Violenza nelle strade. Ragazzini che sognano di diventare killer. Boss
che si fanno imprenditori. Coca a ogni angolo. Rifiuti ovunque. E la
politica non ha risposte per una città senza più speranza
Era uno degli ultimi a essere sfuggito. Ne restavano soltanto due. Il
penultimo era lui, Modestino Bosco, 35 anni, e l'hanno massacrato in un
garage sabato 2 settembre. Il clan Licciardi l'aveva condannato a morte
molto tempo fa. L'aveva inserito nella famosa 'lista della Resurrezione'.
Una lista di nomi scritta e affissa fuori la chiesa della Resurrezione a
Secondigliano. I nomi erano dei presunti responsabili - secondo il clan -
della morte del nipote di Gennaro Licciardi 'a'scigna', Vincenzo Esposito
ucciso nel 1997 a 21 anni al rione Monterosa. Esposito lo chiamavano 'il
principino' per il suo essere nipote dei sovrani di Secondigliano. Era
andato in moto a chiedere spiegazione di una violenza subìta da alcuni
suoi amici. Indossava il casco e venne scambiato per un killer. Quando se
ne accorsero gli esecutori avrebbero voluto uccidersi con le loro mani,
siccome intuirono che sarebbe stata cosa migliore che aspettare la ferocia
dei Licciardi. E i Licciardi fecero partire una mattanza che in pochi
giorni uccise 14 persone, a vario titolo coinvolte nell'omicidio del loro
giovane erede.
Fu così che nacque l'idea di affiggere una lista fuori la chiesa, una
lista che il parroco subito strappò, ma non così in fretta da non far
leggere i nomi a tutti. Un modo per marchiare a fuoco i responsabili, per
velocizzare l'eliminazione senza dover iniziare la strategia delle
mattanze trasversali, un invito a consegnarsi per salvare i familiari, un
invito ai familiari a consegnare il loro 'morto viven -te'. E dopo lunghi
anni, la memoria dei clan è ferrea e infallibile, Modestino Bosco ha
pagato la sua condanna. Non è stato uno degli ultimi a morire. Infatti
pochi giorni dopo è stato ucciso Bruno Mancini, pregiudicato vicino al
clan Di Lauro, crivellato di colpi di 9x21, la pistola il cui calcio da
queste parti si abbina con il colore della cintura. Poche ore dopo, un
altro agguato: Alfonso Pezzella, 56 anni, è stato assassinato nella
sezione dei Comunisti italiani di Casandrino, intitolata ad Antonio
Gramsci. Pezzella era un falegname, le indagini mostrano che aveva deciso
di interrompere il pagamento dei debiti d'usura. E poi l'ennesimo
innocente ammazzato per una rapina: un edicolante Salvatore Buglione 51
anni, la prima sera che non si era fatto assistere dai suoi parenti
durante la chiusura del chiosco è stato assalito. Lo volevano rapinare
dell'incasso del giorno, l'hanno accoltellato al petto, vicino al cuore.
Tre vittime soltanto in un giorno.
Eppure fino a martedì l'estate era stata fatta di scippi, condotti con
violenza e tecnica creativa. Il filo di banca è la più sofisticata: si
aggancia la persona allo sportello, quella che ha prelevato più soldi, si
lancia l'allarme con il telefonino ai complici e la vittima viene pedinata
fino a una strada tranquilla. A quel punto non servono neanche le armi:
quasi sempre basta la minaccia per farsi consegnare i soldi. C'è poi il
metodo del panino, le forche caudine urbane: si sfrutta la strettoia per
scippare. Infine il colpo al Rolex, aggiornato nell'era di Internet: si
studiano su Ebay le quotazioni degli orologi, memorizzando i più
richiesti. Poi si 'squadra la situazione', cercando al polso della vittima
il pezzo più pregiato. L'agguato scatta nella zona degli alberghi sul
lungomare e per il Rolex si è pronti a tutto, anche a sparare. E così in
un territorio che va da via Chiaia a piazza Garibaldi passando per via
Caracciolo e i Decumani solo nei mesi di luglio e agosto sono stati
denunciati 756 scippi e rapine: più di 12 al giorno.
Quello che sembra essere una costante di Napoli e delle letture che si
fanno del territorio partenopeo è che il male è tutto il male possibile ed
il bene è tutto il bene possibile. È complesso riuscire a isolare i
vettori delle contraddizioni, riuscire a comprendere sino in fondo le
dinamiche, capirne i perimetri, valutare le tragedie. Napoli sembra
sprofondare ed ogni qual volta si è certi di aver raggiunto una sorta di
abisso che non può celare sotto che altro abisso, si continua invece a
scendere. Come se il limite non si raggiungesse mai. Le estati sono
momenti di impennata: turisti, vacanzieri, la vita per strada, divengono
portatori di oggetti e danari troppo succulenti per non essere considerati
come capitale mobile, danaro frusciante che ti passa sotto il naso, come
se avessero sotto le t-shirt e i top il colore verde del dollaro o dei 500
euro. Poi, dopo, si alternano mazzi di fiori inviati ai turisti pestati,
inviti a rimanere nelle splendide terre della Magna Grecia e poi lettere
ai giornali di chi abbandona Napoli perché esausto. E di chi resiste. E
turisti che dicono di non aver mai avuto tanta paura come in questa città,
come l'americano Thomas Matthew Godfrey che ha reagito a uno scippo in
vico dei Maiorani qualche settimana fa e si è trovato addosso una carica
di persone, corse a sostenere i criminali che lui era riuscito a bloccare.
Il percorso non sembra essere mutato dal 1996 quando il leggendario 'Pippotto',
ragazzino di Secondigliano chiamato da tutti ''o terrore', appena
quattordicenne riusciva a fare decine di rapine in un'ora e cercava di
migliorare le sue capacità tirando coca. La coca che a Napoli ha raggiunto
prezzi bassissimi, arriva anche a 10 euro a dose al Rione dei Fiori
nell'area nord della città, è il carburante migliore per mantenere un
elevato grado di efficienza al furto, in grado di non farti sentire la
stanchezza, di fare su e giù per le strade e di non perdere l'attenzione
per 'squadrarsi la situazione'. Qualche giorno fa un ragazzo di vent'anni
in un'ora ha scippato quattro donne, tra cui una disabile. La sua giornata
è iniziata alle otto di mattina sul lungomare poi Porta Capuana e il
Centro direzionale. Lo scippatore - incensurato, padre operaio in una
delle tante fabbriche di scarpe nei sottoscala di via Foria - lavorava
come garzone di barbiere: arrestarlo è stato facile, perché per i suoi
colpi usava l'automobile. Il segno di un'inventiva criminale che studia
sempre nuove tecniche: le armi, per esempio, non si usano più. Per
rapinare bastano schiaffi e pugni. I Rolex sono il pezzo più ghiotto in
assoluto: non ci sono statistiche, ma a leggere solo le denunce fatte in
Questura a Napoli ne sono stati rubati negli ultimi anni più di 50 mila, e
la cifra dicono gli inquirenti è sicuramente per difetto. Non solo a
Napoli, ma furti di Rolex gestiti da napoletani sono stati segnalati nel
2006 a Genova, Riccione, Roma. Ovunque il mercato dei Rolex è gestito da
qui siccome - come ha dimostrato l'inchiesta del 2006 al Monte di Pietà -
i clan napoletani, soprattutto quelli del centro storico riescono a
immettere i Rolex nuovamente nel circuito nazionale e internazionale di
vendita. Un orologio rubato dopo una settimana ha una garanzia nuova, un
codice nuovo ed è già su un polso nuovo.
Alla camorra non interessa mettere a stipendio l'intera massa che preme
per entrare nel mercato imprenditorial-criminale. Quello che era stato il
progetto degli anni '80 della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo
di creare una sorta di 'Fiat della malavita', farebbe ridere i boss dei
clan di oggi. Nonostante ciò, la camorra continua ad essere per numero di
affiliati l'organizzazione criminale più corposa d'Europa, a leggere i
dati forniti dalla Procura antimafia di Napoli. Per ogni affiliato
siciliano ce ne sono cinque campani, per ogni 'sacrista' pugliese quattro,
per ogni 'ndranghetista addirittura otto. In Campania c'è anche il
territorio con il più alto tasso di camorristi rispetto alla densità
abitativa, tra Casal di Principe, Casapesenna e San Cipriano d'Aversa,
comuni del Casertano con meno di 100 mila abitanti, ci sono 1.200
condannati per 416 bis e un numero esponenziale di indagati per concorso
esterno in associazione mafiosa. I rapper cantano 'Napoli è cocente di 416
bis' e il reato di associazione mafiosa diventa un inno, un'aspirazione.
Perché l'aumento della pressione microcriminale sulla città trova ragione
innanzitutto dal calo dei criminali 'a libro paga' e dalla progressiva
ristrutturazione dei cartelli. Che è come se avessero svincolato gli
uomini, autorizzandoli di conseguenza a scippare e razziare in ogni zona
di Napoli. Spingendoli a osare di più, perché entrare a pieno titolo in un
clan è spesso complicatissimo. E tentare di crearne uno è una prova cui
molti vogliono sottoporsi.
La flessibilità della camorra è la risposta alla necessità delle imprese
di far muovere capitale, di fondare e disfare società, di far circolare
danaro e di investire con agilità in immobili senza l'eccessivo peso della
scelta territoriale o della mediazione politica. Ora i clan non hanno
necessità di costituirsi in macrocorpi, un gruppo di persone quindi può
decidere di unirsi in banda, rapinare, sfondare vetrine con gli arieti,
rubare beni e rimetterli nel mercato, senza subire come in passato o il
massacro o l'inglobamento nel clan. Le bande che scorrazzano per Napoli
non sono composte esclusivamente da individui che fanno crimine per
aumentare il volume della propria tasca, per arrivare a comprare l'auto di
lusso o riuscire a vivere comodamente. Gli individui che scelgono di far
rapine, aggressioni, furti, sono spesso coscienti che aumentando le
proprie azioni, riunendosi, possono migliorare la propria capacità
economica, divenendo interlocutori dei clan o loro indotti. La rapina,
l'aggressione, il furto, sono i primi scalini che servono per diventare
imprenditore. Iniziare a mettere su un capitale è un percorso di crescita,
non un gesto disperato. A Napoli la ferocia è un valore aggiunto. Già
qualcuno, molti anni fa, disse che in una città dove il valore della vita
è pari a zero chiunque una mattina può svegliarsi e decidere di mettere su
un gruppo che se gli va bene potrà diventare clan, se gli va male finirà
nella disperazione delle rapine. Il tessuto della città si slabbra, sino a
spaccarsi tra due diverse tendenze gli individui, le bande, che come
parassiti si nutrono di questa violenza allargata dove ogni essere vivente
è territorio da saccheggiare, e di clan che invece come avanguardie
velocissime spingono il proprio business verso il massimo grado di
sviluppo e commercio, tra queste due cinetiche la città si sta dilaniando.
La mattanza di Scampia ha generato un'attenzione che mancava dalle
dinamiche di camorra da più di dieci anni. Si torna a parlare del vecchio
modello delle due Napoli. Una marcia, putrida e criminale; l'altra dotta,
saggia, colta e visibilmente oscurata dalla mala-Napoli. Le due Napoli
tornano visibili. La Napoli borghese, che non disdegna di parlare il
dialetto con sonorità antiche, la Napoli che si considera capitale di
bellezza e capacità di vita, e dall'altra la Napoli dei neomelodici, di
Tommy Riccio e delle radio che trasmettono i messaggi di auguri ai
carcerati di Poggioreale. La Napoli alta vede il crimine, la feccia del
narcotraffico, l'arroganza del pizzo come degenerazioni della Napoli
bassa, come un sacco velenoso che essa è costretta ingiustamente a
trascinare.
Ma questi poli opposti, queste radicalità hanno perimetri ambigui. In
realtà ben più di un nodo lega quest'apparente distanza. Il fulcro
dell'economia della camorra è la sua forza imprenditoriale, una forza che
si innesta anche nell'economia del nord Italia, irradiandosi in Asia,
America e tutta Europa. Si combatte nelle strade di periferia e i soldati,
come in ogni guerra, sono i disperati che ammazzano con un indennizzo di
2.500 euro a omicidio, che prendono salari di 700 euro mensili e che
sperano di arrivare agli stipendi dei 'dirigenti militari', quelli che
possono intascarsi anche 20 mila euro a settimana. Le economie in palio
sono astronomiche: quella dei Di Lauro supera i 500 mila euro al giorno e,
secondo quanto dichiarato nel settembre scorso nella commissione
parlamentare Antimafia, il clan dei Casalesi gestirebbe un patrimonio di
30 miliardi, inclusi i beni posti sotto sequestro ma ancora nelle loro
disponibilità. E le loro economie possiedono i perimetri dei continenti,
si muovono con i money transfer in Canada, Australia, Gran Bretagna,
Svizzera, investendo in aziende, negozi, ristoranti, alberghi. I dirigenti
di queste economie hanno i profili dei finanzieri, degli imprenditori
internazionali, non hanno la foggia dei criminali di periferia, risiedono
nelle città europee, a Tenerife, Monaco, Varsavia, viaggiano da Pechino a
Bogotà e investono negli Usa, Germania, Francia. Sono uomini di mondo, che
con i soldi di camorra conquistano il mondo.
Sanno di correre dei rischi. Ma sanno anche fiutare le scorciatoie.
L'indulto è venuto in soccorso delle disperate condizioni di vita a
Poggioreale: un carcere d'inferno, il più sovraffollato d'Europa, dove
d'estate nelle celle si arriva a 45 gradi e vivono in 2.300 nello spazio
che dovrebbe contenere al massimo 1.100 persone. Ma non ha avuto solo
questo compito. L'indulto sembrava avere una sola certezza: nessuna
concessione per chi stava scontando pena per mafia. Eppure anche il 416bis
è stato risolvibile a Napoli. E il meccanismo è semplice. Un meccanismo
salva-padrini. Così è accaduto a Giovanni Aprea, boss di San Giovanni a
Teduccio, uno dei territori con maggiore presenza camorristica, ma
contrastata da molti cittadini di quest'area a forte tradizione operaia.
I legali di Aprea hanno smontato la condanna: prima hanno proceduto con lo
scorporo delle due pene che il boss stava scontando: associazione mafiosa
e possesso illegale d'arma da fuoco. Poi è arrivata la richiesta di far
scattare l'indulto per la pena relativa al possesso d'arma da fuoco. Una
volta accettata questa richiesta, il suo avvocato ha chiesto
l'applicazione della fungibilità, ossia di scalare dal periodo trascorso
in prigione che era stato condonato la condanna relativa all'associazione
di stampo mafioso. Come dire si è usato l'indulto sul reato dove era
possibile applicarlo per arrivare a ottenere l'indulto anche sul reato che
era escluso dalla clemenza. E il boss Giovanni Aprea, soprannominato 'Punt'
e curtiell' non per qualche sua abilità con le lame, ma perché suo nonno
interpretò la figura del maestro di serramanico nel film di Squitieri 'I
Guappi', torna libero. Libero di seguire i suoi affari in un territorio
dove la crescita edilizia ha il profilo delle ditte dei clan.
Già prima dell'indulto i boss sono riusciti a risolvere i loro problemi
con la giustizia. Pure i protagonisti della guerra di Scampia ce l'hanno
fatta: è bastato cancellare 15 righe per fare svanire 80 morti, 80
cadaveri crivellati che hanno fatto inorridire il capo dello Stato e il
papa. Vincenzo Di Lauro, figlio del re di Scampia Paolo, arrestato
nell'aprile 2004 a Chivasso dopo anni di ricerche, è tornato libero nel
giugno scorso per 15 righe e 30 minuti. Quindici righe mancanti
nell'ordinanza di custodia cautelare, 30 minuti di ritardo nell'intervento
dei carabinieri. Una svista, dicono. Proprio quelle 15 righe sui "gravi
indizi di colpevolezza" che servono a tracciare il ritratto criminale di
una persona che finisce in manette. Tanto è bastato. E i suoi uomini
sapevano, sapevano prima dello Stato della sua uscita. Per avvertirlo e
festeggiarlo gli avevano inviato un paio di scarpe, quelle della marca che
ha un coltello come simbolo. Vincenzo è sparito in 30 minuti, il tempo
necessario ai carabinieri per circondare il carcere e far partire il
pedinamento. Prima del giovane Di Lauro era tornato libero Raffaele Amato,
boss dei cosiddetti spagnoli, ossia gli scissionisti che a Barcellona
hanno creato un secondo impero, rilasciato per decorrenza termini. E
Giacomo Migliaccio era stato scarcerato per motivi di salute. Sono
considerati due pesi massimi del narcotraffico europeo. Amato è già
entrato nella leggenda nera, perché si è arricchito unendo 'munnezza' e
droga: trasportava i carichi di cocaina nascosti dentro i camion della
spazzatura, lì dove nessun doganiere avrebbe messo le mani. Queste
scarcerazioni sono dati fondamentali anche per i ragazzi di camorra: i
nuovi affiliati, tutti sotto i 16 anni, vedono che in fondo i capi più
scaltri ce la fanno. Comprendono che innescare una guerra di camorra con
più di 80 morti, che trasformare la più grande periferia del Mediterraneo,
com'è Secondigliano, nella piazza di spaccio più importante d'Europa,
tutto sommato ti permette di raggiungere un potere in grado di difenderti
persino dal carcere. E di fare tanti soldi.
Quei capitali vanno da Napoli al Nord e poi nel resto del mondo, mentre la
spazzatura segue la direttrice opposta. È per questo che il problema
rifiuti non è un problema campano e meridionale. Le inchieste provano che
in oltre trent'anni centinaia di imprese settentrionali hanno sversato le
loro morchie, le parti non metalliche delle auto, i toner delle stampanti,
migliaia di altri veleni, avvalendosi delle imprese della camorra e
risparmiando in maniera esponenziale sui costi di smaltimento legale.
Intere colline sono spuntate dove c'erano pianure e sopra le colline si è
pure cominciato a costruire case e villette.
Dopo dieci anni di incapacità a gestire la questione rifiuti, dopo il
commissariamento che quotidianamente ricorda l'incapacità campana di
esprimere un politico, un dirigente, in grado di coordinare la questioni
rifiuti senza essere condizionati dalla camorra. Dopo tutto questo, sembra
incredibile ancora raccontarsi l'ingenua fiaba che vede la 'munnezza' un
problema napoletano di disorganizzazione e burocrazia marcia. Attraverso
il gioco dei rifiuti si è foggiata una classe imprenditoriale fiorente che
ha innestato rapporti con la grande industria nazionale e ora è proprio
questa forza economica che dopo aver fatto marcire la terra, l'aria, e
molti esseri umani di queste zone, impedisce una reale soluzione. Poiché
fin quando la situazione rimarrà così insolvibile ed incomprensibile la
camorra potrà continuare a intombare i rifiuti d'ogni parte d'Italia in
Campania, e continuerà a mischiare i 'propri' rifiuti con l'incredibile
silenzio della politica, silenzio che ha il sapore sempre più del
consenso.
Le leggi speciali chieste per Napoli sembrano essere quasi un palliativo.
La situazione è speciale perché Napoli è una ferita che non riguarda solo
Napoli. Nessuno può più affermare: 'Non mi riguarda'. Da qui si innescano
economie e contraddizioni che irrorano il resto del paese: dai capitali
criminali che altrove diventano legali, sino ai rifiuti che le imprese del
Nord hanno sepolto nelle terre campane. Queste guerre di camorra, questa
peste dei rifiuti che una parte d'Italia non riconosce come proprie, che
ritiene un cancro inestirpabile di un organo che non appartiene al suo
corpo, sono in realtà sismi le cui onde si stanno espandendo ovunque.
La Napoli che ha fallito il suo rinascimento, credendo di risolvere
problemi antichi battezzando un luogo come autentico e sconsacrando le
parti di esso in cui non si riconosceva, questa parte della città,
progressista e insieme tremendamente conservatrice, continua ancora a
rappresentarsi come ciò che non è, nostalgica di qualcosa che non è mai
avvenuto, di una vaga leggerezza offesa dal peccato originale della
violenza criminale. Ma occulta colpevolmente a se stessa che l'economia
dei clan, composta dai soldati della periferia, ma in grado di versare
capitale in ogni territorio europeo, è la cinetica prima della ricchezza
di cui gode e del potere che detiene. Ipocrita, quindi, questa distante
disperazione di una Napoli che adora sentirsi ferita a morte, ma che in
realtà non muore mai.
Roberto Saviano
Fonte: http://espresso.repubblica.it
Link: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Inferno%20napoletano/1378147//4
15.09.06
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