I segni del cambiamento climatico non confermano che siamo giunti al punto
di non ritorno
Le affermazioni piuttosto avvilenti di James Lovelock cioè che è stato raggiunto il punto di non ritorno per quanto riguarda i
cambiamenti climatici, ha avuto un effetto deprimente su chi si accingeva a
consumare la prima colazione. Anche se sono d’accordo sull’opportunità di
ricorrere a questo tipo di sveglia penso però che ci sia ancora spazio per
l’ottimismo.
Ormai è chiaro a tutti che stiamo vivendo una fase di cambiamenti climatici. L’Independent
è stato in prima linea a lanciare i segnali di allarme riguardo ai fenomeni
naturali, che si possono sommare in modo pesante agli effetti del riscaldamento
globale provocati dall’attività umana, come lo scioglimento del permafrost
siberiano con la sua pericolosa fuoriuscita di grandi quantità di gas nocivi
nell’atmosfera. Tuttavia questi segnali non confermano, come viene suggerito da
Lovelock, che sia stato raggiunto il punto di non ritorno.
Certamente, se non facciamo nulla, ci troveremo di fronte a una grave crisi,
però non c’è niente da guadagnare presupponendo che siamo già al peggio,
specialmente quando la scienza stessa afferma che esiste ancora una finestra di
opportunità.
I modelli di ricerca più recenti calcolano che per evitare i peggiori effetti
del cambiamento climatico l’equivalente massimo di gas serra in biossido di
carbonio immesso nell’atmosfera debba essere di 450 parti per milione. Adesso è
ancora possibile evitare di raggiungere tale soglia mettendo in atto rapidamente
le tecnologie e le politiche attualmente disponibili. Se ci si decide
politicamente le soluzioni spunteranno da sole.
In Gran Bretagna ci possiamo mettere sulla giusta strada riducendo le emissioni
di biossido di carbonio del 3 per cento annuo, tutti gli anni. Si tratta di una
misura fattibile e abbordabile. Si può raggiungere questo obiettivo attraverso
le fonti energetiche rinnovabili, la ricerca dell’efficienza nell’suo
dell’energia, un uso più pulito dei combustibili fossili e, soprattutto, con la
riduzione delle emissioni dovute al trasporto, compreso quello aereo.
Una grande fonte potenziale ancora inesplorata è costituita dalle fonti di
energia rinnovabili. Non si tratta soltanto delle fonti eoliche, sulla costa e
sul mare, ma anche di un ampio spettro costituito da altre tecnologie, come
quello solare, delle maree e del moto ondoso.
Un uso più efficiente dell’energia deve essere in prima linea nel tentativo di
ridurre le emissioni. Una ricerca dell Oxford University Environmental Change
Institute ha mostrato come si possono ridurre del 60 per cento le emissioni
delle nostre abitazioni mediante un miglioramento delle tecniche di costruzioni
e dell’efficienza energetica nelle abitazioni esistenti, notoriamente versate
allo spreco. Solo il 18 per cento delle abitazioni inglesi risultano ben isolate
termicamente, eppure esse consumano il 30 per cento dell’energia nazionale.
Si può, e si deve, usare il nostro combustibile fossile con il 40 per cento in
più di efficienza. Per esempio combinando assieme le centrali di riscaldamento e
quelle energetiche. Come misura temporanea possiamo anche riutilizzare stazioni
energetiche a carbone con impianti di riscaldamento a più grande efficienza.
Considerate tutte queste piccole cose che possiamo fare subito, in modo
relativamente agevole, non c’è da meravigliarsi che i grandi gruppi
ambientalisti siano uniti nell’opporsi al nucleare. Questa fonte costosa e
screditata di elettricità ha bisogno di oltre 15 anni prima di portare il suo
contributo, si tratta di anni cruciali durante i quali dovremmo ridurre le
emissioni, e non aspettare che il nucleare si faccia vivo con le false premesse
di oltre cinquanta anni prima.
Anche le emissioni dovute ai trasporti possono essere affrontate. Anche se il
Department for Transport è famoso per aver ignorato i cambiamenti climatici e
per aver permesso che le emissioni continuassero a aumentare sempre più,
tuttavia proprio le sue ricerche hanno dimostrato come l’uso di macchine ibride
e un trasporto pubblico migliore possano ridurre le emissioni del trasporto di
superficie di circa la metà.
La grande sfida è quella di riuscire a mettere in pratica tutte queste
tecnologie e fonti alternative. Non soltanto qui da noi ma anche nei paesi che
contribuiscono di più all’inquinamento. Qui, come altrove, è la volontà politica
che manca. Però persino negli USA vi sono segnali di speranza. La pressione
interna ha contribuito a bloccare il tentativo dell’amministrazione Bush di far
fallire i colloqui internazionali a Montreal dicembre scorso, mentre molti stati
e città degli USA stanno prendendo le loro proprie iniziative per ridurre le
emissioni. Perfino la destra religiosa si sta muovendo.
La Cina, il Brasile, l’India e gli altri paesi che si stanno sviluppando a ritmi
veloci costituiscono delle sfide molto diverse. Essi devono chiedere aiuto ai
paesi sviluppati se vogliono passare all’utilizzo energetico con basse emissioni
nocive invece di passare automaticamente alla fase di spreco primitiva. Intanto
in Gran Bretagna la campagna degli Amici della Terra a favore di una legge sul
Cambiamento Climatico, che obbligherebbe il governo a rendere operativo la
riduzione delle emissioni anno per anno, ha ottenuto l’appoggio di 319
parlamentari.
Certamente Lovelock ha ragione quando pone in risalto il fatto che Gaia si può
vendicare, ma non è ancora il momento di scrivere la guida di come sopravvivere
agli effetti del riscaldamento globale. Una cosa è certa: cessare di combattere
contro il cambiamento climatico in questa momento sarebbe pura pazzia. E’
rimasto poco tempo, però ce n’è ancora.
Tony Juniper è il direttore dell’associazione Friends of the Earth (Amici della
Terra) (Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord.)
Fonte:www.commondreams.org
Link:http://www.commondreams.org/views06/0117-24.htm
20.01.06
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da VICHI
Archivio Controllo Elettronico Climatico
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