Buone notizie dal Cile per le donne di tutta
l'America Latina. Una volta tanto in piazza non si sono visti
uomini sventolare bandiere della loro squadra di calcio, ma donne,
con migliaia di poster di Michelle, gridando: ora le donne al
potere!
Michelle ha
portato qualcosa di tutte noi al Palazzo de La Moneda". Sonia, 25
anni, cameriera in un bar del centro di Santiago, dove per volontà
del proprietario lavora, come le sue colleghe, con una succinta
minigonna, ha bisogno di poche parole per spiegare il sentimento
che negli ultimi mesi hanno provato moltissime donne cilene.
Parole però che pesano come macigni. "Alle ultime elezioni ho
votato per la destra, ma poi mi sono resa conto che lei sarà la
presidente di tutti i cileni, a partire da noi donne. E noi
l'accompagneremo in questa avventura". Michelle Bachelet ha
assunto ufficialmente la presidenza del Cile l'11 marzo scorso. Un
evento storico, che ha scompaginato le tradizioni, non solo
politiche, di un Paese tra i più maschilisti di tutto il
continente latino-americano. Tra i punti centrali del suo
programma elettorale c’era la riduzione di quell’abisso che separa
i ricchi e i poveri, e allo stesso modo quello che tiene a
"debita"distanza gli uomini dalle donne. Nel mondo del lavoro, a
parità di impiego, le donne cilene guadagnano il 30 % in meno
rispetto agli uomini. Divario che per le alte professioni sale
anche al 50 %. "L’equilibrio tra i generi è un principio profondo
e allo stesso tempo anche molto semplice. Spero che il
bilanciamento che abbiamo stabilito nel governo posso essere
presto trasferito al resto della società". A scriverlo è stata la
stessa Bachelet, qualche settimana fa, in un articolo di fondo
pubblicato sulla prima pagina dell'autorevole giornale del mondo
degli affari, il Financial Times. L'obiettivo è alto. E il
percorso sarà più che tortuoso. "Essere donna e madre, in Cile,
soprattutto nelle fasce più popolari della società, è spesso il
cammino diretto alla povertà - dice Amalia Mauro, direttrice del
Centro Studi sulle Donne, di Santiago - perché la discriminazione
in base al sesso è ancora ben radicata nella nostra società e
anche nella nostra legislazione".
Amalia Mauro divide in tre gruppi le donne che soffrono una
pesante discriminazione. Nel primo quelle che non hanno mai
lavorato, almeno ufficialmente, e che quindi non hanno alcun
diritto alla pensione. Poi coloro che hanno lavorato, ma a periodi
alterni, a causa del tempo obbligatoriamente dedicato alla
crescita figli. In Cile sono moltissime. Donne tra i 25 e i 45
anni che non riescono ad arrivare ai 20 anni lavorativi necessari
per avere la pensione minima. "È assurdo - commenta Amalia Mauro -
che la nostra società castighi le donne che lasciano il mercato
del lavoro per dedicarsi al lavoro in famiglia, fondamentale per
il bene di tutta l'umanità". Infine tutte quelle donne che
lavorano, ma con salari molto più bassi rispetto agli uomini,
spesso senza alcun contratto e quindi private di ogni protezione
sociale. Un quadro non certo incoraggiante, confermato anche dal
fatto che la metà della donne cilene vive sotto la soglia della
povertà. E che messo insieme ad altri buchi neri del sistema
socio-economico, per esempio la differenza tra gli stipendi più
alti e quelli più bassi, che in Cile può arrivare anche a cento
volte (in Europa non si va oltre le venti), carica la nuova
inquilina della Moneda di una responsabilità enorme.
Ma è stato proprio l'arrivo al potere di una donna a dare fiducia
e speranza alle cilene. Anche perché la sua elezione rispecchia
probabilmente una profonda trasformazione sotterranea della
società. "Ascoltando il suo discorso, la notte della vittoria
elettorale - racconta la giornalista Maria Pastora Sandoval - ci
rendemmo conto di come la nostra società stesse cambiando e con
lei il nostro modo di pensare. È come se la tradizione fosse stata
spazzata via in un sol giorno. Una volta tanto in piazza non ho
visto gruppi di uomini sventolare le bandiere della loro squadra
di calcio, ma donne. Donne con migliaia di poster di Michelle,
gridando: ora le donne al potere! Siamo fiere di essere donne!
Adesso le donne hanno un'opportunità!". Ed è proprio questa
l'opportunità che il Cile non deve perdere. L'iniezione di fiducia
in un cambiamento radicale è stata enorme.
Favorita anche dalla scelta della Bachelet di creare intorno a lei
un governo composto per metà da donne.
"Rivoluzioneremo il potere. Anche se molti non ci credevano
Michelle ha iniziato subito a stabilire la parità tra uomini e
donne in tutto il settore statale, a partire dall'esecutivo. E
sembra che le cilene se ne stiano rendendo conto". Racconta così
la sua esperienza, Clarissa Hardy, chiamata a far parte del nuovo
governo, con un importante ruolo per gli interventi in campo
sociale.
Il percorso, dicevamo, non sarà facile. E tra i problemi per il
nuovo governo, anche se i media cileni non ne parlano, c'è quello
delle popolazioni indigene del sud, i Mapuche. Per loro sembra
lontano un riconoscimento a livello costituzionale dei loro
diritti, a partire dalla partecipazione politica per arrivare al
controllo delle terre e delle risorse naturali che si trovano
nella regione dove vivono da centinaia di anni. Il nuovo
parlamento, con ogni probabilità, non farà un passo in questa
direzione. "C'è troppa resistenza - ripetono nei salotti della
politica - i due terzi dei voti necessari sono lontani, quasi
irraggiungibili". Stessa sorte, sembra, anche per un provvedimento
di amnistia nei confronti di alcuni attivisti mapuche in carcere
per atti di sabotaggio. Quattro di loro hanno fatto anche un
lunghissimo e drammatico sciopero della fame.
In questa situazione, ancora una volta, le prime a pagare sono le
donne. Alle discriminazioni per sesso ed etnia vanno, infatti,
aggiunti un alto tasso di natalità e una minore speranza di vita.
Luci e ombre. E molte curiose contraddizioni. Le stesse, ancora
una volta, che si trovano nella vita di Michelle Bachelet. Chi
avrebbe immaginato, venti anni fa, che la figlia di un ex generale
fedele fino all'ultimo a Salvador Allende, sarebbe riuscita ad
insediarsi nel Palazzo de La Moneda, che l'11 settembre del 1973,
giorno del golpe orchestrato da Augusto Pinochet, osservò per
tutta la giornata dal tetto della Facoltà di Medicina. La giovane
Michelle, allora militante della Gioventù Socialista, decise di
trincerarsi dentro l'Università per resistere al colpo di stato. E
dal tetto di quell'edificio osservò con i suoi occhi il fumo che
si alzava dal palazzo presidenziale dopo il bombardamento che con
ogni probabilità uccise Allende. Suo padre morì in carcere, dopo
essere stato torturato dai suoi colleghi. Il suo uomo finì
desaparecido. Lei stessa finì in prigione, con la madre. "Michelle
entrò nella nostra cella molto tranquilla - racconta Lucrecia
Brito, compagna di quella sventura nel gennaio del 1975 - Faceva
il medico, e somministrava i calmanti alle altre ragazze che erano
state torturate e violentate".
Nonostante questa tremenda esperienza, dopo la quale lasciò il
Paese, Michelle Bachelet è riuscita a non abbandonare la
tradizione che ha legato per decenni la sua famiglia alle forze
armate. Anzi, questo suo passato le ha dato la forza e
l'opportunità di svolgere un ruolo chiave nella democratizzazione,
ancora da ultimare, dell'esercito cileno. Tra il 2002 e il 2004 è
stata anche ministra della difesa nel governo di Ricardo Lagos.
Una sua foto con un cappellino militare, a bordo di un carro
armato, fece il giro del mondo. La sua stessa forza, così utile
per far fare un ulteriore passo in avanti al Paese, è quella che
la Bachelet deve trasmettere ora a tutto il Cile.
* Emanuele Valenti, giornalista Radio Popolare. Fonte:
Fondazione Pangea Onlus.
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