Filoccidentale
e con molte venature monarchiche, punta di diamante della Nato,
scalpitante in attesa di entrare nell’Unione Europea, diffidente nei
confronti della Russia di Putin: è questa, in sintesi, la Bulgaria
del Presidente Georgij Parvanov, leader socialista che ha già vinto,
con il 64% dei voti, il primo turno delle elezioni presidenziali e
che ora dovrà affrontare la fase finale delle consultazioni. Tutto
questo perché l´affluenza alle urne è stata nettamente inferiore al
50 per cento dei votanti (42,1%). E così domenica oggi si torna al
voto. Sulla scena - con Parvanov certo di farcela - ricompare il suo
principale rivale: Volen Siderov, l’uomo del partito nazionalista
che ha basato la piattaforma elettorale sull’ostilità nei confronti
delle minoranze turche e rom (ottenendo nella prima tornata il 21,5%
dei voti) e l’ex presidente della Corte Costituzionale, Nedelcho
Berenov, che non molla pur se confinato a un 9,7% che lo taglia
fuori del grande gioco presidenziale.
Quale che sia il risultato definitivo di domenica, resta il fatto
che il Paese è profondamente dilaniato tra ondate di corruzione e di
nazionalismo. Non solo: nonostante la stabilità macroeconomica
raggiunta dal Paese, il tenore di vita non è cresciuto, lo stipendio
medio è rimasto molto basso e un numero consistente di bulgari
continua a vivere sotto la soglia minima di povertà. Ed è su questa
situazione di insicurezza e di malcontento che si muove
l’opposizione a Parvanov. C’è, infatti, il partito “Ataka” (Attacco)
che - specialmente in queste ore - sta chiamando a raccolta tutte le
formazioni nazionaliste e gli ambienti xenofobi. E il suo leader,
Siderov, proclama: “Attacchiamo la corrotta classe politica che ci
sta governando da anni e ridiamo dignità ai bulgari: fuori dalla
Nato e non vendiamo le nostre terre agli stranieri. Siderov non è il
presidente di tutti i bulgari, ma soltanto della minoranza turca che
lo tiene in ostaggio con i suoi voti; è un uomo che fa parte di
quella camarilla che ormai da 15 anni depreda il Paese…”.
E’ con questi slogan che “Ataka” cerca di conquistare anche voti
nell’estrema sinistra presentandosi come difensore dell’indipendenza
bulgara e, quindi, come nemico della americanizzazione del Paese.
Parvanov risponde duramente rilevando che il leader nazionalista è
''un amico dei seguaci del Ku Klux Klan e vuole diffondere il
razzismo in Bulgaria''.
Intanto sull’intero Paese grava già la responsabilità di un nuovo ed
importante passo nel campo dell’integrazione europea. Perché dal
primo gennaio 2007 l’Ue potrà contare su due nuove adesioni:
Bulgaria, appunto, e Romania. Questo vorrà dire che da quel primo
gruppo di sei paesi che fondarono l’Ue si arriverà a quota 27.
Il Parlamento europeo, comunque, è stato molto preciso nel fissare
le norme di adesione dei due paesi. Ma ha anche avanzato una serie
di riserve. Ad esempio ha ricordato che, pur se in un numero
limitato di problemi, le risposte di Sofia e Bucarest non sono state
completamente soddisfacenti e che i due paesi, pertanto, devono
adottare immediate misure per porre rimedio ai problemi
dell’amministrazione della giustizia, promuovendo ulteriormente la
trasparenza, l'efficienza e l'imparzialità del settore; nonché
esibire ulteriori risultati sostanziali nella lotta contro la
corruzione - con un'enfasi particolare, nel caso della Bulgaria, -
sulla lotta contro il crimine organizzato. Il Parlamento europeo,
inoltre, ha voluto ricordare a Sofia che è più che mai importante
prendere tutte le misure necessarie per lottare contro la tratta di
esseri umani e per migliorare seriamente l'inclusione sociale delle
comunità Rom, soprattutto per quanto riguarda l'alloggio, le cure
sanitarie, l'istruzione e l'occupazione.
Questioni non semplici, ma che tuttavia la Bulgaria del dopo
elezioni dovrà affrontare se vorrà entrare nell’Ue a testa alta. Ma
il processo di “allargamento” non si ferma. In lista d’attesa ci
sono altre realtà nazionali che devono superare gli esami: la
Croazia alla quale si chiede di soddisfare le esigenze della Ue; i
paesi dei Balcani occidentali che hanno, comunque, una prospettiva
di adesione a lungo termine, (il loro iter sarà ancora più
impegnativo e potranno aderire solo quando saranno veramente
pronti); la Turchia i cui negoziati per l’adesione sono sempre sul
tappeto ma le procedure procedono a rilento.
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