Il Gruppo Abele ha rilasciato la seguente dichiarazione:
Presso la Fabbrica delle “e” del Gruppo Abele si è svolto pochi giorni fa
(26 settembre 2006) il seminario dal titolo “I significati del rischio e del
piacere nel consumo di sostanze psicoattive”, organizzato da SIA Piemonte,
Aliseo e Centro Studi del Gruppo Abele. Ospite d’eccelenza il prof.
Geoffrey Hunt – ricercatore accademico presso l’Institute of Scientific
Analysis di Alameda (California) -un antropologo sociale che da molti anni
lavora alla comprensione dei significati del rischio e del piacere connessi al
consumo di sostanze nel mondo giovanile. Oggetto della sua relazione sono
stati i risultati emersi da uno studio qualitativo realizzato nell’area di
San Francisco tra i consumatori di ecstasy e droghe sintetiche nei rave e
nei contesti ricreativi legati alla musica e al ballo.
Il campione da lui esaminato è di 300 individui (139 femmine e 161 maschi di
età media 20 anni), reclutati attraverso il metodo a “palla di neve”. Tutti
hanno consumato ecstasy o altre club drugs nel corso degli ultimi tre mesi -
requisito essenziale per rientrare nello studio.
Il campione è stato sottoposto a un’intervista in profondità, della durata di
tre-quattro ore, durante la quale gli intervistati hanno avuto modo di
esprimere - oltre al loro sapere - un giudizio severo sulla normativa in
vigore negli Stati Uniti, considerata per lo più ingiustificata e segno della
non volontà di comprendere i significati attribuiti dai partecipanti a eventi
musicali come i rave. Nell’aprile 2003, infatti, il presidente Gorge W. Bush
ha trasformato in legge un decreto contro la proliferazione delle sostanze
illegali, già noto come “Rave Act”, in quanto diretto in particolare a rendere
illegali i rave, considerati riunioni edonistiche “infestate” da sostanze
illecite, eventi in cui il rischio è “eccessivo”. In questo modo, come già era
accaduto in Gran Bretagna nel 1994, anche negli Usa si è criminalizzata una
delle attività più diffuse tra i giovani.
Dalle interviste è emerso chiaramente come i giovani consumatori non siano
affatto ignoranti o “illetterati” in tema di droga: essi sanno come informarsi
sulle conseguenze del consumo di alcune sostanze (si parla di ricerche in
rete, di scambio di esperienze, di discussioni in comunità virtuali, ecc.),
hanno una personale gerarchia delle sostanze in termini di pericolosità
percepita, non parlano mai di “droga” in generale, ma si riferiscono sempre a
precise sostanze. Essi sono consapevoli dei messaggi della prevenzione, anche
se spesso considerati come propaganda governativa, ma l’informazione
scientifica ufficiale non è considerata l’unica fonte valida di informazione.
Inoltre, il piacere e i benefici anche “sociali” (farsi nuovi amici, intessere
relazioni, divertirsi, ecc.) che essi traggono dal consumo hanno una valenza
assai maggiore del possibile danno che da questo può derivare.
Essi mettono in atto strategie di gestione del rischio, per minimizzarlo e
aumentare al massimo il piacere. Il significato attribuito al consumo non è
definito a priori, ma dipende dal contesto sociale in cui avviene: con chi si
consuma, dove e in che modo. Gli amici rivestono un ruolo molto importante:
con loro ci si sente più sicuri, ci si può fidare, aiutano nel bisogno.
Emerge un’evidente disgiunzione tra il sapere di chi consuma e chi sviluppa i
messaggi di prevenzione, che spesso considera i giovani incapaci di prendere
decisioni autonome, male informati, soggetti alle pressioni dei pari. Questo
conduce alla semplificazione dei molti motivi per cui i giovani fanno uso di
sostanze.
Il dott. Hunt ha scritto un ampio e approfondito articolo in merito a questo
studio, che verrà pubblicato a breve dalla rivista Journal of Youth Studies.
Chi fosse interessato all’articolo, può farne richiesta scrivendo un messaggio
all’indirizzo docum.cs@gruppoabele.org.
Per ulteriori informazioni rivolgersi a Daniela Zardo del Centro studi del
Gruppo Abele, tel. 011 3841053, fax 011 3841055.
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