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11/06/2007  Pena di morte: buone notizie. Da interpretare (Redazione,  http://www.korazym.org)

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Il Rwanda abolisce la pena capitale e commuta le sentenze di morte in ergastoli: una decisione con precise motivazioni di politica interna. Nel nostro paese la si collega al dibattito sulla moratoria: collegamento corretto, purché sia chiaro che…

E’ un altro caso di notizia decontestualizzata, o meglio presentata e spiegata esclusivamente lungo i binari del dibattito politico italiano: una cattiva abitudine che ritroviamo troppo spesso in questo nostro paese e che non permette di cogliere nella loro complessità reale le vicende che si svolgono oltre e al di là del parlare e del vociare della politica italiana. La notizia in questione è l’abolizione della pena di morte in Rwanda, il paese delle mille colline nel cuore dell’Africa dei Grandi Laghi: una decisione particolarmente significativa che giunge nel mezzo dei lavori che Italia e Germania stanno svolgendo su incarico dell’Unione Europea circa la preparazione del testo di una risoluzione pro-moratoria della pena capitale da presentare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Si tratta senza dubbio di un segnale incoraggiante, che nel nostro paese è stato salutato con soddisfazione soprattutto dai rappresentanti di Nessuno tocchi Caino, l’associazione radicale che da anni sostiene la necessità di una immediata presentazione da parte dell’Unione Europea di una risoluzione in ambito Onu: una eventualità che – viste le bocciature rimediate in passato su testi simili – i paesi europei hanno finora scelto di rimandare. Impegnati nell’ennesima dimostrazione di protesta davanti alla Rai con tanto di sciopero della fame e della sete, i militanti radicali chiedono che sul tema della pena di morte il servizio pubblico radiotelevisivo compia uno sforzo informativo che finora non si sarebbe visto e intanto descrivono la decisione ruandese come un segnale eccezionale che conferma la certezza di una maggioranza assoluta alla Assemblea generale dell’Onu. Un segnale ancor più significativo se si ricorda che nella sua storia recente – afferma Nessuno tocchi Caino - il paese “ha conosciuto le più gravi violazioni al diritto umanitario internazionale: genocidi, mutilazioni e stupri di massa, esecuzioni sommarie, deportazioni”.

Certamente vero. Altrettanto vero è che la decisione del Rwanda ha poco a che vedere con le decisioni che saranno assunte in sede Onu, poiché discende anzitutto da una chiara necessità politica del governo del presidente Paul Kagame, alla guida del paese da ormai tredici anni, cioè dalla conclusione del genocidio della primavera del 1994 durante il quale sulle mille colline morirono oltre 800mila persone. La riforma della giustizia ruandese, alle prese da allora con una quantità inimmaginabile di procedimenti, sancisce un passaggio chiave nel Rwanda del dopo-genocidio, perché avvicina il ritorno in patria dei responsabili della carneficina del ’94 e di tutte quelle persone che parteciparono alla mattanza, e che lasciarono il paese per non farvi fino ad ora ritorno. Sono centinaia i condannati alla pena di morte, e per essi è stata prevista ora la commutazione in ergastolo: una scelta peraltro avversata dalla gran parte dei sopravvissuti e delle loro associazioni.

Delicati equilibri di politica interna spingono dunque il presidente Kagame ad abolire la pena di morte. E’ certamente una buona notizia, ma non se ne dovrebbero trarre, forse, conseguenze a livello planetario: la battaglia per la moratoria internazionale resta una partita difficile da combattere. Ma che certamente, comunque, va combattuta.

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