Il rapporto fra migranti e native - ha scritto Manuela Cartosio il 7
settembre su queste pagine - è assente nelle riflessioni fatte dalle donne
sui delitti di Brescia e gli stupri di Milano.
Eppure, le riflessioni di donne che per scelta, per necessità o per caso
hanno fatto esperienza di questo rapporto ci sono, e ci sono da tempo; hanno
prodotto pensiero e parola.
Brescia ha visto molti nuovi e nuove arrivate, la città nel giro di pochi
anni è profondamente mutata. Abitarla, come mi è capitato, frequentarla,
come mi capita, obbliga a entrare in contatto non genericamente con le
immigrate o gli immigrati, ma ora con l'una, ora con l'altro, uomini e donne
in carne ed ossa.
Non sempre ho incontrato donne libere, ma nell'incontro, nell'apertura
all'umanità dell'altra, ho potuto riconoscere in ogni donna con cui sono
entrata in rapporto l'amore per la libertà. Questo non capita negli incontri
immaginari o nell'indifferenza, dove invece è più facile che si liberino
diffidenze e paure.
Di alcune ho ammirato la forza del progetto migratorio. Durissimo il
percorso, certo, ma così carico di scoperte, di speranze. Sono donne spesso
disorientate dalle trasformazioni in atto, alla ricerca di un difficile
equilibrio tra un guadagno di libertà per se stesse e i legami affettivi e
familiari che segnano la loro vita. Alcune - è il caso di Hina Saleem -
pagano con la vita.
Quale ordine scombina, quali paure suscita nell'esperienza maschile, la
libertà femminile? Una libertà insopportabile al punto di «armare» un uomo
contro una donna che «non sta al proprio posto».
C'è bisogno di mediazioni, di relazioni che sostengano le donne migranti nel
loro difficile percorso di libertà. Sono relazione che salvano la vita.
Molto sappiamo della bontà di «relazioni d'aiuto» grazie a donne che ne
hanno fatto esperienza e ne hanno parlato.
Ma questi rapporti concreti e reali fra esseri umani alle prese con la vita
restano fuori dall'informazione.
La parola di politici, sociologi ed esperti vari trova ampio spazio. Viene
sollecitata su tutto, a prescindere da una reale conoscenza o esperienza, e
pochi si sottraggono. Parole più significative, per lo più di donne native o
immigrate, non hanno visibilità sui media. Non di silenzio si tratta, ma di
non ascolto.
A Brescia, io ed altre, ci siamo spese per svelare la matrice patriarcale,
apparsa subito evidente, di alcuni omicidi e violenze. Troppa la confusione,
la superficialità o i tentativi di semplificazione della realtà, troppa la
strumentalità offensiva e riduttiva, se non razzista, nei confronti di
immigrati ed immigrate.
Questo sforzo non pacifica.
Grazie all'autorità femminile, che si è andata affermando in questi anni e
che orienta i comportamenti, i rapporti fra i sessi sono cambiati,
volenti o nolenti. Accanto a donne libere ci sono uomini che hanno
chiuso con il patriarcato e muovono da un sincero desiderio di rapporti
rispettosi. Insieme a tante donne ci provano a cercare strade meno battute
per una convivenza più civile e sensata. Bisognerebbe, con un atteggiamento
non tranciante, far parlare le esperienze nei loro bisogni più profondi.
Intendo dire che la ricerca delle risposte va radicata il più vicino
possibile alla realtà e alla vita delle persone, sottratta a chi se ne tiene
lontano.
Dopo il disgraziato agosto bresciano, istituzioni, partiti, sindacato hanno
suggerito la via democratica per favorire responsabilizzazione e dialogo.
Può essere un'occasione per affrontare la crisi di democrazia che attraversa
tutti gli ambiti, a partire da quello locale, segnato dall'irrompere di
migliaia di nuovi e nuove arrivati. A patto che ci si astenga dall'avere in
anticipo le risposte o dal pensarle in astratto; per sostenere davvero
l'incontro e il confronto con donne e uomini migranti occorre porsi in
ascolto delle domande giuste, anche quando sono le più scomode.
Archivio Donna
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