Le prime impressioni sugli ambiti interessati dal
provvedimento: il tentativo di evitare ogni equiparazione con il
matrimonio. Ingiustificato stracciarsi le vesti, ma doveroso ora aiutare
davvero chi sposandosi ha scelto di pronunciar l’unico e solo "si".
Alla fin fine, la montagna pare avere partorito un topolino. Ma
poiché anche i topolini possono fare paura, la realtà è che siamo solo
al primo passo di una storia con la quale – è il caso di dirlo –
conviveremo ancora a lungo. Il disegno di legge sui “Diritti e
doveri delle persone stabilmente conviventi” è stato approvato dal
Consiglio dei Ministri e arriverà presto in Senato per essere discusso e
votato dall’Aula di Palazzo Madama. I pacs all’italiana si chiamano
“Di.co” – nuovo acronimo che considera i Di(ritti) dei Co(nviventi),
perdendo però per strada i Do(veri), che pure appaiono nel titolo della
legge – e rappresentano il punto d’arrivo di un dibattito interno ad una
maggioranza di centro-sinistra chiamata a conciliare posizioni per lo
più inconciliabili. L’impresa non è riuscita alla perfezione (la
contrarietà dell’Udeur è chiara, evidente e destinata a durare) ma ha
portato comunque ad un compromesso che al tempo stesso accontenta e
scontenta tutti, con l’ottimismo però a prevalere sulla delusione per
quanto sperato e non (ancora) ottenuto.
Sul testo piomberanno presto una valanga di emendamenti, e ben
difficilmente sarà approvato in questa versione. Se sarà approvato,
visto che – con la defezione dell’Udeur e l’eterogeneità delle decisioni
dei senatori a vita - la maggioranza di centrosinistra non ha in Senato
i numeri per approvarla. Voti che potrebbero però arrivare da singoli
esponenti dell’opposizione, dando al testo un si trasversale. E oltre al
merito, anche decisioni e strategie squisitamente politiche, legate alla
tenuta del governo Prodi, alla coesione dell’opposizione e al gioco di
sponda fra centristi dei due schieramenti, determineranno il risultato
finale.
Sulle singole disposizioni contenute nel testo, ascolteremo in questi
giorni i pareri e i giudizi di chi certamente ha competenze maggiori
delle nostre: il tributarista e l’avvocato, l’esperto in diritto di
successione e quello in diritto di famiglia ci consentiranno di scoprire
pregi e difetti della proposta appena presentata. Ad una prima occhiata,
non sembrano intravedersi particolari cataclismi: fra successione nel
contratto di affitto, assistenza sanitaria in caso di malattia,
concessione degli alimenti alla parte più debole, agevolazione nei
ricongiungimenti lavorativi e reversibilità della pensione, le uniche
norme di una qualche rilevanza anche nei confronti di soggetti terzi
sono la partecipazione all’eredità e l’assegnazione delle case popolari
(con una formula peraltro alquanto ambigua, per cui le Regioni dovranno
“tener conto” delle coppie conviventi, e “tener conto” può voler dire
molte cose…). Presi singolarmente, si tratta di provvedimenti che per la
gran parte già oggi possono essere regolati con scritture private o per
le quali sarebbero state sufficienti apposite modifiche al codice
civile, e che per il resto introducono delle novità che possono anche
essere ritenute opportune di fronte a convivenze stabili. Le “coppie di
fatto” sono un “fatto”, e da essi sorgono diritti e doveri: in sé non è
uno scandalo che uno Stato scelga di regolare i rapporti fra questi
soggetti. Insomma, nel merito non ci pare davvero il caso di stracciarsi
le vesti.
Resta tutto il discorso, assai delicato, del “modello sociale”,
dell’esempio proposto alle nuove generazioni. A tal proposito, i “Di.co.”
– anche in un mondo che rifiuta l’ottica dell’impegno di vita “per
sempre” - non sembrano capaci di suscitare la benché minima emozione:
sono una scelta “al ribasso” non nel senso politico del termine, ma in
quello socio-personale, come progetto di vita. Cosa mai ci si potrebbe
attendere d’altronde da un modello che prevede, in caso di dichiarazione
all’anagrafe non contestuale, l’obbligo di avvisare l’altro convivente
“mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento”? Qualcuno
potrebbe obiettare che è proprio questa carenza di impegno concreto e di
prospettiva futura un ottimo motivo per opporsi ai “Di.co”; se non fosse
che queste differenze marcano indubbiamente ciò che è stato chiesto a
gran voce, e cioè un confine netto con il matrimonio, anche per ciò che
riguarda eventuali riti para-matrimoniali con anelli, riso, confetti e
firma solenne, prima del ricevimento in ristorante.
Certamente la novità più rilevante dei Dico è la loro apertura a
qualsiasi tipo di legame affettivo e alle coppie dello stesso sesso. I
toni di tracotante rivendicazione assunti – e non da oggi – dagli
esponenti autoproclamatisi rappresentanti unici del mondo omosessuale
non aiutano a comprendere la reale portata del provvedimento che,
limitato agli ambiti definiti nel testo, appare quanto meno doveroso
analizzare con attenzione. Non è né saggio né giusto negare a priori che
uno Stato possa, o perfino debba, concedere ad essi facoltà e diritti.
Ciò detto però è anche doveroso ricordare che – fuor di retorica - il
futuro della società e dell’intero paese non è nelle mani dei “Dico”, ma
in quelle di chi sceglie di sposarsi e di vivere il matrimonio. I figli
sono il bene essenziale e più importante per il futuro, e questa è una
evidenza che a molti non piacerà, ma che è quanto mai opportuno
rammentare. E’ la famiglia fondata sul matrimonio a restare il cardine
della società, ed è inconcepibile che, mentre si allargano i diritti di
chi sceglie di evitare un impegno “per sempre”, ben poco venga fatto per
chi della propria esistenza e della propria vita ne fa un progetto
sociale condiviso e trasparente, assumendo responsabilità che non
possono essere sciolte con l’invio di una raccomandata con ricevuta di
ritorno. Mentre il nostro tasso di natalità si muove appena appena dai
minimi termini, la vicina Francia – quella dei famigerati pacs – culla
bambini a più non posso, con un baby boom che ha portato i transalpini
alla fatidica soglia dei due figli per donna. Il tutto grazie a
politiche familiari serie ed efficaci volute da governi di destra e di
sinistra: politiche che invece in questo paese si continuano a rimandare
alle calende greche. Questo non è più accettabile, questo è il vero
scandalo: altro che pacs, “dico” e contrattini vari che in sé stessi
fanno ben poca paura.
L’auspicio ora è che non si instauri una lotta muro contro muro fra
favorevoli e contrari: i “Dico” forse non la meritano. Nei toni e nelle
reazioni si utilizzino argomentazioni ragionevoli per sostenere
l’opportunità o l’inopportunità della scelta legislativa proposta dal
governo. E vedremo con il tempo se si sarà trattato di qualcosa di
epocale, di misero o semplicemente di superfluo.
Archivio DICO
|