22/08/2005 Il lungo addio (Chiara Saraceno, www.lavoce.info)

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  • L’Istat ha da poco pubblicato dati recenti sul fenomeno della separazione e divorzio nel nostro paese. (1) Ne emergono alcune continuità, ma anche discontinuità, che occorrerebbe tenere presenti sia nel dibattito legislativo (riforma del divorzio, affido condiviso) che nelle politiche sociali.

    Dalla separazione al divorzio

    Negli ultimi dieci anni sia le separazioni che i divorzi sono aumentati di circa il 59 per cento, passando da 51.445 separazioni e 27.510 divorzi nel 1994 a 81.744 e 43.856 rispettivamente nel 2003.
    Ci si separa più al Nord che al Sud: nelle regioni settentrionali, infatti, ci sono 6,4 separazioni ogni mille coppie coniugate (nove in Val D’Aosta, la Regione a più alta instabilità coniugale), a fronte di 3,9 nel Mezzogiorno (due in Basilicata, la Regione a più bassa instabilità).
    La percentuale di separazioni che si trasforma successivamente in divorzi, tuttavia, è rimasta abbastanza stabile, attorno al 60 per cento. Quasi la metà delle coppie che si separa, quindi, non va oltre il primo stadio del processo di scioglimento del rapporto coniugale. Ciò è in parte favorito dalla peculiare legislazione italiana, che obbliga ad almeno tre anni di attesa dopo la pronuncia della separazione prima di poter chiedere il divorzio.
    Tre anni sono lunghi. Impongono alle persone che vogliono rifarsi una vita di adattarsi a una sorta di limbo dal punto di vista dello stato civile e dei rapporti di solidarietà economica con quello che, di fatto, è un ex coniuge. Quando finalmente potrebbero chiedere di divorziare, se non hanno particolari interessi da salvaguardare e non sono intenzionate a risposarsi, ci rinunciano, anche perché questo doppio passaggio costa.
    In ogni caso, questo dato, unitamente a quello del tasso di separazione che, pur quasi doppio di quello di divorzio, è più contenuto del tasso medio europeo (1,4 separazioni per mille abitanti, di contro a due divorzi per mille abitanti in Europa), smentisce l’immagine periodicamente evocata di una forte fragilità dei matrimoni che andrebbe contrastata mantenendo le difficoltà nell’accesso al divorzio. Allo stesso tempo, conferma che la separazione è di fatto vissuta come l’evento che chiude il matrimonio, al punto che una quota di separati non sente la necessità di effettuare altri passaggi legali. È un effetto paradossale della "pausa di riflessione" legalmente imposta. Eliminare, o almeno ridurre, il periodo di attesa tra la separazione e il divorzio, o consentire di scegliere se accedere all’una o all’altro senza doverli fare in sequenza, permetterebbe a chi ha comunque intenzione di divorziare di non dover attendere a lungo, mettendo in difficoltà anche eventuali nuovi compagni/e e nuovi figli. Di più, l’incertezza dello statuto coniugale imposta nel periodo di attesa rende spesso più difficile, e certo non più facile, la ridefinizione dei rapporti e delle responsabilità verso i figli avuti con l’ex coniuge.

    I figli coinvolti

    Il numero dei figli minori coinvolti nella separazione dei genitori in effetti è consistente ed è costantemente e fortemente aumentato dagli anni Ottanta fino al volgere del secolo, nonostante la percentuale di coppie senza figli sia contestualmente cresciuta tra chi chiede la separazione: dal 28 per cento del 1980 al 40 per cento nel 2000, per scendere di nuovo al 31 per cento nel 2003. Negli ultimi anni il loro numero sembra essersi stabilizzato, con qualche segnale di diminuzione: i figli minori coinvolti in separazioni pronunciate sono stati 51.229 nel 2000 e 42.689 nel 2003. I figli minori costituiscono comunque la maggioranza di quelli coinvolti in una separazione: il 52 per cento nel 2003. Si tratta nella maggioranza dei casi di figli in età prescolare o scolare: il 61 per cento nel 2003 aveva meno di 11 anni. Nel Mezzogiorno, dove pure ci si separa meno, stante la maggiore fecondità dei matrimoni, la percentuale di figli minori coinvolti è più elevata: il 60 per cento. Il numero di figli minori coinvolti diminuisce nel caso del divorzio, dato appunto che questo avviene almeno tre anni dopo la separazione.
    L’affidamento dei figli nel caso della separazione dei genitori continua a privilegiare di gran lunga la madre come "genitore più adatto" (84 per cento dei casi), e ancor più quando i figli sono molto piccoli. Negli ultimi dieci anni, tuttavia, si è assistito a un costante, anche se lento, aumento dei casi di affidamento congiunto o alternato: l’1,2 per cento di tutti i casi di affidamento nel 1984, l’11,9 per cento nel 2003. Questo tipo di affidamento ha ridotto non solo la tuttora amplissima quota degli affidamenti esclusivi alla madre, ma ancor di più quella esigua di affidamenti esclusivi al padre: era del 6,4 per cento nel 1994, è scesa al 3,8 per cento nel 2003. Come ci si può aspettare, dato che richiede una disponibilità dei genitori a collaborare nonostante la separazione, l’affidamento congiunto o alternato è più frequente nelle separazioni consensuali che in quelle giudiziali. È anche più frequente al Nord (più del 15 per cento nel 2003) che non al Sud (5,3 per cento).
    Sembrano anche in questo caso emergere due Italie. Una, in cui il tasso di instabilità è più alto (anche perché più alta è la quota di mogli che ha un lavoro remunerato e quindi può permettersi di uscire da un matrimonio che non funziona), ma le separazioni sono più consensuali e la disponibilità a rimanere co-genitori è più alta. L’altra, in cui i legami coniugali sono non solo più fecondi, ma più solidi, per necessità o per virtù, ma le separazioni sono più conflittuali, ci sono più figli minori coinvolti e la disponibilità a cooperare alla pari come co-genitori più ridotta. Per altro, è aumentato in generale anche il contenzioso tra ex coniugi, ovvero le richieste di revisioni degli accordi sull’affidamento dei figli e sull’assegno di mantenimento, segnalando come si tratti di decisioni non solo delicate, ma sempre meno pacificamente condivise dagli ex coniugi e talvolta dai figli. Anche su questo occorre riflettere nella discussione sulla proposta di legge sull’affido condiviso.

    I rischi dell’affido esclusivo

    L’affido esclusivo alla madre presenta non irrilevanti rischi economici per lei e per i figli, specie se minori. Nonostante in Italia le madri sole con figli giovani – per lo più separate e divorziate – siano nel mercato del lavoro in percentuale superiore alle madri coniugate, nel 2003 la metà delle madri sole con figli fino a 18 anni ha dichiarato di avere risorse scarse o insufficienti e oltre il 12 per cento era povero (a fronte del 10,6 per cento di incidenza della povertà nelle famiglie in generale nello stesso anno).
    Le cause sono diverse e combinate. Le famiglie delle mamme sole sono famiglie con un unico percettore di reddito e dunque in generale più esposte al rischio di povertà delle famiglie in cui sono presenti entrambi i genitori ed entrambi sono occupati. L’unico percettore di reddito, inoltre, è una donna con carico familiare, ovvero si tratta di un percettore "debole" sul piano contrattuale (e il 13 per cento circa ha un contratto di lavoro a termine). Anche se il padre è tenuto a concorrere al mantenimento dei figli, gli assegni di mantenimento non sempre – per necessità o per esito delle contrattazioni post-separazione – sono adeguati. L’importo medio dell’assegno di mantenimento per un figlio è di 382 euro, per tre figli di 700 euro.
    Da questo punto di vista, l’indicazione presente nella proposta di legge sull’affidamento condiviso tesa a individuare criteri oggettivi per calcolare il costo dei figli e la quota spettante a ciascun genitore costituisce un enorme miglioramento, purché la sua attuazione sia affidata a meccanismi che diminuiscano, non aumentino, il contenzioso tra coniugi.

    (1) "Affidamento dei figli minori nelle separazioni e dei divorzi. Anno 2003", in Statistiche in breve, Istat, 6 luglio 2005 e "Profili e organizzazione dei tempi di vita delle madri sole in Italia", Approfondimenti, Istat, 5 luglio 2005 (reperibili anche su www.istat.it/società). Il primo è basato sui dati che l’Istat rileva annualmente presso le cancellerie dei 165 tribunali civili; il secondo è basato sulle Indagini multiscopo dell’Istituto "Aspetti della vita quotidiana" e "Famiglia e soggetti sociali".


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