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17/10/2012 Stupefacenti e ingente quantità, commento alla sentenza 36258/2012 SS.UU. Cassazione (Carlo Alberto Zaina, http://www.aduc.it)

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Era molto atteso, tra gli addetti ai lavori, il deposito delle motivazioni concernenti la pronunzia delle SS.UU. della Corte di Cassazione n. 36258/2012, dello scorso 24 maggio, che ha organicamente introdotto nuove forme di regolamentazione dei criteri di applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 80 comma 2° dpr 309/90, in materia di ingente quantità di sostanze stupefacenti.

La decisione in parola, infatti, aveva risolto il contrasto, insorto fra più sezioni della Suprema Corte, avente ad oggetto quali avrebbero dovuti esseri i canoni ermeneutici di base per poter dare corso ad un'applicazione giurisprudenzialmente omogenea della circostanza aggravante in parola.


La motivazione adottata con la sentenza dimostra inequivocabilmente come la Corte di legittimità abbia optato per l'adozione di una soluzione indubbiamente compromissoria.


Tale opzione è stata perseguita, attraverso l'adozione di parametri di carattere aritmetico, pur nell'evidenza dello sforzo di indirizzare il proprio giudizio al superamento di locuzioni di carattere indeterminato ( ad es. “numero di fruitori finali” “mercato clandestino” “apprezzabile area di spaccio”) largamente utilizzate per sopperire alla genericità della formulazione del testo normativo.


Tralasciamo il pur interessante ed articolato percorso di ricognizione storica seguito dalle SS.UU., pur riconoscendo l'analiticità ed il rigore della ricostruzione operata dai giudici di legittimità.


Sono, infatti, notissimi gli interventi interpretativi tendenti a fornire concretezza ad un testo di legge, l'art. 80 comma 2° dpr 309/90, più volte sospettato di indeterminatezza ed incostituzionalità (per tutti la pronunzia SS.UU 21 giugno 2000, n. 17 Primavera).


Nel contesto di tale tragitto di decodificazione della norma, si deve osservare che la posizione giurisprudenziale che maggiormente suscita la necessità di un chiarimento ermeneutico è quella assunta, in progresso di tempo, dalla Sesta Sezione della Corte Suprema.


E', infatti, ormai incontroverso quell'approdo che ha – via via – mietuto sempre maggiori consensi e che ha razionalmente individuato, quale parametro esclusivo per giungere all'applicazione concreta della circostanza aggravante, il quantitativo lordo di kg. 2 per le droghe pesanti e kg. 50 per quelle leggere, in relazione ad una percentuale media di principio attivo.


Or bene, appare indiscutibile la positiva influenza che una simile impostazione ha prodotto sulla decisione resa dalle SS.UU. .


La tesi posta a base dell'indirizzo assunto dalla Sesta Sezione traeva fondamento, infatti, dal timore che il dettato dell'art. 80 comma 2° dpr 309/90 ledesse il principio costituzionale di legalità (art. 25 comma 2° Cost.), sotto il più volte ricordato profilo della indeterminatezza.


Muovendo da questa premessa, quindi, la Sesta Sezione della Corte (attraverso plurime pronunzie, tra le quali si segnala n. 20119, 2.3.2010, Castrogiovanni) manifestava l'esigenza, peraltro avvertita da tempo in dottrina, di “definire l'ambito di apprezzamento rimesso al giudice di merito e, di riflesso, quello proprio del sindacato di legittimità”, con riferimento all'identificazione di un parametro – nella specie quello squisitamente ponderale – che si ponesse (e si ponga) quale dato di riferimento munito di apprezzabile attendibilità.


E' apparsa, peraltro, del tutto necessaria (ed imprescindibile) una specificazione in ordine a quale tipo di valore ponderale soglia dovesse essere preso a paradigma.


Si è così inteso precisare che, con il termine in questo modo richiamato, non si veniva affatto ad individuare il quantitativo lordo, bensì si doveva operare riferimento esclusivo alla purezza della sostanza stupefacente espressa in milligrammi.


La designazione del principio attivo, quale canone di riferimento in subjecta materia, costituisce dunque il decisivo passaggio metodologico ulteriore, per potere legittimare l'adozione di canoni ermeneutici che le SS.UU. definiscono nella sentenza in commento “..semplici parametri indicativi tratti......sulla base dei dati provenienti dalla esperienza processuale”.


Il ricorso ad un criterio definitorio, che appare ispirato esclusivamente a canoni quantitativi, costituisce tra l'altro adeguata e pertinente risposta dei Supremi Giudici anche al disagio che, più volte, si è manifestato a seguito di pronunzie di merito (e non solo di merito) tra loro del tutto disarmoniche, se non addirittura contraddittorie sullo specifico punto.


Pronunzie che, difettando di piattaforme ermeneutiche e metodologiche comuni, hanno in realtà ingenerato negli addetti ai lavori perplessità e confusione, pur spesso in presenza di condizioni geografiche e di quantitativi tra loro non dissimili, se non addirittura omogenei[1].


In questo contesto di evoluzione interpretativa della tematica in esame, la Corte di legittimità si è così premurata di sottolineare due ulteriori aspetti fondamentali per la risoluzione della vexata quaestio.


Il primo di questi consiste nella riaffermazione del significato dell'aggettivo “ingente”, inteso come espressione concernente una situazione di “eccezionale dimensione rispetto alle usuali transazioni” in materia di stupefacenti.


Il secondo aspetto ribadisce, poi, il concetto che un'elaborazione di nuovi schemi interpretativi relativamente alla circostanza aggravante in parola, non può che avvenire in sede di legittimità, atteso il carattere di osservatorio qualificato della Suprema Corte, in quanto “terminale di confluenza di una rappresentazione casistica generale”.


Rilevata quindi l'insufficienza ed inconcludenza della terminologia elaborata dalla giurisprudenza, pur con apprezzabili sforzi  ("..Espressioni come quantità “considerevoli, rilevanti, cospicue” e, appunto “ingenti” sono tutte sostanzialmente indefinite, perchè relative, mutevoli, sfuggenti...." ), la Corte, con intuizione assai felice, pone in luce il carattere di palese contraddizione insita fra la previsione normativa di una circostanza aggravante oggettiva (quale risulta l'art. 80 comma 2° dpr 309/90) e la sua esasperata interpretazione soggettiva.


Di contro, la Quarta Sezione – ricordano le SS.UU. - ha sempre coerentemente e decisamente ricusato a priori il ricorso a forme schematiche del genere di quello adottato dalla Sesta Sezione, ritenendo, da par suo, che la norma in questione non possa affatto essere ritenuta (a causa della ipotizzata genericità del testo) contrastante con il dettato costituzionale e, di conseguenza, dichiarando non fondata la relativa questione proposta alla sua attenzione (V. per tutte la sentenza n. 40792, 10.7.2008, Tsiripidis).


Il ragionamento sviluppato dalla Quarta Sezione si rifà al principio di tutela dell'ampiezza della discrezionalità tecnico-interpretativa del giudice, il quale – ad avviso dei giudici di legittimità – in presenza di canoni rigidi e predeterminati normativamente, verrebbe a patire una forte limitazione, se non addirittura un vulnus, non potendo “..apprezzare in concreto la gravità del fatto e quindi rideterminare la pena in termini di coerente proporzionalità rispetto al suo effettivo profilo e alla personalità dell'autore”.


Nel solco di posizioni così nettamente ed irreversibilmente antitetiche, si pone quindi l'intervento delle SS.UU. che, pur attente a non disattendere in toto la soccombente posizione assunta dalla Quarta Sezione (svuotandola di ogni pregnanza), riconoscono che i valori di riferimento utilizzabili, atti a colmare dubbi ed indicazioni generiche, possono consistere di “grandezze numeriche”.


In buona sostanza, i giudici Supremi muovono dalla apprezzabile considerazione che il giudice delle leggi, investito (in relazione a varie norme penali, sospettate di indeterminatezza e genericità) di una valutazione di conformità delle stesse al dettato costituzionale, ha riconosciuto all'interprete la facoltà di “...rendere certe e determinate quelle fattispecie che, in astratto, possono apparire prive di contorni sicuri e definiti”.


L'esigenza di procedere all'adattamento – da parte della giurisprudenza e della dottrina – del significato della singola disposizione di legge alla realtà ontologica concreta, importerebbe dunque, a parere delle SS.UU., la necessità di un approccio che si proponga, in via intermedia, tra la pretesa di una rigorosa determinatezza del precetto penale e la condizione di apparente indeterminatezza, nella fattispecie, dello stesso.


Ergo, la sentenza propone la valorizzazione del cd. principio di elasticità della norma, in situazioni nelle quali si intenda mitigare le asprezze delle previsioni sanzionatorie, e cioè in tutte quelle ipotesi di disposizioni legislative che difettino di una costruzione lessicale caratterizzata da profili di rigida tassatività e, quindi, si possano prestare a forme interpretative alternative o comunque non assolutamente ed univocamente orientate.


In questo contesto informato al recupero ed alla valorizzazione anche delle cd. massime di esperienza, si verrebbe quindi a collocare il citato richiamo ai parametri aritmetici, che si assumono utilizzati dalla giurisprudenza di altri settori delle legislazione penale extracodicistica.


Il ragionamento delle SS.UU. - a questo punto – si fa piuttosto complesso e, sia consentito anche barocco, perché viene introdotta, ad colorandum, tutta una serie di considerazioni, le quali abbracciano il tema del limite dei quantitativi di stupefacente che opererebbero come discrimine fra la detenzione ad “uso esclusivamente personale” - lecita – e quella invece illecita (presumibilmente a fine di spaccio).


Queste osservazioni, scientificamente certamente interessanti, appaiono però ultronee e non concludenti - anche sul piano esemplificativo – rispetto al problema della qualificazione della nozione di “ingente quantità” e della utilità, al dichiarato fine di rendere agevole ed incontroversa l'operatività della circostanza aggravante in disamina dell'uso di criteri strettamente aritmetici.


Va infatti osservato che se la Corte Suprema intendeva giustificare – come in effetti parrebbe dall’esegesi della sentenza – in relazione all’art. 80 comma 2°, l'adozione di un canone di carattere esclusivamente quantitativo (scelta indubbiamente ragionevole e condivisibile), non vi era affatto necessità di scomodare il cd. “sistema tabellare” (introdotto con la L. 49/2006), in quanto tale metodica pare invece essersi dimostrato, alla luce delle progressive elaborazioni giurisprudenziali, inadeguato.


Non si può infatti dimenticare come, ai fini della qualificazione della condotta detenzione di droga ad uso esclusivamente personale, vi sia stata una radicale evoluzione di pensiero.


Si è infatti passati dall'idea originaria di privilegiare in modo assoluto il solo dato aritmetico, fornito dal principio attivo, ad un'interpretazione – adottata unanimemente e con grande sforzo meditativo sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina – che invece ha ridotto sensibilmente il peso di tale sistema e, correlativamente, ha conferito per converso maggiore rilievo probatorio ad altri elementi di carattere soggettivo (molti dei quali legati alla persona del detentore).


Se dunque nel febbraio 2006, all’alba della promulgazione della legge FINI-GIOVANARDI, l’uso esclusivamente personale costituiva condotta circoscritta ad episodi di detenzione di quantitativi minimali, se non addirittura risibili (in quanto si interpretava la norma rapportandola ed ancorando il giudizio esclusivamente al parametro desumibile dalla cd. unità di QUANTITA’ MASSIMA DETENIBILE, che è dato ricavato dalla moltiplicazione della DOSE MEDIA GIORNALIERA per un coefficiente prestabilito tabellarmente e che ad esempio per la cannabis è pari a 20), l’iter argomentativo dei giudici di merito ed anche – seppure con maggiore circospezione – dei giudici di legittimità portò a superare tale restrittivo indirizzo.


La finalizzazione ad un uso esclusivamente personale della sostanza drogante detenuta poteva essere ricavata, quindi, anche (e non solo) dall’elemento ponderale, sempre con riferimento al principio attivo della sostanza, purché lo stesso non apparisse particolarmente elevato, ma soprattutto purché emergesse un giudizio di compatibilità fra lo stesso e la capacità economica del soggetto detentore.


Sorprende quindi, come già anticipato expressis verbis, che il Supremo Collegio abbia più volte insistito nel ritenere funzionale all'adozione di un dirimente parametro quantitativo concernente la “ingente quantità”, il modello ricavabile dal dato ponderale, ponendolo in relazione alla fattispecie scriminante dell'uso esclusivamente personale, inteso però nella sua limitata struttura originaria.


Si tratta di uno schema interpretativo che – si ribadisce – appare, medio tempore, del tutto superato e quindi inidoneo al fine che ci si prefigge.


Il ragionamento delle SS.UU. - sullo specifico punto – appare quindi uno splendido esercizio astratto di carattere teorico-filosofico, che però pecca di concretezza, attualità e colleganza con il diritto vivente.


A parere di chi scrive, ben poco rileva, quindi, se il limite sia orientato in un caso verso l'alto, e nell'altro verso il basso.


Non si tratta infatti di privilegiare la trascendenza o la discendenza, a fronte della necessità di fornire un governo preciso ad una fattispecie (checché se ne dica o se ne pensi) chiaramente affetta da vizio di indeterminatezza, bensì di pervenire alla elaborazione di un criterio che presenti i minori caratteri di fallacia ed incertezza possibile.


Ciò non di meno, le SS.UU. pervengono ad un approdo che segna un momento di grande rilevanza sotto tre principali aspetti, che emergono nel corpo della sentenza in commento e che sicuramente possono riassumersi:


1.            nell'adozione di limiti ponderali precisi, al di sotto dei quali non è ravvisabile l'operatività della circostanza aggravante in parola.


La metodologia di individuazione di questi limiti – ed in special modo del moltiplicatore (2000 volte) – appare condivisibile perché trae spunto da una meditata disamina e valutazione di un cospicuo e significativo campione di casi concernenti sequestri di droga particolarmente rilevanti;


2.            nella circostanza che i limiti in questione vengono stabiliti in relazione al principio attivo e, dunque, deve essere preso a parametro il già citato valore-soglia della QUANTITA' MASSIMA DETENIBILE (e non la DOSE MEDIA GIORNALIERA).


Il valore soglia naturalmente deve venire espresso in mg di principio attivo.


Questa indicazione costituisce il parametro esclusivo per potere comprendere l'attitudine della sostanza a soddisfare una elevata platea di destinatari, attraverso il computo della Q.M.D. ;


3.            nella considerazione che la novella del 2006 viene clamorosamente smentita nella parte in cui le SSUU, prevedendo l'utilizzo – ai fini del computo - dello specifico principio attivo, l'uno per le “droghe pesanti”, l'altro per le “droghe leggere”, superano e disattendono quella unificazione fra sostanze tra loro ontologicamente e naturalisticamente differenti, che la L. 21.2.2006 n. 49 aveva invece disposto sull'opinabile ed apodittico presupposto di una omogeneità – sul piano della pericolosità – di tutte le sostanze.


Quest'ultimo appare il profilo di maggior rilievo politico, giacché sorprese (e non poco) la immotivata (rectius, opinabilmente motivata) scelta legislativa di ridurre ad un unicum il regime tabellare degli stupefacenti, creando una totale – quanto impropria ed irragionevole - assimilazione fra droghe tra loro del tutto diverse, sia per derivazione e produzione, che per modalità di assunzione, che per tipo e livello di effetti intossicatori prodotti nell'assuntore.

 

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Ritiene chi scrive, comunque, che questo intervento di carattere puramente additivo debba costituire piattaforma di stimolo per il legislatore per ripensare in modo articolato e totale la legge sugli stupefacenti, posto che non è tollerabile la costante supplenza della magistratura ai vuoti della politica.


[1]   Vedi una breve rassegna di pronunzie sul punto diversamente orientate tra loro:


Cass. Sez. I, 22 Novembre 2002, n. 2596, Chivasso,   Cass. Sez. II 8 Aprile 2003, n. 19944


Cass., Sez. IV, n. 1874, 25 Novembre 2003,      Cass. Sez. IV, 27 Novembre 2003, n. 12186 (rv. 227908)


Corte App. Milano, 12 Dicembre 2005, C.A. e altri, Corte App.Milano Sez. II, 14 Febbraio 2006, A.S


Corte App. Milano del 13 Luglio 2006, O.A., Cass. Sez. VI, 20 maggio 2010, n. 19085


Cass. Sez. IV, 3 Giugno 2010, n. 24571 (rv. 247823), Trib. Lodi, 11 Giugno 2010, La.Ah.


Corte App. Milano Sez. III, 16 Giugno 2010, Ca.Gi.


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