La
recessione si sta avventando sulle nostre economie e,
nell’obeso e miope mondo occidentale, è inevitabile
ragionare di “insicurezza”, specie se i giornali ci
bombardano ogni giorno con i miliardi di
“capitalizzazione” di borsa distrutti (è molto di moda, il
participio passato “bruciati”, più drammatico) o con la
notizia dell’ennesima impresa globale (finanziaria o
industriale) che, svergognata e tracotante, bussa alla
porta di questo o quel governo con il cappello in mano. Ma
forse siamo troppo inclini a considerare il nostro
ombelico il centro del mondo: a ricordarci che la nostra
insicurezza economica a finanziaria, per grave che sia, è
un dramma per privilegiati arriva l’ottavo Rapporto FAO
sulla “insicurezza alimentare”, ovvero, in termini meno
politicamente corretti, “fame”. Hafez Ghanem, Vice
Direttore Generale della Agenzia delle Nazioni Unite,
snocciola numeri che danno i brividi anche a gente
narcotizzata dalla velocità di un sistema impazzito: nel
mondo, 963 milioni di persone non ha abbastanza da
mangiare; detto in altri termini, circa il 14% della
popolazione mondiale rischia di morire perché non ha
niente da mettere sotto i denti.
Questa agghiacciante fotografia riassume da sola la
catastrofe di un intero sistema, in grado di tollerare con
disinvoltura la più odiosa delle ingiustizie: ma le cose
peggiorano con un’occhiata ai dati statistici: nel 2005
gli affamati erano 848 milioni, nel 2007 essi erano
diventati 923 milioni (+75 milioni), mentre, secondo le
stime provvisorie presentate da Ghanem, nel 2008 sono 963
milioni (+40 milioni); in tre anni quindi, il numero delle
persone a rischio di fame è aumentato di 115 milioni di
unità (+14%). Poiché nel 1997 il corrispondente numero era
di circa 832 milioni, possiamo concludere che in venti
anni di chiacchiere, concerti e buonismi vari, non solo il
cosiddetto mondo sviluppato non ha fatto nulla per
suturare i lembi di questa ferita, ma che anzi è stato a
guardare mentre un vero e proprio olocausto divorava
milioni di uomini donne bambini.
Ai qualunquisti rassegnati a questa forma di vile
impotenza potrebbe essere utile ricordare, sempre
statistiche FAO alla mano, che non sempre è stato così:
dal 1992 al 1997, infatti, il numero degli affamati era
sceso del 12% (da 842 a 832 milioni circa). Con i numeri
appena presentati, gli obiettivi del World Food Forum del
1996, che si proponeva di dimezzare le vittime della fame
entro il 2015, sono confinati al mondo delle idee
platoniche; il che, sia detto per inciso, solleva qualche
legittimo dubbio sulla effettiva utilità di un’agenzia
come la FAO nel perseguimento dei suoi obiettivi
istituzionali (la riduzione della fame).
Ma torniamo alla dèbacle degli ultimi anni: che cosa l’ha
provocata? Forse una guerra mondiale? Una carestia? Un
flagello divino mandato da un barbuto Dio biblico in
collera per i peccati del mondo? Niente di tutto questo.
Semplicemente la deleteria quanto schizofrenica convivenza
di liberismo spinto (imposto ai poveri) e aiuti di stato
(concessi ai ricchi): è dunque l’eccesso di mercato e al
tempo stesso la sua totale assenza a condannare a
sofferenza e probabilmente a morte molti milioni di
uomini. Con i prezzi delle sementi, dei fertilizzanti e
degli altri fattori produttivi raddoppiati rispetto al
2006, i contadini poveri non sono in grado di aumentare la
produzione. Mentre quelli ricchi, specialmente nelle
nazioni sviluppate, possono sopportare gli aumenti ed
incrementano la produzione.
Infatti le nazioni ricche, che ne hanno meno bisogno, nel
2008 aumenteranno la produzione di cereali del 10% mentre
quelle in via di sviluppo non arriveranno ad un incremento
dell’1%; la scarsità di produzione di prodotti alimentari
ha portato i loro prezzi alle stelle - i prezzi dei
cereali, attualmente dimezzati rispetto ai picchi del
2008, sono ancora del 28% più alti di quelli del 2006 -
con effetti intuitivi sulle effettive possibilità delle
popolazioni povere di approvvigionarsi e nutrirsi.
Anche se chi produce fertilizzanti e sementi certamente è
tra i sostenitori del “libero” mercato (quello che
raddoppia i loro fatturati anche se finisce per ammazzare
qualche migliaio di persone in paesi dimenticati da Dio),
non altrettanto può dirsi dei produttori agricoli dei
paesi industrializzati: infatti, come ha ricordato Jacques
Diouf, Direttore Generale FAO al Summit Globale sulla
Crisi Alimentare del giugno scorso, nei Paesi OCSE, gli
agricoltori hanno ricevuto dai rispettivi governi circa
372 miliardi di dollari di sussidi (anno 2006).
Sradicare la fame è dunque un problema insolubile? No,
semmai è più una questione politica che fatica a scalare
le agende dei grandi del mondo, in tutt’altre faccende
affaccendati. Se i calcoli della FAO sono giusti, infatti,
per dimezzare il numero degli affamati entro il 2015
basterebbero 30 miliardi di dollari l’anno in investimenti
su agricoltura e protezione sociale dei poveri. Se a
qualcuno sembrano tanti soldi, rifletta sul fatto che ogni
anno nel mondo si spendono 1.200 miliardi di dollari in
armi; che in un solo paese lo spreco di cibo può valere
100 miliardi di dollari, mentre il cibo in eccesso
consumato dalla popolazione obesa corrisponde a 20
miliardi di dollari in valore. Forse i 30 miliardi si
potrebbero trovare senza fatica rinunciando a qualche
bomba e a qualche cheeseburger.
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