15/11/2006 Fumo di Roma (Maurizio Coletti,  http://www.altrenotizie.org)

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  • Livia Turco, “di concerto” con Mastella e Ferrero, dà una iniziale spallata alla legge del centrodestra innalzando le dosi massime consentite di principio attivo di cannabis detenibile per uso personale senza incorrere in sanzioni penali e correre in carcere. Immediati ed alti si alzano i lamenti di Giovanardi, Fini e compagnia: si vuole toccare il loro capolavoro ed accusano il Governo di strizzare l’occhio ai narcotrafficanti, minacciano massive azioni di piazza, gridano all’antiproibizionismo, al le droghe libere, al lassismo. In realtà, la misura era largamente annunciata da mesi e voleva essere solo un segnale di inversione di tendenza: rendere più lontana la misura detentiva per i possessori di canne e riprendere il cammino per il cambiamento profondo della legge in vigore

    Sì, perché di una misura parziale e non organica si tratta: si rivolge solo alla cannabis (e non al complesso delle sostanze; che restano, minacciosamente e compresa la cannabis, raggruppate in un’unico contenitore: appunto, “le droghe”). Non si riesce, fino ad ora, a scardinare quella parte del decreto sulle Olimpiadi invernali di Torino che conteneva le norme impossibili. Perché di norme impossibili si tratta, anche nell’eventuale tentativo di volerle applicare.

    La legge, di effetti ne sembra avere prodotti soprattutto sul versante dell’immaginario collettivo (e non è certo poco); pur a fronte di attenzioni ed azioni di monitoraggio abbastanza estese, non si hanno notizia di eventi clamorosi, di incarcerazioni diffuse, di sentenze capestro. Qualcuno dice che sono le stesse Forze dell’Ordine che non applicano le nuove norme; per ordini ricevuti o per coscienza dell’assurdità delle stesse? Comunque, ora, i benpensanti avranno di che starnazzare a lungo: si ha l’ardire di tentare di evitare la cella ai consumatori! Che pessimo segnale pedagogico! Che messaggio incoraggiante! Che terribile collusione con i drogati! Ritorna, prepotente ed invasiva la demagogia.

    Testimonianze abbondanti ve ne erano anche in queste ultime settimane: la feroce polemica sul servizio “mancato” delle Jene (o, se si vuole vedere da un’altra angolazione, sul consumo di sostanze di alcuni parlamentari della Repubblica), la conseguente richiesta di test (preventivi?) su parlamentari o deputati di Consigli regionali, l’allarme sulle cosiddette “droghe furbe”, le reiterate discussioni sulle sperimentazioni sulle stanze del buco. Per quanto attiene ai parlamentari il livello di moralismo raggiunto in questa occasione è stato veramente eccessivo. Si sono confusi evidenze di uso di sostanze, problemi di privacy e ignoranza dei nostri rappresentanti sul Darfur e sulle date della Rivoluzione francese. Il risultato è, probabilmente, quello voluto: mettere alla berlina la classe politica italiana, come se ce ne fosse ancora bisogno: parlamentari, ladri di stipendi favolosi, ignoranti e pure drogati. Qualche tempo fa, qualcuno ha proposto un “rivoluzionario modello” per affrontare il problema dell’uso patologico di cocaina: un miracoloso e risolutivo vaccino. Sono davvero passati troppi anni dalla “cura Di Bella”?

    Ma, per tornare alla legge, ci chiediamo quanto è lontano l’obiettivo contenuto nel programma elettorale dell’Unione: “… Il decreto legge del governo sulle tossicodipendenze deve essere abrogato”.
    Paolo Ferrero è al lavoro con una grande dose di cautela per “ridurre i danni” della legge del centro destra. Il Ministro alla Solidarietà Sociale annuncia che ora gli obiettivi sono quelli di reinserire le differenze (sacrosante, è il caso di ripeterlo) tra le sostanze e di ribattere l’idea demagogica per cui “tutte le droghe sono uguali”. Inoltre, si vorrebbe inserire robuste indicazioni sulla strategia cosiddetta dei “quattro pilastri”: lotta al narcotraffico, prevenzione, trattamento, riduzione del danno. Mentre le polemiche e le discussioni si avvitano su quegli aspetti legati ai diritti, il sistema degli interventi soffoca sempre più: mancano fondi ed idee di rinnovamento.

    L’intervento sui detenuti che presentano problemi di dipendenza non è stato aiutato dall’indulto, restando drammaticamente al di sotto della decenza. Di più, l’indulto frettoloso ha partorito risultati alla cieca: molti detenuti usciti dal carcere all’improvviso non hanno trovato una rete di protezione e, di nuovo, il ricorso ad uso ed abuso di sostanze rappresenta per loro un pericolo drammatico per la salute e per la risocializzazione. Nei territori, vero test della tenuta dell’intervento, i servizi pubblici soffocano, tra carenze di personale e mancanza di strumenti per affrontare (per esempio) in maniera sufficiente le azioni di riduzione del danno. I servizi ed i centri di privato-sociale sono soffocati da debiti e da ritardi secolari nei pagamenti di quanto dovuto per gli interventi.

    Ciò non fa altro che ampliare il vallo tra le due componenti del sistema.
    Ma, soprattutto, non vi è l’emergere di idee e progetti per rendere il sistema adeguato ai cambiamenti dei fenomeni. I quali corrono velocemente e presentano modificazioni che tanti sensori qualitativi e quantitativi ci mostrano come nuovi scenari e nuove sfide. Come può rispondere a queste sfide un sistema ancorato sull’eroina, ancora preda di vecchie logiche, intriso di interessi minuscoli (ma, anche più corposi: quelli delle case farmaceutiche, per esempio), vacillante ed attraversato da aspetti di precarietà senza uguali?

    Del vecchio modo di guardare alle cose fa parte l’equivoco del volontariato; basato sulla prevalenza dei gruppi cattolici o, comunque, religiosi, il settore del privato-sociale è lontanissimo dalle possibilità di affermarsi come un canale professionalizzato e cooperante con il pubblico. Per troppi (amministratori, policy makers) è ancora troppo facile chiedere falsamente ammirati “ma quanti ragazzi salvate?” La logica della salvazione si sposa con quella del volontariato e quando queste due hanno a che fare con le richieste di “messa a regime” da parte delle amministrazioni, avviene l’implosione. Qualcuno è in grado di spiegare come sia possibile offrire un trattamento residenziale (una Comunità Terapeutica) minimamente adeguato con il corrispettivo (retta) che varia da 25 a 45 euro giornalieri? Con questa somma occorre coprire tutto: mangiare, dormire, trattamenti professionali, management, conti in ordine. Per un paragone utile, una Comunità Terapeutica per pazienti psicotici può contare su una retta di almeno 200 euro. Un giorno di ricovero ospedaliero costa, mediamente, 700 euro. Un giorno in carcere, di euro ne consta 300. Solo l’equivoco del volontariato (personale obbligatoriamente qualificato, ma sottopagato, precario e mutante) può riuscire a tenere in piedi la baracca. Il vecchio modo di guardare alle cose include anche l’equivoco di una difesa acritica e pregiudiziale dei servizi pubblici. I quali, assai spesso, lavorano molto male non solo per motivi legati alla scarsità di risorse, di personale, ai tagli delle spese.

    In questa maniera, su queste premesse, il sistema delle risposte è destinato inevitabilmente ad essere scollato per sempre dai bisogni degli utenti, dei cittadini. Che cosa penseremmo di un servizio sanitario che si presentasse ancora al giorno d’oggi, con gli antichi dispensari antitubercolari o con i medici condotti? Neppure il più accanito difensore del “si stava meglio, quando si stava peggio” potrebbe accettare una realtà di questo genere. Tutto questo potrebbe avere uno scossone se, assieme al tema sacrosanto della “riduzione del danno penale” (come dice Ferrero), si avesse in coraggio di chiedere cambiamenti sostanziali. Nella pluricitata Olanda, ben nove anni fa, si accorsero che il sistema delle risposte non era più al passo con le esigenze sul terreno: trattamenti non adeguati, reti inesistenti, risultati incerti. Oggi abbiamo (per chi volesse essere informato) un sistema totalmente ridisegnato sui bisogni attuali e sulle risposte più adeguate.

    È strano, invece, che l’Olanda (e la Svizzera) siano citate solo per le loro sperimentazioni con l’eroina medicalmente assistita. Sacrosanto è il richiamo al valore delle sperimentazioni scientifiche, gravi sono le posizioni di opposizione ad esse basate su pregiudiziali ideologiche e moralistiche.
    Ma, casomai ci si arrivasse, qui in Italia queste sperimentazioni su quale sistema si potrebbero appoggiare, visto il deserto attuale?

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