Allora facciamo un po' di conti: la Banca Centrale Europea ha sganciato più
di centoventi miliardi di euro per sostenere le banche europee che hanno
speculato sulla bolla edilizia e dei facili prestiti americani. La Federal
Reserve ha tirato fuori assai meno per sostenere i truffatori d'oltre
Oceano, cioè 12 miliardi di dollari, più 25, totale 37. Li chiameremo
truffatori perché stimiamo abbastanza il premio Nobel Joseph Stiglitz,
il quale ha scritto, senza troppi complimenti, che Alan Greenspan
non poteva non sapere, negli anni scorsi, a partire dal 2002, che la
politica della Federal Riserve, da lui guidata, avrebbe condotto al baratro.
Come definire un signore dall'immenso potere, come Greenspan, che trascina
il mondo intero verso un disastro, sapendo perfettamente quello che fa? Un
truffatore, certamente. Ma anche un irresponsabile. E, quindi, seconda
domanda: come possiamo stare tranquilli venendo a sapere che alla testa di
cruciali istituzioni di influenza planetaria ci sono persone irresponsabili?
Anche perché non è che Alan Greenspan agisse da solo. Con lui c'era il
presidente degli Stati Uniti, per esempio. E via scendendo per li rami di
questa foresta imperscrutabile che è oggi la finanza mondiale.
L'allarme rosso è venuto quando si è scoperto che una delle maggiori banche
europee, BNP Paribas (che è ora anche molto presente sul mercato italiano)
ha dovuto chiudere, per palese insolvenza, ben tre “fondi” che avevano
speculato, anche loro, insieme alle banche americane, sui mutui
ultra-agevolati che sono stati concessi ai risparmiatori americani. Tanto
agevolati che, quando il denaro ha cominciato a diventare caro anche in
America, hanno smesso di pagare le rate dei loro mutui, cioè hanno fatto
andare in tilt tutti i “fondi” che avevano rastrellato immense ricchezze,
costruendo una bolla speculativa talmente gigantesca che aveva tirato
praticamente tutta l'economia americana in questi ultimi sei anni. Se è
vero, com'è vero, che i due terzi degli aumenti occupazionali, per esempio,
erano dovuti a questa bolla, e altrettanto si può dire degl'investimenti. E
poi ci dicevano, tutti i commentatori sempre molto ottimisti, che “i
fondamentali” erano buoni, per cui si poteva stare tranquilli: ci sarebbe
stato un “atterraggio morbido”.
In effetti l'atterraggio non è stato molto morbido. Anzi, per essere più
precisi, al momento in cui scrivo queste righe parlare di atterraggio è
ancora prematuro: infatti siamo ancora in volo e non si sa su quale
aeroporto atterreremo, sempre che atterriamo.
Ma a subire il contraccolpo più duro siamo stati, per ora, noi europei.
Oltre alla già citata scelta di Trichet, per evitare il crollo di Paribas e
degli altri complici truffatori europei, le Borse europee hanno perduto fino
ad ora circa 180 miliardi di euro in valore delle azioni. E non è finita quì
International Herald Tribune scriveva ad agosto, con l'aria di chi, in
questi anni, non aveva detto e scritto che tutto andava benissimo, che “non
è ancora chiaro” qual è l'entità dell'infezione che ha contagiato l'Europa.
Dobbiamo dunque supporre – anzi è certo - che le banche europee, chi più,
chi meno, abbiano fatto come Paribas.
Il che conferma che l'economia dell'Occidente è talmente interconnessa – e
americano-dipendente - che nessuno può salvarsi se gli Stati Uniti perdono
il lume della ragione. Infatti l'hanno perduto, e non da ieri. Ma noi
europei ci comportiamo come dei sudditi vili, dei vassalli che, dopo avere
lasciato fare un Imperatore irresponsabile, gli pagano anche i debiti.
Una parte, perché i debiti che gli Stati Uniti (il budget dello stato, le
imprese, le famiglie) hanno accumulato non potranno essere pagati da
nessuno, nemmeno dagli stessi Stati Uniti. Eppure tutti insieme, con la
complicità della finanza europea, sono andati avanti fino al disastro.
Disastro che si ripercuoterà su di noi, ma non su di loro. Anche perchè
all'indebitamento americano non c'è una cura. E loro troveranno il modo di
distrarci facendo un'altra bella guerra umanitaria e per i diritti umani.
Tutto ciò conferma che gli Stati Uniti d'America sono diventati il bubbone
infetto che sta trascinando il mondo intero in un disastro immane.
E da noi chiedono ai pensionati di fare sacrifici, costruiscono “fondi”
pensione con i trattamenti di fine rapporto. Fondi che speculano anche loro
sul mattone americano che scoppia, mettendo a repentaglio le future pensioni
integrative che i poveri disgraziati che stanno per andare in pensione
potrebbero non vedere mai più, con l'aria che tira. Ci voleva Eugenio
Scalari per richiamare alla memoria il 1929. Ci siamo vicini.
La seconda considerazione nasce da altre cifre sconcertanti. Risulta che,
subito dopo l'11 settembre 2001, la Banca Centrale Europea sborsò, allo
stesso, nobile scopo, “soltanto” 70 miliardi di euro. Tenendo conto che
allora l'euro valeva un 10% in meno, diciamo che il conto che dovemmo pagare
fu la metà di quello odierno. Ma dice anche che il crollo odierno è
gigantesco, senza precedenti. E se non si è ancora trasformato in una
recessione come quella del 1929, è solo perché gli organizzatori della
truffa (John Kenneth Galbraith scrisse prima di morire un aureo libretto
intitolato “L'economia della truffa” , in cui praticamente svelava tutti i
trucchi) hanno fatto quadrato e, usando i nostri soldi e il nostro lavoro,
hanno protetto il GCMF (Grande Casino Mondiale della Finanza).
Adesso ci diranno, gli stessi commentatori che reggono la candela, che “i
fondamentali” torneranno a essere buoni, che la crescita riprenderà, che la
globalizzazione è buona e, soprattutto, non ha alternative.
Ma i pessimisti, come Stiglitz, ci avvertono che l'indebitamento americano
continua a crescere, e non pare che ci sia mezzo per fermarlo. E allora –
poiché non è ragionevole attendersi che il prossimo presidente degli Stati
Uniti spieghi ai suoi cittadini che la situazione in cui vivono non è più
sostenibile – la prima cosa da fare, la più urgente, sarebbe quella di
prendere le distanze dalle loro illusioni di consumatori compulsavi.
Lo so che non è facile e che siamo tutti interconnessi. Ma qualche cosa
l'Europa può fare, esercitando la sua indubbia forza finanziaria,
tecnologica e commerciale: per esempio condizionando con decisione le scelte
degli Stati Uniti nel Fondo Monetario Internazionale, nell'Organizzazione
Mondiale del Commercio, nella Banca Mondiale.
L'alternativa è non solo pagare un livello dei consumi americani che è
insostenibile e inaccettabile nelle attuali condizioni del pianeta, ma anche
precipitare comunque in una recessione mondiale che è palesemente
all'orizzonte.
Anche perché – ed è questo il terzo punto di riflessione – i tassi di
crescita economica, che continuano a esserci, ma che si stanno riducendo
inesorabilmente, dicono che siamo arrivati, in molti punti, al “limite”. Non
ci sarà qualcuno che, nei prossimi dieci (massimo quindici) anni deciderà
che è giunto il momento di ridurre la crescita: per la semplice ma
drammatica constatazione che sarà la crescita stessa a fermarsi, perché
impedita dai limiti “fisici” che l'attuale sviluppo “insostenibile” ha
creato.
I nostri leader (o ignoranti o truffatori) continuano a ragionare in termini
di economia del denaro. Non capiscono che l'economia del denaro è
un'invenzione sociale, che non è soggetta alle leggi fisiche del pianeta.
Quasi nessuno tra loro sa (o ha il coraggio di sapere) che questo pianeta si
trova in “overshooting ” dall'inizio degli anni '80, cioè da oltre 25 anni.
Il che significa che in questi venticinque anni i popoli della terra (e
sappiamo che questa espressione è molto falsa, perché è solo una minima
parte di quei popoli che ne ha tratto vantaggio) hanno utilizzato le risorse
del pianeta, ogni anno, più di quanto quelle risorse siano state rigenerate
in quello stesso anno.
I più informati tra questi leader (ivi inclusi i manager delle grandi
corporations) ci dicono che tecnologia e mercato risolveranno i problemi. Ma
l'una e l'altro non saranno sufficienti. Cioè, come ha scritto Sartori
qualche tempo fa, “il mercato non ci salverà”. Perché? Ma perché essi
richiedono molto più tempo, per agire, di quello di cui ormai disponiamo.
Perché richiedono essi stessi ulteriori flussi di energia e di materiali, ed
entrambi sono ormai scarseggianti. Perché tutto ciò può essere travolto
dalla ulteriore crescita della popolazione mondiale e dalla crescita
esponenziale che, pur riducendosi, continua.
Poi, a proposito delle speranze nella tecnologia, nessuno dovrebbe
dimenticare che, per scongiurare i limiti che ormai stanno agendo
potentemente sulla nostra vita, ci vorrebbero investimenti “immediati”
cinque, otto volte superiori a quelli attuali nella ricerca scientifica e
tecnologica. Valga per tutti l'esempio delle energie alternative.
Infine, last but not least , non abbiamo un'architettura internazionale in
grado di prendere queste decisioni di dimensione globale. Le classi
politiche arriveranno a capire quello che ci sta arrivando addosso nel
prossimi quindici anni: cioè quando ci sarà arrivato addosso.
Catastrofe inevitabile, dunque? Già mi pare di vedere molti lettori storcere
il naso: ma questo è catastrofismo! Non c'è via d'uscita? Dateci una
speranza!
La risposta la danno – e a loro mi sono riferito abbondantemente in queste
ultime righe – gli autori di “Limits to Growth” (I limiti dello sviluppo),
l'aggiornamento, trent'anni dopo, con un'imponente serie di dati statistici
e con le moderne capacità di calcolo, sei miliardi di volte superiori a
quelle di allora, degli scenari del 1972, elaborati dal Club di Roma: “una
crescita esponenziale non può procedere molto a lungo in un qualsiasi spazio
finito con risorse finite”. E' proprio il nostro caso. La notizia del giorno
è che quel “molto a lungo” è quasi terminato. E' dunque tempo di cambiare,
adesso, senza perdere tempo. Questo vale per tutti.
Giulietto Chiesa
Fonte: www.megachip.info
Link: http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=4524
L'articolo uscirà prossimamente su Galatea
17.07.08
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