Sarebbe stato bello, davvero
bello, se dopo una
manifestazione come quella di
ieri a Piazza Farnese per dare
la “sveglia” al governo sui
diritti civili, Prodi non si
fosse improvvisamente
“svegliato” dal torpore e non
avesse rilasciato
dichiarazioni critiche contro
la presenza di tre ministri in
piazza. Prodi che critica una
parte, seppur minimale, del
proprio governo, vuole dire
tante cose e nessuna buona. Ma
una, in particolare, risulta
più pesante delle altre. Ed è
quell’ipocrisia, tutta
democristiana, di gettare il
sasso e nascondere la mano,
come quei preti che prima in
confessionale ti assolvono da
tutti i peccati ma poi, se ti
incontrano per strada,
abbassano lo sguardo per non
incrociare quello di una donna
di malaffare. Il popolo che
ieri si è riunito a Roma per
manifestare sulla necessità
oggettiva di ampliare i
diritti civili non si meritava
certo questa presa di distanza
che, invece, tanto è piaciuta
Oltretevere. Tanto meno se la
meritavano quei tre ministri
che, in barba alle pressioni
dei poteri forti di questo
Paese, sono saliti sul palco
per dimostrare agli elettori
di avere punti di riferimento
laici e costituzionali dai
quali non hanno nessuna
intenzione di prescindere,
anche se la famigerata logica
dei numeri in Parlamento
dovesse costringerli ad andare
a casa con grande anticipo
rispetto alle previsioni.
Il popolo di piazza Farnese
questo aspetto lo aveva ben
presente. Infatti, ce
l’avevano tutti con una parte
ben precisa di questa
inadeguata classe politica. Ce
l’avevano con Mastella, con la
Binetti, con Andreotti. E,
soprattutto, con il Vaticano,
con quel Papa che ormai parla
solo della politica di quello
che pensa essere il suo
cortile di casa e che non
perde occasione per alimentare
lo scontro, ormai aperto, tra
la Conferenza episcopale e lo
Stato Italiano. Una
contrapposizione così forte e
inaccettabile che ha spinto
persone diverse tra loro a
spendere decine di ore in
treno solo per esserci e dire
il proprio no ad un “partito
di Dio” che sta facendo di
tutto perché gli ultimi del
mondo restino tali e non
viceversa.
Lo dicevano chiaramente, ieri
in piazza, alcuni
manifestanti. “E’ solo colpa
del Papa – commentano quasi
con rabbia Nunzio e Nicola,
coppia omosessuale pugliese,
dieci ore di treno sulle
spalle per essere presenti – e
della sua ingerenza nella
politica di questo Paese se in
Italia un milione e 200 mila
coppie di fatto non possono
avere pari diritti delle
coppie sposate”. “Ma
soprattutto – li ha interrotti
ad un certo punto Elisabetta,
romana di 28 anni, mano nella
mano con Emanuela, sua
compagna ormai da cinque anni
– ce l’abbiamo con chi lo
ascolta, con quella classe
politica che in Parlamento non
risponde più al proprio
elettorato o alla
Costituzione, ma si fa dire
come deve votare dalla Chiesa
che è sempre più un partito
politico oscurantista”.
Ma non c’erano solo loro.
C’erano anche famiglie con
bambini, giovani in gruppo in
pieno stile gita scolastica e
anche qualche prete vero come
don Alfredo, una parrocchia a
Tormarancia, suburba romana
poco tranquilla, che si
guardava intorno per capire
senza intenzione alcuna di
condannare. Ma, soprattutto,
in piazza c’era molta rabbia,
che si sprigionava nei toni
degli slogan issati sui
cartelloni e ben più numerosi
delle bandiere delle
associazioni omosessuali (da
Arcilesbica ad Arcigay
passando per il circolo Mario
Mieli); più che semplici
canzonature, più che
spigolature, anche graffianti,
verso i politici contro i
Dico, alcune frasi erano vere
e proprie sassate in faccia,
insulti pensati per fare male
a chi “vuole far ritornare
questo paese – parole di
Alessandra, madre di Giulio, 2
anni e compagna di Paolo –
indietro fino al Medioevo”. E
allora ecco “Meno Binetti, più
diritti”, “Più
autodeterminazione, laicità,
antifascismo, meno Vaticano”,
“Meglio gay che Opus Dei”, ma
anche un pesantissimo “Joseph
e George, stiamo lottando
anche per voi” con annessa
foto del giovane segretario
particolare di Benedetto XVI.
E ancora "Binetti, Binetti,
noi deviati mentalmente è una
frase da teo-demente" e dopo
una salva di fischi che ha
accompagnato un cartellone con
la foto di Mastella con la
tiara cardinalizia in testa,
vicino al palco ne è apparso
uno di quelli che non si
scordano: “Andreotti contro i
gay, dindirindina, baciava in
bocca Toto' Riina...”.
Slogan duri, impietosi. E del
tutto scollati dalle parole
che i vari personaggi hanno
proposto dal palco. Toni
concilianti, inviti al
dialogo, una colonna sonora a
base di Madonna e di Loredana
Bertè, ma niente di enfatico,
nessuna parola forte. Gli
organizzatori – ma lo si è
capito solo alla fine della
manifestazione – hanno chiesto
a tutti di non caricare la
folla con le parole.
Soprattutto, di non parlare
male della Chiesa. Un fatto
che ha convinto Alessandro
Cecchi Paone, che con
Pierluigi Diaco avrebbe dovuto
condurre la kermesse, ad
abbandonare il campo. ''Ma
siete matti – ha urlato il
popolare presentatore - mi
hanno chiamato cento volte per
dirmi di non parlare contro la
Chiesa e di non dire una
parola contro il Vaticano. Ma
dico, stiamo scherzando?''.
Per niente. La parola d’ordine
che la politica voleva mandare
avanti era “dialogo”,
dimostrare che si può lottare
per un diritto senza
contrapporsi. E se la Chiesa
erige barricate, dall’altra
parte ci dev’essere anche chi
dimostra più saggezza e si
siede comunque al tavolo.
Lo ha detto chiaramente la
prima dei tre esponenti del
governo che sale sul palco, la
diessina Barbara Pollastrini,
prima firmataria del ddl del
governo, giro di perle
d’ordinanza davanti ad una
platea di ultimi: “Ce la
metterò tutta, ma allarghiamo
il dialogo e muoviamo tutte le
coscienze...”.”Da questa
piazza arriva un grande
messaggio, un forte segnale.
C'è qualcosa che può unire e
questo è l'amore e il rispetto
per le persone. Io mi
impegnerò per difendere
l'autonomia delle politica e
rispondere alle esigenze dei
cittadini”. Applausi dalla
folla. E prime reazioni
sdegnate dalla Cdl che
qualcuno ha subito veicolato
al secondo ministro chiamato a
salire sul palco, Alfonso
Pecoraro Scanio, che non ha
perso l’occasione: “Inviterei
la destra italiana, visto che
siamo sotto l'ambasciata
francese, a fare un salto a
Parigi ed a vedere come si
fanno le politiche sui Pacs e
la famiglia. La verità è che
abbiamo una destra illiberale,
che non fa neanche quello che
le altre destre europee
fanno”. Ancora applausi. “Il
governo ha varato il ddl –
queste invece, le parole del
terzo ministro salito sul
palco, Paolo Ferrero - ora si
cominci a discutere sui
contenuti invece di avere
posizioni ideologiche ;sulla
legge sui Dico va trovato un
punto di incontro tra
posizioni differenti".
Ma il dialogo non serve se si
parla a un sordo. E sono in
parecchi a non voler sentire o
a sperare che i Dico siano
abbandonati sull’altare della
sopravvivenza di questo
governo chiamato a riscrivere
la legge elettorale prima di
ogni altra necessità del
Paese. Ecco perché anche
questa legge parziale sui
Dico, firmata dalla
Pollastrini e dalla Bindi e
che sta vivendo un difficile
iter in commissione in Senato,
può rappresentare una faglia
nella recinzione ideologica
con la quale i vari Teocon e
Neocon tentano di imbrigliare
la società spegnendone ogni
possibilità di maturazione e
di progresso. E’ una questione
di diritti: i nuovi che
vengono negati e i vecchi che
si mira a ridiscutere. I Dico,
con tutti i limiti che si
portano appresso, possono
rappresentare un punto di
partenza per una battaglia più
avanzata che metta al centro
dell’agenda della politica i
reali bisogni di centinaia di
uomini e donne decisi a fare
in modo che le loro realtà
affettive abbiano la stessa
dignità di quelle incardinate
nelle regole giuridiche e
sociali. Il ddl sui Dico è
uscito da Palazzo Chigi, non
da Gomorra. Ma Prodi
l’equilibrista se ne è già
dimenticato...
Archivio PACS e DICO
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