Forse, tra dieci o quindici anni, ognuno potra’ conoscere esattamente il
proprio tasso di dipendenza dalle sostanze psicotrope, non importa se legali o
no. Esattamente come gli esami del sangue, che rilevano il grado di rischio
d’essere colpiti da un disturbo cardiovascolare. Questa la prospettiva
principale dal punto di vista terapeutico e preventivo disegnato dagli ultimi
studi dell’équipe di Jean-Pol Tassin, direttore di ricerca all’Inserm in
ambito della neurofarmacologia al Collège de France di Parigi. Per ora, il suo
gruppo ha condotto una serie di esperimenti sugli animali. “Per valutare il
grado di dipendenza, realizziamo le misurazioni attraverso cannule impiantate
nel cervello dei ratti assuefatti alla cocaina o all’eroina”, sottolinea il
ricercatore. Per passare all’uomo bisognera’ mettere a punto dei metodi non
invasivi, usando, per esempio, la riproduzione di un’immagine cerebrale. La
scoperta? Una migliore comprensione del meccanismo della dipendenza. “Da quasi
cinquant’anni si pensava che ad essere implicato nel processo di dipendenza alle
sostanze psicoattive fosse un solo neurotrasmettitore, la dopamina”, spiega il
professor Tassin. “Ora abbiamo messo in evidenza che lo sono tre dei principali
neuromodulatori (dopamina, noradrenalina e serotonina)”.
Il processo assomiglia a un meccanismo d’orologeria. “Normalmente ciascuna di
queste tre molecole agisce come i congegni di un ingranaggio che si controllano
l’un l’altro”, spiega il ricercatore. “La dipendenza si realizza quando
l’ingranaggio s’inceppa e ogni rotellina si mette a girare all’incontrario”. L’intensita’
del piacere, al momento dell’assunzione della droga, risulta dalla sensazione
fugace del ripristino di un funzionamento armonioso del sistema. Quando
l’effetto sparisce, la meccanica va nuovamente fuori fase, causando una
sofferenza difficile da sopportare e che spinge a ricorrere di nuovo alla
sostanza. E’ cosi’ che incomincia il ciclo della dipendenza. Secondo lo
studioso, la scoperta permette di comprendere perche’, malgrado l’utilizzo di
cerotti alla nicotina, l’87% dei consumatori di tabacco non riesca a smettere
definitivamente con il vizio. La spiegazione e’ che il trattamento mirato non
agisce sul meccanismo globale identificato. “Ci resta da trovare il modo di
ripristinare l’ingranaggio”, ammette Tassin, e precisa che la nuova comprensione
consente, gia’ oggi, di descrivere il meccanismo della dipendenza nei ratti. E,
in breve tempo, dovrebbe portare a comprendere il motivo per cui alcune persone
sono molto piu’ esposte di altre. “Uno stress all’inizio della vita puo’
provocare la sregolatezza dei neurotrasmettirori e favorire la vulnerabilita’
nei confronti delle sostanze stupefacenti”, segnala il professore, che inserisce
chiaramente la dipendenza tra le malattie mentali. Egli ritiene che farmaci e
psicoterapia possono utilmente combinarsi per curare la patologia del piacere e
delle emozioni
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