In tutto 350 famiglie in 125 alloggi, nella "zona rossa" di Padova: Via Anelli
e dintorni, con due nuovi check point appena installati per impedire lo
spaccio di droga, serrata da un muro di lamiera alto tre metri e lungo 80,
vigilata da dieci telecamere che entro la fine di settembre saranno il doppio.
Gli automobilisti che intendono accedere all' area devono quindi attraversare
i varchi puntando un apposito telecomando che fa alzare le barriere una
abbassata 24 ore su 24 e l'altra invece solo di notte.
Questo e' il tempo delle telecamere in fibra ottica e wireless, collegate alle
centrali operative delle forze dell'ordine, dei 200 telecomandi distribuiti a
chi vi deve poter accedere, comprese forze dell' ordine, vigili del fuoco e
personale ospedaliero per eventuali emergenze, delle sbarre che si alzano e si
abbassano.
Ma e' anche il momento in cui gli artisti intervengono, come mai era successo
prima cosi' liberamente in Veneto, sulla cicatrice d'acciaio lunga ottanta
metri: sono i writers che, su invito di un pittore naif, cercano di rendere
piu' sopportabile una realta' dolorosa per tutti. Una "contaminazione" di
stili che sa di Berlino, di avanguardia giunta in ritardo, ma arrivata, fino
alle porte del Nordest.
La via piu' famosa di Padova, ormai citatissima in internet, tanto da poter
essere definita per certi versi "internazionale": con nove donne incinte che
entro tre mesi partoriranno dieci bambini, perche' quella di una nigeriana e'
una gravidanza gemellare. Una di queste donne, H.I., di nazionalita'
marocchina, dice: "Vorrei che mio figlio nascesse fuori di qui".
I residenti, qui, sono tutti immigrati, nessun italiano: in prevalenza
nigeriani, ma con una comunita' maghrebina molto forte, per lo piu' operai in
fabbriche padovane e nelle imprese di pulizia. La stragrande maggioranza dei
delinquenti che spacciano nella zona non abita qui, ma ha scelto questa
residenzialita' "debole" per il suo mercato.
"Una specie di foresta di Sherwood", dice l'assessore alla sicurezza di
Padova, Marco Carrai. Via Anelli, oggi, e' una sfida all'immaginazione: non
solo per chi, dovendo prevenire il crimine, attua pratiche di controllo come
quelle poste in essere nelle ultime settimane, ma anche per i politici e le
istituzioni che devono pensare molto, e molto velocemente, la riconversione
possibile.
Scenari da "1984, fuga da New York", rapportati alla dimensione veneta, nella
quale, a seconda delle differenti sensibilita' politiche e culturali, Via
Anelli viene definita "ghetto", "luogo da recuperare", "piccolo Bronx" o "SuperBronx",
"quartiere del degrado", "casa della criminalita'", "vergogna della citta' ",
"futuro cpt", "zona di nuovi investimenti", "inferno", "armeria
incontrollabile".
"La realta' di via Anelli la si affronta positivamente solo procedendo
speditamente allo smantellamento del ghetto e con una risoluzione abitativa
alternativa per i residenti", afferma il consigliere regionale dei Verdi
Gianfranco Bettin, che ha depositato un' interrogazione perche' la Giunta
regionale collabori fattivamente al rilancio del piano gia' avviato nei mesi
scorsi dalla Giunta comunale padovana. "La situazione di degrado di quel
complesso la si conosceva da tempo - aggiunge - bastava ascoltare e leggere
quanto prodotto sino ad oggi dalla meta' degli anni '90 dagli attivisti di
Razzismo Stop e dai volontari della Parrocchia: il Comitato nato proprio in
via Anelli aveva significativamente preso il nome 'per il superamento del
ghetto'".
Sul fronte opposto, il vicepresidente della giunta regionale Luca Zaia
afferma, "in qualita' di esponente della Legna Nord", che "il deterrente a
questo punto e' di militarizzare la zona come e' avvenuto per i Vespri
Siciliani, anche perche' lo spaccio e la delinquenza in genere male convivono
con il pressing dei controlli". Per Zaia ci vogliono "controlli piu' intensi e
piu' severi di quelli che si fanno oggi. Tutto questo in attesa che il sindaco
si decida di fare radere al suolo questi palazzoni. E' ora di finirla con
questo buonismo".
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