Confermando il detto secondo cui la buona sorte aiuta i debuttanti, il primo
voto degli italiani residenti all’estero è stato decisivo nel determinare
il risultato finale delle elezioni politiche 2006. L’Unione aggiunge ai suoi
eletti sette deputati (su dodici) e quattro senatori (su sei), grazie a circa
450mila voti rispetto ai 370mila raccolti dalla Casa delle libertà.
La geografia dei voti
L’analisi del voto su base geografica (Tabelle 1 e 2) indica marcate
differenze nelle preferenze degli emigrati: nei paesi anglosassoni la Cdl
prevale in aggregato, ma è penalizzata dalla mancanza di una lista unica
nell’assegnazione dei seggi in Parlamento. L’Unione, che si presenta
essenzialmente compatta in una lista, domina in Europa (meno in Germania), forse
grazie al passato recente di Romano Prodi quale presidente della
Commissione europea. La lista di Mirko Tremaglia, ministro per gli
Italiani nel mondo e artefice di fatto del voto agli emigrati italiani, riceve
circa il 10 per cento dei voti complessivi, specialmente dal Sud America, e un
deputato.
Che dire di questi risultati? Da un punto di vista politico sembra chiaro che
"uniti si vince", anche quando non si ha la maggioranza assoluta delle
preferenze, come risulta dai quattro senatori eletti nei ranghi dell’Unione
(Tavola 2). In secondo luogo, sembra emergere un gravity model
"ideologico", secondo cui le scelte politiche degli emigrati sono tanto più buon
predictor del risultato finale dell’elezione quanto minore è la distanza
geografica che li separa da Roma, come mostrano gli elettori europei.
Il punto di vista economico
È però sul piano economico (positivo) che vale la pena soffermarsi per
valutare il significato di queste elezioni. E questo perché fanno riflettere
sulla razionalità (o razionalizzabilità per i teorici dei giochi) della scelta
di dare pieno peso politico a chi contribuisce al prodotto nazionale
lordo e non al prodotto interno lordo, come gli immigrati che vivono in
Italia. Sono pochi i paesi d’origine dove gli emigrati hanno una rappresentanza
parlamentare (per esempio, in Francia e Portogallo), anche se l’argomento è
d’attualità nei paesi in cui gli emigrati hanno un livello di capitale umano ben
al di sopra della media nazionale, come l’Australia e l’India.
Per quale ragione economica quindi un paese "razionale" preferisce concedere
piena rappresentanza parlamentare a chi ha lasciato i propri confini e non
invece ai nuovi venuti? Azzardo tre ipotesi di carattere generale,
astenendomi da problemi oggettivi come il trattamento della doppia cittadinanza,
il significato di identità nazionale, e i facili commenti sui costi associati al
mantenimento di diciotto nuovi parlamentari:
1. L’ammontare delle rimesse degli emigrati. Dare il voto agli emigrati è
forse un riconoscimento per i trasferimenti da essi effettuati, in quanto
sostengono la spesa interna per consumi e investimenti del paese d’origine,
specialmente in momenti di crisi economica. Questo però non sembra essere il
caso italiano. Nel 2000 (dati Fmi), nelle Filippine e in Marocco le rimesse
dall’estero hanno raggiunto circa l’8 per cento del Pil. Nello stesso
anno in Italia erano lo 0,03 per cento del Pil (lo 0,17 per cento secondo
le stime Oecd), un valore inferiore a quello di Francia (0,043 per cento) e
Portogallo (2,47 per cento), e poco superiore a quello degli Stati Uniti (0,024
per cento). L’Italia è peraltro un esportatore netto di rimesse da
lavoro: secondo i dati Fondo monetario internazionale gli immigrati hanno
rimesso all’estero circa il doppio di quanto abbiano fatto gli emigrati
italiani;
2. Il livello e la qualità del capitale umano degli emigrati. Un paese
che vede le proprie menti migliori andare a vivere oltre frontiera
potrebbe concedere loro il voto al fine di restarvi in stretto contatto e
accedere più facilmente alle loro capacità, idee, abilità a sviluppare nuova
tecnologia e prodotti. Per esempio, l’Australia, che annovera tra i suoi
900mila emigrati (il 10 per cento della forza lavoro nazionale) una notevole
percentuale di scienziati e ingegneri, ha deciso di implementare una serie di
politiche volte a rafforzare i legami con la madrepatria quali il facile
riacquisto della nazionalità ove perduta per qualsivoglia ragione, per
l’emigrato e la sua famiglia, il voto (ma non l’istituzione di circoscrizioni
elettorali internazionali per evitare che avessero un’influenza eccessiva sul
Governo di Canberra), e la creazione di portali informativi per facilitare il
flussi di notizie tra la comunità australiana all’estero e la madre patria.
Anche l’Italia ha visto un’emigrazione consistente di ricercatori e scienziati
negli ultimi decenni, in parallelo con la globalizzazione e la creazione del
mercato unico europeo, sebbene abbia tradizionalmente esportato braccia.
Guardare alla rappresentanza parlamentare come "carota" perchè la folta schiera
di eminenti italiani all’estero resti più legata all’Italia è però poco
plausibile, dato che essi, grazie all’alto livello di capitale umano che li
caratterizza, fronteggiano già bassi costi di mobilità e ritorno in patria;
3. Il valore delle esportazioni e la bilancia turistica: gli emigrati
italiani aiutano le esportazioni di prodotti italiani in quanto creano
comunità di consumo nazionale all’estero. I ristoranti italiani sparsi nel mondo
aiutano le vendite di prodotti italiani così come i film, le feste e i negozi
italiani nel mondo promuovono l’immagine dell’Italia come luogo di future
vacanze, studio e apprendimento. Arte, cultura, cibo e vini e la nostalgia che
evocano, sono indubbiamente un motore della domanda di prodotti italiani e di
turismo tra i nostri emigrati e non solo loro. La creazione di rappresentanti
parlamentari per gli italiani all’estero potrebbe quindi rafforzare i legami
commerciali e la bilancia commerciale, nonché aiutare il turismo in Italia
attraendo gli italiani di seconda generazione (e oltre) a visitare il paese
d’origine.
Tra le tre ipotesi economiche avanzate, l’ultima è forse quella più
plausibile. Se veritiera, sarebbe relativamente facile da misurare, per
esempio usando il contributo marginale di ogni nuovo parlamentare all’export
dell’anno successivo, coeteris paribus, ovvero mantenendo costante il già
alto numero di delegazioni di vario tipo che girano il mondo per motivi
"culturali", "di studio", "di rafforzamento dei legami con l’Italia".
Le implicazioni economiche della scelta strategica del Pnl a scapito del Pil
sono indubbiamente da scoprire, soprattutto nel lato pratico. L’augurio
dall’estero è che se emigrazione fa davvero rima con elezione, non sia solo per
avvantaggiare diciotto famiglie.
Per saperne di più
Commonwealth of Australia, Legal and Constitutional References Committee
(2005). They still call Australia home: Inquiry into Australian expatriates.
Council of Europe (1999). Links between Europeans living abroad and their
countries of origin (doc. 8339).
Oecd (2004). Working Abroad – the benefits flowing from nationals working
in other economies
Distribuzione percentuale del voto degli italiani residenti all’estero per
area geografica e preferenze
Tavola 1 Camera dei deputati (971mila votanti)
Circoscrizione |
Votanti (%) |
L’Unione (seggi) |
CdL
(seggi) |
Altri
(seggi) |
Totale
(%) |
Europa |
54.2 |
58.7 (4) |
36.1 (2) |
5.2 (-) |
100.0 |
Nord America |
9.0 |
39.1 (1) |
57.5 (1) |
3.4 (-) |
100.0 |
Sud America |
31.2 |
29.7 (1) |
32.7 (1) |
37.6 (1) |
100.0 |
Oceania, Africa, Asia |
5.7 |
47.3 (1) |
52.7 (-) |
0 (-) |
100.0 |
Totale |
100.0 |
47.3 (7) |
37.9 (4) |
14.8 (1) |
|
Fonte: http://politiche.interno.it/politiche/camera060409
Tavola 2 Senato (880mila votanti)
Circoscrizione |
Votanti (%) |
L’Unione (seggi) |
CdL
(seggi) |
Altri
(seggi) |
Totale
(%) |
Europa |
54.4 |
59.1 (1) |
39.0 (1) |
1.9 (-) |
100.0 |
Nord America |
9.6 |
37.6 (1) |
57.6 (-) |
4.8 (-) |
100.0 |
Sud America |
30.2 |
32.7 (1) |
30.8 (-) |
36.5 (1) |
100.0 |
Oceania, Africa, Asia |
5.8 |
49.0 (1) |
51.0 (-) |
0 (-) |
100.0 |
Totale |
100.0 |
39.1 (4) |
48.5 (1) |
13.4 (1) |
|
Fonte: http://politiche.interno.it/politiche/senato060409
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