni Silvestri. In tutto, 21
componenti iniziali, balzati poi a 31 unità nel gennaio 2005. Anche lì, tanto
lavoro, centinaia di migliaia di euro volati via, e poi tutti a casa.
IN NOME DELLA TOGA
I
primi, insomma, ad aggirare elementari principi di rigore in fatto di spesa del
denaro pubblico sono stati i guadasigilli succedutisi nel corso delle
legislatura: proprio loro che dovrebbero essere i massimi tutori della legalità.
In ogni caso, che siano dirottate in commissioni di riforma dei codici oppure
distaccate nei rivoli degli altri mille incarichi che annualmente vengono
conferiti ai magistrati (al punto che da quest’anno il Csm è corso ai ripari,
ponendo un tetto massimo al fenomeno), le toghe italiane rappresentano una fra
le categorie del pubblico impiego meglio retribuite.
E per le quali, finora, difficilmente può scattare la sindrome della quarta (e
ormai anche terza) settimana, che attanaglia buona parte delle famiglie a
reddito fisso. Diamo una rapida occhiata alle retribuzioni lorde, precisando che
si tratta di quelle riferite al 2004 e che quindi avranno subito nel frattempo
quanto meno gli adeguamenti Istat.
Un magistrato di tribunale dopo appena tre anni di nomina percepisce uno
stipendio di 5.800 e passa euro, cui se ne aggiungono mensilmente altri 3.000
circa fra indennità integrativa speciale ed indennità giudiziaria. In Corte
d’Appello lo stipendio base passa ad oltre 8.500 euro, più le predette
integrazioni. Eccoci in Cassazione: la retribuzione qui sfiora ogni mese i 15
mila euro, che arrivano a circa 27 mila nel caso di presidenti e procuratori
generali. Il 23 gennaio 2006 un decreto legislativo finalizzato a modificare
l’organico dei magistrati addetti alla Corte di Cassazione è stato finanziato
con 629.000 euro per l'anno 2005 e con oltre 1 milione e 250 mila euro per il
2006.
Con quale produttività? Gli ultimi dati disponibili sul totale dei procedimenti
pendenti nel nostro Paese risalgono al novembre di due anni fa. Cominciamo
dall’area Civile. Quasi 4 milioni e settecentomila giudizi risultavano ancora in
attesa di definizione (fra primo grado e Appello) a tutto il primo semestre
2005, contro i 4.571.514 dell’anno precedente. In Cassazione, 93.726 pendenti
rispetto ai 91.963 di un anno prima.
Passiamo al penale, dove - sempre secondo rilevazioni 2005 del ministero -
restavano “in attesa” oltre 5 milioni di giudizi, di cui oltre 30 mila in
Cassazione. Ancor più aggiornati i dati sul tempo di giacenza media dei
procedimenti nei tribunali italiani, relativi però alle sole Corti d’Appello: si
va dai 1.234 giorni di Ancona ai 1.139 di Brescia, con altre punte oltre i mille
a Campobasso, L’Aquila e Venezia (che arriva a quota 1.200 giorni). Non a caso
il malessere serpeggia all’interno degli stessi ranghi della magistratura, dove
le personalità maggiormente impegnate e spesso in prima linea contro la
criminalità organizzata puntano l’indice su quella consistente parte della
categoria che «vede con preoccupazione le innovazioni finalizzate a snellire il
carico di lavoro» o che, per dirla con Brecht, «è assolutamente incorruttibile:
non esiste alcun prezzo per costringerli a fare bene il proprio lavoro».
Indice
09/01/2007 Pascià 2007: Lo spreco I
09/01/2007 Pascià 2007: Lo spreco II
09/01/2007 Pascià 2007: Lo spreco II
|