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16/04/2006 Quando Emigrazione fa Rima con Elezione (Massimiliano Tani, www.lavoce.info)

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Confermando il detto secondo cui la buona sorte aiuta i debuttanti, il primo voto degli italiani residenti all’estero è stato decisivo nel determinare il risultato finale delle elezioni politiche 2006. L’Unione aggiunge ai suoi eletti sette deputati (su dodici) e quattro senatori (su sei), grazie a circa 450mila voti rispetto ai 370mila raccolti dalla Casa delle libertà.

La geografia dei voti

L’analisi del voto su base geografica (Tabelle 1 e 2) indica marcate differenze nelle preferenze degli emigrati: nei paesi anglosassoni la Cdl prevale in aggregato, ma è penalizzata dalla mancanza di una lista unica nell’assegnazione dei seggi in Parlamento. L’Unione, che si presenta essenzialmente compatta in una lista, domina in Europa (meno in Germania), forse grazie al passato recente di Romano Prodi quale presidente della Commissione europea. La lista di Mirko Tremaglia, ministro per gli Italiani nel mondo e artefice di fatto del voto agli emigrati italiani, riceve circa il 10 per cento dei voti complessivi, specialmente dal Sud America, e un deputato.
Che dire di questi risultati? Da un punto di vista politico sembra chiaro che "uniti si vince", anche quando non si ha la maggioranza assoluta delle preferenze, come risulta dai quattro senatori eletti nei ranghi dell’Unione (Tavola 2). In secondo luogo, sembra emergere un gravity model "ideologico", secondo cui le scelte politiche degli emigrati sono tanto più buon predictor del risultato finale dell’elezione quanto minore è la distanza geografica che li separa da Roma, come mostrano gli elettori europei.

Il punto di vista economico

È però sul piano economico (positivo) che vale la pena soffermarsi per valutare il significato di queste elezioni. E questo perché fanno riflettere sulla razionalità (o razionalizzabilità per i teorici dei giochi) della scelta di dare pieno peso politico a chi contribuisce al prodotto nazionale lordo e non al prodotto interno lordo, come gli immigrati che vivono in Italia. Sono pochi i paesi d’origine dove gli emigrati hanno una rappresentanza parlamentare (per esempio, in Francia e Portogallo), anche se l’argomento è d’attualità nei paesi in cui gli emigrati hanno un livello di capitale umano ben al di sopra della media nazionale, come l’Australia e l’India.
Per quale ragione economica quindi un paese "razionale" preferisce concedere piena rappresentanza parlamentare a chi ha lasciato i propri confini e non invece ai nuovi venuti? Azzardo tre ipotesi di carattere generale, astenendomi da problemi oggettivi come il trattamento della doppia cittadinanza, il significato di identità nazionale, e i facili commenti sui costi associati al mantenimento di diciotto nuovi parlamentari:
1. L’ammontare delle rimesse degli emigrati. Dare il voto agli emigrati è forse un riconoscimento per i trasferimenti da essi effettuati, in quanto sostengono la spesa interna per consumi e investimenti del paese d’origine, specialmente in momenti di crisi economica. Questo però non sembra essere il caso italiano. Nel 2000 (dati Fmi), nelle Filippine e in Marocco le rimesse dall’estero hanno raggiunto circa l’8 per cento del Pil. Nello stesso anno in Italia erano lo 0,03 per cento del Pil (lo 0,17 per cento secondo le stime Oecd), un valore inferiore a quello di Francia (0,043 per cento) e Portogallo (2,47 per cento), e poco superiore a quello degli Stati Uniti (0,024 per cento). L’Italia è peraltro un esportatore netto di rimesse da lavoro: secondo i dati Fondo monetario internazionale gli immigrati hanno rimesso all’estero circa il doppio di quanto abbiano fatto gli emigrati italiani;
2. Il livello e la qualità del capitale umano degli emigrati. Un paese che vede le proprie menti migliori andare a vivere oltre frontiera potrebbe concedere loro il voto al fine di restarvi in stretto contatto e accedere più facilmente alle loro capacità, idee, abilità a sviluppare nuova tecnologia e prodotti. Per esempio, l’Australia, che annovera tra i suoi 900mila emigrati (il 10 per cento della forza lavoro nazionale) una notevole percentuale di scienziati e ingegneri, ha deciso di implementare una serie di politiche volte a rafforzare i legami con la madrepatria quali il facile riacquisto della nazionalità ove perduta per qualsivoglia ragione, per l’emigrato e la sua famiglia, il voto (ma non l’istituzione di circoscrizioni elettorali internazionali per evitare che avessero un’influenza eccessiva sul Governo di Canberra), e la creazione di portali informativi per facilitare il flussi di notizie tra la comunità australiana all’estero e la madre patria. Anche l’Italia ha visto un’emigrazione consistente di ricercatori e scienziati negli ultimi decenni, in parallelo con la globalizzazione e la creazione del mercato unico europeo, sebbene abbia tradizionalmente esportato braccia. Guardare alla rappresentanza parlamentare come "carota" perchè la folta schiera di eminenti italiani all’estero resti più legata all’Italia è però poco plausibile, dato che essi, grazie all’alto livello di capitale umano che li caratterizza, fronteggiano già bassi costi di mobilità e ritorno in patria;
3. Il valore delle esportazioni e la bilancia turistica: gli emigrati italiani aiutano le esportazioni di prodotti italiani in quanto creano comunità di consumo nazionale all’estero. I ristoranti italiani sparsi nel mondo aiutano le vendite di prodotti italiani così come i film, le feste e i negozi italiani nel mondo promuovono l’immagine dell’Italia come luogo di future vacanze, studio e apprendimento. Arte, cultura, cibo e vini e la nostalgia che evocano, sono indubbiamente un motore della domanda di prodotti italiani e di turismo tra i nostri emigrati e non solo loro. La creazione di rappresentanti parlamentari per gli italiani all’estero potrebbe quindi rafforzare i legami commerciali e la bilancia commerciale, nonché aiutare il turismo in Italia attraendo gli italiani di seconda generazione (e oltre) a visitare il paese d’origine.

Tra le tre ipotesi economiche avanzate, l’ultima è forse quella più plausibile. Se veritiera, sarebbe relativamente facile da misurare, per esempio usando il contributo marginale di ogni nuovo parlamentare all’export dell’anno successivo, coeteris paribus, ovvero mantenendo costante il già alto numero di delegazioni di vario tipo che girano il mondo per motivi "culturali", "di studio", "di rafforzamento dei legami con l’Italia".
Le implicazioni economiche della scelta strategica del Pnl a scapito del Pil sono indubbiamente da scoprire, soprattutto nel lato pratico. L’augurio dall’estero è che se emigrazione fa davvero rima con elezione, non sia solo per avvantaggiare diciotto famiglie.

Per saperne di più

Commonwealth of Australia, Legal and Constitutional References Committee (2005). They still call Australia home: Inquiry into Australian expatriates.

Council of Europe (1999). Links between Europeans living abroad and their countries of origin (doc. 8339).

Oecd (2004). Working Abroad – the benefits flowing from nationals working in other economies

Distribuzione percentuale del voto degli italiani residenti all’estero per area geografica e preferenze

Tavola 1 Camera dei deputati (971mila votanti)

Circoscrizione

Votanti (%)

L’Unione (seggi)

CdL

(seggi)

Altri

(seggi)

Totale

(%)

Europa

54.2

58.7 (4)

36.1 (2)

5.2 (-)

100.0

Nord America

9.0

39.1 (1)

57.5 (1)

3.4 (-)

100.0

Sud America

31.2

29.7 (1)

32.7 (1)

37.6 (1)

100.0

Oceania, Africa, Asia

5.7

47.3 (1)

52.7 (-)

0 (-)

100.0

Totale

100.0

47.3 (7)

37.9 (4)

14.8 (1)

 

Fonte: http://politiche.interno.it/politiche/camera060409 

Tavola 2 Senato (880mila votanti)

Circoscrizione

Votanti (%)

L’Unione (seggi)

CdL

(seggi)

Altri

(seggi)

Totale

(%)

Europa

54.4

59.1 (1)

39.0 (1)

1.9 (-)

100.0

Nord America

9.6

37.6 (1)

57.6 (-)

4.8 (-)

100.0

Sud America

30.2

32.7 (1)

30.8 (-)

36.5 (1)

100.0

Oceania, Africa, Asia

5.8

49.0 (1)

51.0 (-)

0 (-)

100.0

Totale

100.0

39.1 (4)

48.5 (1)

13.4 (1)

 

Fonte: http://politiche.interno.it/politiche/senato060409

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