Per la seconda volta in meno di dieci anni,
portoghesi alle urne oggi per decidere se depenalizzare l’interruzione
della gravidanza entro le prime dieci settimane. Per i sondaggi “si” in
vantaggio, ma il paese appare distratto…
“È d'accordo con la depenalizzazione dell'interruzione volontaria
della gravidanza, se realizzata per scelta della donna nelle prime dieci
settimane e in un centro sanitario legalmente autorizzato?”: è questo il
quesito al quale quasi nove milioni di portoghesi sono chiamati oggi a
rispondere per la seconda volta nel giro di un decennio. Un referendum
che mira alla modifica della legge datata 1997 e che contempla la
possibilità di un aborto nei casi in cui vi sia un pericolo di vita o di
grave rischio psico-fisico per la donna (aborto consentito entro le 12
settimane di gravidanza), di violenza carnale (entro le 16 settimane) o
di rischio di malformazione del feto (entro le 24 settimane). Una
legislazione che stabilisce l’obbligatorietà dell’assenso dei genitori
per le minorenni e che – unica in Europa – stabilisce anche delle norme
penali per chi abortisce illegalmente (tre anni di carcere per la donna,
sette per i medici). La consultazione popolare mira al rovesciamento
radicale della situazione: di fatto, è la liberalizzazione della pratica
abortiva nelle prime dieci settimane di gravidanza. Un doppio salto
mortale, da una legge fra le più rigorose a quella più permissiva,
perché nessuna condizione verrebbe richiesta, se non “la scelta” della
donna e la realizzazione dell’intervento in un “centro sanitario
legalmente autorizzato”. Se dovesse vincere il “si” – anche in assenza
del quorum - il governo presenterà in parlamento una proposta per
riformare la legge nel senso indicato; se invece prevarranno i “no”,
tutto resterà immutato, anche se è plausibile che ugualmente sarà
presentato un progetto di legge per giungere almeno ad una sospensione
delle pene. E neppure è possibile escludere l’ipotesi di un eventuale
terzo referendum nel giro di qualche tempo.
La consultazione popolare è stato indetta dal governo socialista del
premier José Socrates, che spera così in un pronunciamento popolare
differente da quello del 1998, quando un referendum identico non
raggiunse il quorum del 50% dei votanti, risultando dunque non valido.
Ma il messaggio fu ugualmente chiarissimo, perché di quel 32% di
portoghesi che si recò alle urne la maggioranza si espresse per il “no”,
attestato al 50,8%. Una sorpresa, perché tutti i sondaggi della vigilia
prevedevano una vittoria dei si. E’ quello che succede anche stavolta,
con le ultime rilevazioni a descrivere un “si” alla depenalizzazione
attestato fra il 53% e il 58.7%, contro un “no” ampiamente sotto al 40%
e una quota di indecisi del 12,5%. Si prevede alta l’astensione, ma non
capace di invalidare il risultato finale: è stimata fra il 40% e il 45%
degli aventi diritto al voto. Per il “si” si sono schierati il Partito
socialista, gli eco-comunisti e gli estremisti del Bloque de Esquerda.
Il maggior partito d’opposizione, il centrodestra del Psd, lascia
libertà di coscienza, mentre parere contrario è stato dato dal Partito
popolare.
“Una scelta per la modernità”, è lo slogan del movimento per il si, che
sottolinea da un lato l’eccezione portoghese nella legislazione europea
(uno dei pochi paesi a indicarlo come atto illecito), e dall’altro la
necessità di porre fine alla “vergogna nazionale dell’aborto
clandestino”, che porterebbe nella vicina Spagna 20mila donne ogni anno.
Condizionale d’obbligo, perché i dati non sono verificabili e la
tentazione di esagerare è troppo ghiotta per rinunciarvi. La verità è
che – in fondo – la legge portoghese non si discosta poi di tanto da
quella spagnola, con la sola fondamentale differenza però che viene
applicata dai medici (per la gran parte peraltro obiettori di coscienza)
in modo restrittivo (e serio), esprimendo il consenso all’interruzione
di gravidanza solo in presenza di un “rischio psico-fisico” per la donna
effettivamente dimostrato e dimostrabile.
Giornali e televisione affrontano diffusamente l’argomento, esaminando
anche l’aspetto penale. In verità, anche se la legge considera l’aborto
come un crimine, nella realtà dei fatti la donna che abortisce non
finisce in carcere: la magistratura portoghese infatti si è dimostrata
tanto inflessibile sui principi quanto clemente nella pratica concreta,
in questo interpretando i sentimenti di una popolazione che in gran
parte considera l’aborto come un atto illecito ma al tempo stesso non
desidera che chi lo compie finisca in galera. E’ anche per questo che –
nel 1998 come stavolta – l’astensione al referendum è stata e sarà alta:
un tema simile non si presta ad essere risolto con un “si” o un “no”.
Sul fronte contrario al referendum è schierata naturalmente la Chiesa
Cattolica, ma il dibattito è ben lontano dai toni di scontro fra le
opposte fazioni di “laici” e “cattolici” che si osservano alle nostre
italiche latitudini. L’atteggiamento della Conferenza Episcopale
portoghese è stato netto e discreto al tempo stesso: i vescovi si sono
limitati a ribadire – nella nota pastorale “Ragioni per scegliere la
vita” – i motivi per i quali un cristiano debba dire no, e hanno
lasciato ai laici il compito, l’onere e l’onore di intraprendere le
conseguenti iniziative concrete.
Un appoggio e un sostegno ai pro-life portoghesi è giunto anche dal
Movimento per la vita italiano, che con il suo presidente Carlo Casini
ha ricordato la traduzione in lingua portoghese della pubblicazione “La
vita umana prima meraviglia”, con un video che illustra lo sviluppo di
una vita a partire dal concepimento: un modo per sostenere concretamente
il difficile compito degli amici lusitani. “Abbiamo ora lanciato in
Italia una mobilitazione di tutti i nostri centri e gruppi per una
grande preghiera per la vita, nella speranza che le nostre suppliche
possano contrastare la campagna che vuole legalizzare l’aborto”. Casini,
che è anche parlamentare europeo, ha firmato con altri 55
europarlamentari un documento che esprime contrarietà al quesito
referendario: “Dobbiamo smetterla di pensare alle singoli nazioni
europee come monadi chiuse in se stesse”, ha sostenuto: “Quando si
decide su materie importanti come la difesa della vita, ci sono
immediati effetti su tutti i paesi. Se il Portogallo respingerà il
referendum sull’aborto sarà un vantaggio per l’Europa”.
Archivio pacs - DICO
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