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16/10/2012 Legalizzazione cannabis. Il dibattito francese fermo su posizioni di principio (http://www.aduc.it)

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Tutto e' cominciato con il rapporto del deputato socialista Daniel Vaillant che nel giugno 2011 ha proposto una filiera nazionale di cannabis che si rifaccia a quella del tabacco. Una proposta che aveva posto il futuro candidato alle primarie socialiste in una posizione inconfutabile, obbligandolo a pronunciarsi in materia. E tutti, eccetto Jean-Michel Baylet (Parti Radical de guache), avevano ribadito la posizione della fermezza.


Un fronte anti-cannabis per le primarie
Durante il dibattito televisivo dei candidati alle primarie, il 15 settembre 2011, il presidente del Parti Radical de gauche si manifesto' abbastanza isolato nel proporre uno Stato che commercailizzasse esso stesso la cannabis. Il segretario del Partito Socialista, Martine Aubry, difese la depenalizzazione del consumo per chi ne aveva meno di 5 grammi per se stesso. Ségolène Royal si disse contraria ad una legalizzazione “anche perche' non e' dimostrato che abbiamo fatto tutto il possibile per smantellare le reti”.

Arnaud Montebourg affermo' “non credo che noi possiamo essere un Paese in cui possano essere autorizzate le droghe, quantanche siano quelle dolci”, e Manuel Valls: “Essere di sinistra significa lottare contro tutte le dipendenze possibili e la droga, qualunque essa sia, e' una dipendenza”. Nel giugno 2011 l'ormai ministro dell'Interno aveva dichiarato che "legalizzare la cannabis potrebbe un giorno portare alla legalizzazione di eroina o cocaina se queste droghe arrivassero ad essere molto diffuse”. L'ultimo ad esprimersi in materia, Francois Hollande indico' quella che poi diverra' la sua linea di condotta come Presidente: “Bisogna cambiare le leggi, si'. Ed io sono convinto che bisognera' mantenere il divieto”.
Rebsamen riformulato da Hollande


Durante la campagna, alla vigilia del primo turno, Francois Rebsamen, consigliere sulla sicurezza del candidato del Partito Socialista, durante un meeting propose di abrogare il reato di consumo di cannabis dal codice penale, per rimpiazzarlo con una semplice contravvenzione. Ma il senatore/Sindaco di Dijon fu subito smentito quando il portavoce del candidato Delphine Batho affermo' che la legalizzazione non era all'ordine del giorno. E poi da Hollande medesimo che su Europe1 disse che era intenzionato a restare in una “logica penale”. E ' fuori questione che il candidato non intendeva inviare un segnale di "lassismo" inserendo questa proposta nel suo programma.


Duflot si ribella, il Governo soffoca il dibattito
Dopo lelezionedi Francois Hollande, il Governo ha tentato di evitare un dibattito sulla depenalizzazione. Malgrado l'incontestabile fallimento della proibizione, il Governo Hollande non ha intenzione di ammorbidire la legislazione in vigore. Pertanto Cecile Duflot, ministro de l’Egalité des territoires et du Logement, in piena campagna per le legislative riafferma su RMC-BFM TV di essere sempre favorevole alla legalizzazione della cannabis: “So che non e' la posizione del Governo, ma io sono anche la segretaria di EE-LV (ndr Verdi), e questa e' la nostra posizione”. Il ministro viene sconfessato lo stesso giorno da Jean-Marc Ayrault, e dal deputato socialista Serge Blisko che giudica la sua dichiarazione “quantomeno inopportuna”. Una situazione che fornisce all'UMP l'occasione per denunciare la ”cacofonia del governo Ayrault”.


Vincent Peillon parla e si ravvede
Il primo ministro questo lunedi' ha dovuto mettere al passo Vincent Peillon. Il ministro de l’Education nationale, che domenica 14 ottobre si era espresso a favore di un dibattito sulla depenalizzazione della cannabis (una “materia importante”), e' ritornato sui suoi passi dicendo che si trattava di una “riflessione personale”, che non entrava in conflitto con il suo “appoggio totale e intero” al Governo. Un richiamo all'ordine che potrebbe dissuadere altri che nel Partito Socialista abbiano intenzione di rilanciare il dibattito sulla depenalizzazione.


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Fin qui un articolo di Charlie Dupiot, sull'edizione odierna del quotidiano Liberation.
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Questa situazione viene ora analizzata da Anne Coppel, sociologa, co-autrice con Olivier Doubre di “Droghe: uscire dall'impasse. Sperimentare alternative al divieto” (La Decouverte, 2012), che giudica l'incapacita' francese a far propria questa questione. L'occasione e' una intervista di François Béguin, sull'edizione odierna del quotidiano Le Monde.

D. Che cosa emerge del dibattito francese sulle droghe dopo le polemiche che hanno fatto seguito alle dichiarazioni di Vincent Peillon?
R. Il dibattito pubblico in materia e' in una impasse, limitato tra lassismo o repressione, come se dovesse riassumersi in un “pro” o “contro” le droghe. In materia, la classe politica francese e una parte dell'opinione pubblica campano su posizioni di principio. Non si ragiona mai a partire dai numeri. La Francia e' uno dei Paesi maggiormente repressivi d'Europa e tra i Paesi in cui c'e' il maggior numero di consumatori di cannabis. E' noto che la risposta penale non diminuisce il consumo. Perche' nessuno si pone domande su questa realta'?


D. Come spiegare questa inefficacia in materia di lotta alla droga?
R. Con la legge sulle sanzioni-base del 2007, la Francia ha fatto propria una dottrina di tolleranza zero sul modello americano della “war on drugs”. La legge del 1970 che penalizza l'uso di droga (un anno di carcere per uso semplice, e dieci anni per uso e detenzione) e' inapplicabile: non si possono' mettere tutti i consumatori in galera. Oggi in Francia i reati legali alle droghe portano in carcere una persona su sei, cioe' piu' di 8.000 incarcerati all'anno nel corso degli ultimi tre anni.
Ora in Usa stanno per rivedere questa impostazione tutta repressiva. In quel Paese, dall'inizio degli anni '80 fino al 2006, 31 milioni di persone sono state incarcerate per questioni legale alla droga, senza che questo facesse diminuire il numero di consumatori. La violenza ha continuato ad aumentare. Il 20 aprile, al summit delle Americhe a Cartaghena, in Colombia, il responsabile della lotta anti-droga degli Usa, Gil Kerlikowske, ha riconosciuto che l'incarcerazione di massa era “una politica del passato”.


D. Hanno di recente tentato delle alternative a questo approccio puramente repressivo?
R. Forti della constatazione del fallimento della “war on drugs”, essenzialmente contro la cocaina, la Commissione mondiale sulla politica delle droghe, che raggruppa molti ex-capi di Stato dell'America latina e l'ex-segretario generale dell'Onu Kofi Annan, a giugno del 2011 ha diffuso un rapporto in cui riconosce che “la lotta mondiale contro le droghe e' fallita, con conseguenze devastanti per i singoli e le societa' del mondo intero”.
La depenalizzazione proposta da questa Commissione sta per essere messa in pratica in Argentina, Brasile e Messico. Essa consentirebbe di liberare le forze di polizia degli inutili arresti dei consumatori per potersi invece concentrare sui traffici.


D. Esistono esempi probanti sull'abbandono della proibizione?

R. A differenza della Francia, e' essenzialmente a livello locale che diversi Paesi dell'Europa del nord hanno cercato di risolvere i problemi di droga. Le sperimentazioni sono venute da citta' e regioni alla ricerca di soluzioni pragmatiche. I Comuni di Francoforte, Rotterdam, Zurigo o Lisbona hanno per esempio cominciato ad offrire risposte sistematiche ai consumatori perche' essi non continuassero ad esser tali per strada (narcosale, per esempio).
In Usa si cita spesso come esempio il “miracolo di Boston”. Negli anni '90, la polizia si era posta come priorita' la riduzione del numero di omicidi, mettendo da parte la caccia ai consumatori di droghe. Esempi di buone pratiche come quelle che cominciano a diffondersi in America del Nord come in America Latina.
D. Cosa sostiene lei?


R. Non si possono oggi modificare le convenzioni internazionali sulla proibizione, ma le si possono gestire in modo diverso. All'interno di questo quadro, si puo' far evolvere la politica sulle droghe prendendo in considerazione la specificita' dei prodotti e dei problemi. Occorre sicuramente una regolamentazione specifica, come per le armi. In Francia, il dibattito si pone in termini di divieto o meno. La questione dovrebbe invece porsi in termini di sanita' pubblica da una parte, e di sicurezza altrettanto pubblica dall'altra parte. Ci sono da fare scelte in funzione dei risultati che si vogliono ottenere. Tutte le attuali politiche di sicurezza non si avvalgono oggi di questa impostazione.

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