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29/02/2008 Congedarsi da queste storie anonime non è facile (Vincenzo Andraous)

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Lutrec non c’è più, lo hanno trovato privo di vita, riverso sul ciglio della strada, con la siringa nella vena e gli occhi grandi spalancati.

Questa assenza è un dolore che lacera in profondità, perché si tratta di una persona conosciuta, un giovane con tante capacità al fondo recintato delle apparenze.

Lutrec l’ho conosciuto anni fa in un oratorio, aveva 13 anni, tosto al punto giusto da farmi rammentare l’acqua ferma del lago dietro casa, uno scoglio e un ragazzino, una storia anche quella amara, ma in una vita tutt’ora nella ricerca mai stanca di un aggrappo da consolidare, da condividere e consegnare, per resistere alle proprie derive.

Ricordo bene i sussurri, i bisbigli nei riguardi di Lutrec, un presente senza passato, storpiato da chi ha meno, da chi ha poco, da chi ha nulla, come se essere nato con le dita strette a pugno, fosse già condanna, più ancora di una madre che non c’è, di un padre in galera, di un fratello che si fa coinvolgere sempre più spesso dagli spiccioli facili.

Quel giorno ritornando a casa pensavo: destinazione vicolo cieco, mentre una strana sensazione mi aggrediva alle spalle.

Noi, il mondo adulto, così presi dai medagliamenti, dai lavori in corso per ricollocare i luccicanti curriculum, ci siamo disposti in cerchio per consigliare Lutrec, ognuno a fare valere le proprie ragioni, nessuno ad ascoltarlo veramente.

Il piccolo duro se n’è andato giovane, e questo silenzio non rende meno opprimente il carico delle responsabilità, per non essere riusciti a tracciare un percorso di promozione umana, ove riconoscere caratteri emancipanti, aiutando Lutrec a passare da una posizione di rincalzo a una da protagonista della propria crescita personale.

Non è possibile accettare il rifiuto di vivere da parte di un adolescente, senza lottare, insieme, accettarne la resa, prima ancora d’aver iniziato a sognare, prima ancora d’esser stato scalciato da una buona fatica.

Genitori, insegnanti, educatori, impegnati anche con ciò che non vorremmo, con ciò che accentua la nostra incapacità a farci i conti, ma forse quel che è un sogno, sovente è un lamento pietoso, il tentativo di salvare dal proprio destino chi è ripiegato su stesso come Lutrec, a gambe divaricate in mezzo al piazzale dell’oratorio, a sfidare il mondo nei pochi metri di periferia, nei residui di tempo che sta inesorabilmente scemando, senza far rumore, senza dare fastidio.

Congedarsi da queste storie anonime non è facile, per farlo occorre che quel sogno nel petto di ognuno non faccia mai arrendere la volontà a continuare ad allungare la mano in una presa forte, perchè leale, dove l’attenzione sia più tenace dei fallimenti che pure interverranno, più ostinata del cieco apparire.

Lutrec e l’incontro con il vicolo cieco, quello che non fu per scelta, ma corrisposto all’età del fuoco che brucia senza scintille d’avvertimento.

Proprio da questo capolinea di ogni speranza, occorre riconsegnare alle differenze generazionali gli strumenti di difesa per non cadere nella delusione, scandagliando il cuore senza ipocrisie, perché per reggere l’urto delle difficoltà, don Enzo Boschetti ci ha lasciato detto: si educa e si rieduca solo con l’amore a la fiducia.

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