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02/11/2006 La Pubblicità Subliminale (Ruben Ratti, Tratto dal libro "Occulta sarà tua sorella", www.disinformazione.it)

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Ho visto cose che vuoi umani non
potreste neanche immaginare
Rutger Hauer


La pubblicità subliminale è stata fra le protagoniste del secolo scorso in tema di comunicazione, essendo riuscita ad attirare su di sé l'attenzione del mondo scientifico, culturale e politico, ma soprattutto l'interesse attivo delle grandi masse, dell'opinione pubblica, prendendo spesso la forma della leggenda metropolitana. La sua storia si intreccia a doppio filo con quella del cinema, quello americano in particolare, che ha contribuito parecchio ad alimentare il dibattito sulla tecnica, e ancora oggi il fantasma del subliminale aleggia intorno al cinema inteso sia come industria sia come arte.

Vicary-Packard-Key: il triangolo della persuasione



Potevamo stupirvi con effetti speciali
e colori ultravivaci...
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L’evento che portò alla ribalta l'argomento della pubblicità subliminale è ormai molto noto. Nel 1957 James Vicary, uno studioso di marketing, durante la proiezione del film Picnic (Joshua Logan, Usa, 1955) mandò sullo schermo tramite un apposito strumento, le scritte «bevete Coca-Cola» e «mangiate pop corn». Il tempo di proiezione, 1/3000 di secondo, risultava così breve da rendere impossibile la visione agli spettatori. Alla fine del film si scopri che vi era stato un consumo medio di Coca-Cola e pop corn statisticamente superiore alla media (rispettivamente del 18% e 57%), dal che se ne dedusse che il comportamento d'acquisto era stato condizionato da quel messaggio non visto. L’ulteriore deduzione che seguiva era incredibile: si prospettava l'ipotesi di poter influenzare i consumi di una persona semplicemente proponendole dei messaggi di cui essa stessa rimaneva ignara. Quando i risultati di questo esperimento divennero di dominio pubblico si accese immediatamente in America un forte dibattito etico sulla tecnica.
La questione attirò l'interesse del mondo industriale perché, come disse Vicary:

Il miraggio che questa forma persuasiva potesse incrementare il fatturato delle aziende fece trovare finanziatori interessati ad approfondire il tema, tanto che nacquero le prime agenzie specializzate in pubblicità subliminale.

A livello governativo, invece, le massime autorità istituzionali in materia di pubblicità, come la Federal Communication Commission e la Federal Trade Communication, si schierarono subito contro il subliminale, in modo preventivo e senza alcuna prova scientifica della sua presunta pericolosità, richiamando i pubblicitari e tutto il settore della comunicazione all'etica e alla correttezza professionali. Le prime dichiarazioni della Fcc, infatti, risalgono già al 1958, anno successivo all'esperimento, a riprova dell'allarme creato. Nella scienza ufficiale, dove già si conosceva il subliminale (inteso come «percezione subliminale»), e nelle ricerche di marketing si vivacizzò invece il dibattito accademico, interrogato direttamente dall'opinione pubblica sull'efficacia di questo tipo di tecnica.

Vicary si rivelò un vero apprendista stregone, perché anche quando cercò di ridimensionare l'importanza dei suoi risultati, che non furono mai replicati nemmeno da lui stesso, la dichiarazione della sua scoperta fu come una formula magica capace di far muovere tutto un mondo di curiosità, interessi, divieti e attenzioni che non riuscì a fermare nemmeno la più radicale delle sue affermazioni: «L’esperimento era stato tutta una montatura [ ... ] allo scopo di allargare la clientela della mia ditta di marketing che attraversava un momento di difficoltà» (siamo nel 1962 ... ).

Da quel momento iniziarono a fiorire ritrovamenti di inserimenti subliminali, non più solo nel cinema, ma anche nella musica, alla Tv, alla radio, negli spot pubblicitari di ogni genere, cioè in tutti quei messaggi che quotidianamente arrivavano a milioni di persone. Si cominciò anche a sperimentare questa tecnica su larghe masse, con esperimenti fatti alla radio e alla Tv, episodi che aumentarono la notorietà di Vicary e spinsero l'opinione pubblica a prendere posizione sull'argomento. Questa pratica associava una frenesia e un timore nascosto che solo successivamente potranno essere chiaramente compresi: la pubblicità subliminale si rivelò un tema capace di attirare una curiosità morbosa, perturbata da fantasmi che gonfiavano l'importanza della sua presunta influenza. Le numerose prove scientifiche provenienti da più discipline, che mettevano plausibilmente in serio dubbio la sua efficacia e addirittura il suo oggettivo funzionamento, non riuscivano ad arginare la propagazione delle credenze intorno ad essa, arrivando invece a creare una teoria irrazionale dell'evento, montata su «prove» la cui validità era tutta da verificare. Più ne parlavano giornali e media, più sembrava accrescersi la convinzione della sua efficacia. Nel 1958 Richard Lessler (vicepresidente della Grey Advertising Agency) consigliò ai suoi clienti, in un messaggio televisivo, l'uso della pubblicità subliminale, proponendola come una buona integrazione tra lo spettacolo e il messaggio commerciale.

Anche il cinema, grande protagonista della scena sociale di quegli anni, colse al balzo l'occasione di questo morboso interesse del pubblico, facendone un nuovo soggetto da sceneggiare, da romanzare, compiacendosi indirettamente di alimentare i fantasmi più turpi sull'efficacia della persuasione subliminale. Fantasmi che oggi ritroviamo, come idea più o meno strutturata in opinioni e credenze, anche nelle nostre ricerche sul cinema e sulla pubblicità in genere. Scrive Pratkanis:

Da un sondaggio effettuato attorno al 1970 negli Usa emerse che l'8 1 % di coloro che avevano risposto e che avevano sentito parlare della pubblicità subliminale la riteneva una pratica corrente e che oltre il 68% riteneva che essa riuscisse a vendere i prodotti. Fatto più sorprendente, le indagini dimostrano che molti vengono a conoscenza degli influssi subliminali attraverso i mass media e i corsi di scuole medie e college, ulteriore indicazione della necessità di un'educazione scientifica nelle scuole americane.'

Ma ancora, nel 1982, il «Journal of Marketing» riportò un articolo in cui veniva definita come «la più allarmante e oltraggiosa arma inventata dopo la mitragliatrice», il «Globe Mail» ripropose il problema della possibilità che fosse usata senza scrupoli per scopi politici, e il «New Yorker» affermò che con il subliminale la mente della persone potesse essere «rotta e invasa» (vedremo fra poco l'insidiosità di un linguaggio simile). Gli stessi studi scientifici non si arrestarono, anche se subirono delle radicali trasformazioni rispetto al subliminale proposto da Vicary.

Un altro fattore a favore della diffusione di questo «mito» fu che proprio in quegli anni, negli Stati Uniti, stava emergendo una particolare lettura della società consumistica ben rappresentata nei contenuti del libro di Vance Packard, “I persuasori occulti”. Se la sua impostazione scientifica era quella della ricerca motivazionale, che nasceva proprio in quel periodo, leggendo il suo testo si ha la sensazione di essere messi costantemente in guardia dai pubblicitari, presentati come totalmente schierati a favore dei produttori, che a loro volta considerano i consumatori solo come polli da spennare senza pietà, ingannandoli in tutti i modi pur di rifilare loro il proprio prodotto: pur di vendere.
Nel libro domina un senso di spiazzamento costante del lettore/consumatore, spaventato dalla trama diabolica del supermercato, come quando Packard cita il nome di Vicary e la sua ipotesi dell'«ipnosi da supermercato». Vi è un criptico piacere nel presentare il prodotto come una trappola cognitiva e affettiva, il gusto dello smacco e dello scacco ai danni del consumatore perpetrato dalla pubblicità, tanto che a volte il libro sembra il manuale di un mago in vena di svelare i suoi trucchi.

Analizzando il linguaggio usato da Packard si nota come faccia ampio uso del registro psicoanalitico e di questa teoria consideri proprio il più fondante ma sibillino dei suoi concetti: l'inconscio. Il ricorso a questo linguaggio, usato al di fuori di un setting terapeutico psicoanalitico, predispone a un uso manipolatorio del senso della frase, anche se la lettura mantiene una forte impressione di plausibilità argomentativa, frutto più delle qualità intrinseche del linguaggio psicoanalitico che delle argomentazione addotte. E proprio il ricorso a questo registro, se non proprio alla teoria in generale, tra il 1960 e il 1970 era in piena affermazione: inizia il tempo in cui si afferma «quella psicoanalisi da salotto» che farà tanto male agli psicanalisti seri e alla materia in generale, ma che in compenso darà luogo alle brillanti interpretazioni di Woody Allen. Un esempio, parallelo a Packard, è un libro di Cousin dal titolo emblematico Imbrattare l'inconscio (1957), dove la pubblicità subliminale viene presentata in questo tono: «[una tecnica capace di] penetrare le parti più profonde e intime della mente umana per lasciarvi ogni sorta di graffi». Questo linguaggio è fortemente induttivo di associazioni che fanno sentire esposti e indifesi, come sottolinea la metafora della violenza carnale («penetrare le parti [ ... ] intime»), ma ancor peggio è la seconda frase («graffiare la mente») perché induce a pensare alla mente come a una specie di tavola di gesso su cui si incide un graffio indelebile (il messaggio subliminale) che segnerà per sempre la coscienza. E’ come se il subliminale fosse paragonabile a un grave trauma infantile o a traumi post-torture, tanto per citare due eventi che «lasciano il segno». E su questa strada si scende verso generalizzazioni indebite e facilone, del tipo: «Se è possibile vendere più pop corn usando questa tecnica, perché non lo si può fare anche per spingere l'approvazione dell'uso di testate nucleari?».

Il subliminale, quel «qualcosa che non si percepisce bene», sarebbe andato a sostituire i decenni di studi sulla comunicazione persuasiva, che si arrovellava su come far cambiare opinione alla gente, ignorando gli aspetti principali che questi studi avevano già individuato: le caratteristiche della fonte (l'aspetto fisico, l'importanza percepita, la credibilità, ecc.), la struttura del messaggio (la coerenza argomentativa, la logicità interna ed esterna, ecc.), il medium utilizzato (il gruppo, la televisione, la radio, ecc.).
Ma sarà ancora la strada dell'inconscio che verrà battuta, qualche anno più tardi (1970), da un altro celebre protagonista della saga del subliminale: il professor Wilson Bryan Key, un ricercatore di marketing che diventerà famoso per le scoperte sulle «figure subliminali», nascoste nelle normali immagini pubblicitarie, che avrebbero la proprietà di sedurre lo spettatore. Anche questa proposta di Key e i suoi libri ebbero molto successo, trovando nel grande pubblico entusiasti sostenitori disposti a credervi, nonostante i risultati sperimentali successivi non concordassero con le sue ipotesi.

Il successo «di pubblico» di questa tecnica fu enorme e quasi inversamente proporzionale alle prove scientifiche della sua efficacia, ancora oggi rileviamo nelle nostre ricerche sul cinema (e sul product placement) residui di alcuni fantasmi di allora. Cercando le cause di questo successo, la letteratura pare ormai concordare su alcune spiegazioni.
La prima è contenuta nel discorso fatto finora sui mass media. Giornali, Tv, cinema, radio fecero da cassa di risonanza al fenomeno subliminale: quando un argomento stuzzica e incuriosisce, infatti, questo si propaga da solo, come se il sassolino lanciato quasi sbadatamente da Vicary, scendendo a valle, avesse provocato una valanga.

Vi è una seconda spiegazione, di tipo psicologico, su cui concorda la letteratura: la strana facilità che ebbe il tema del subliminale ad attecchire nell'opinione pubblica, grazie al clima sociale che si respirava in quel tempo. Si era all'inizio di una stagione sociopolitica particolare, in cui si stava sviluppando il timore che un pugno di uomini di potere potesse usare questi mezzi per condizionare la popolazione, piegandola ai proprio scopi. Nel 1958 William Dawson, un rappresentante del Congresso, guidò una battaglia contro il subliminale affermando che potesse «essere usato per scopi politici»'. Si temeva uno scenario orwelliano di un'umanità annichilita e impotente di fronte a chi detiene gli strumenti della propaganda: un mondo di zombi al servizio di un qualsiasi big brother fu evocato con particolare insistenza nei confronti della pubblicità subliminale.

Non era infrequente vedere rappresentati i piani alti del potere politico come una cricca di burattinai interessati solo che le persone facessero i movimenti da loro voluti, nullificando il libero arbitrio del singolo cittadino in favore dei propri interessi personali. Questo comportamento di massa, conosciuto alla psicologia e ben descritto dalla cosiddetta «teoria della cospirazione», consiste nella tendenza a imbastire trame spesse e complicate intorno ad argomenti che abbiano certe caratteristiche, come il non essere supportati da prove certe, non essere «falsificabili». Questi eventi sono gli omicidi politici, come quello del presidente Kennedy (1963), trame politiche come quelle del Watergate (1973) o del nostrano «caso Ustica» (1980), le vicende delle sette (come i suicidi di massa), l'operato delle agenzie di spionaggio (come il caso MkUltra della Cia). Su questa interpretazione, tramite la teoria della cospirazione, converge gran parte della letteratura.

Ma accanto a queste due spiegazioni ve ne è un'altra che è pari per importanza e che emerge adottando uno sguardo che contestualizzi il periodo storico. Ciò di cui ci si sta occupando accadeva negli anni in cui era in pieno processo di formazione la «società dei consumi», che si sviluppava su una base di fondamentale ottimismo fondato sulla fioritura economica e che scopriva lentamente e «in tempo reale» sia i suoi pregi sia i suoi difetti. Il raggiungimento del benessere aveva fatto emergere nuovi problemi (inquinamento, nuovi conflitti sociali, ecc.), dando luogo a un'analisi critica del mondo economico in cui la pubblicità, e quindi il subliminale, svolgevano un ruolo chiave. La nascita del movimento artistico della Pop Art, che trovava la sua ragion d'essere proprio in relazione alla società dei consumi, è la prova di questa elevata sensibilità. La Pop Art promosse un'autoriflessione sociale grazie ad artisti come Warhol, Oldenburg, Segal…

(…)

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