Manifestazione colorata nel cuore di Roma per
“dare la sveglia” al parlamento, invitandolo all’approvazione del
disegno di legge che regola i rapporti fra conviventi. L’irriverenza
verso la Chiesa, le certezze e i dubbi fra la musica e la politica.
ROMA – Non erano centomila, come a metà serata urlano trionfanti dal
palco, e non erano probabilmente nemmeno la metà, ma sicuramente la
manifestazione a sostegno del disegno di legge governativo sui diritti
delle coppie conviventi – i cosiddetti Dico – è stata a suo modo una
festa, iniziata con le parole d’ordine della politica e proseguita poi
con lo spettacolo musicale chiuso a tarda sera da Eugenio Finardi e
Simone Cristicchi. Colori a volontà e personaggi improbabili in una
piazza Farnese affollata di convinti militanti e di curiosi passanti:
l’attenzione dei fotografi si concentra sulle irriverenze nei confronti
della Chiesa, sui copricapo firmati “no vat”, sull’attesa del giorno
benedetto in cui Benedetto (si, proprio lui) rimarrà finalmente zitto,
sulle risorse del latinorum riguardo a pacs e pax, sui rimandi letterari
(“Io Dico: questo matrimonio non s’ha da fare”) e su quelli politici,
con la teo-dem Paola Binetti ribattezzata con scarsa cavalleria “teo-dem
(ente)” e i fischi della rumorosa piazza indirizzati a Mastella e ad
Andreotti.
Ci sono i radicali con tutta la loro passione per la penisola iberica
(“Io dico Zapatero”) e con le loro immancabili firme, stavolta per
l’istituzione a Roma del registro sulle coppie di fatto; ci sono
bandiere verdi e rosse, con ambientalisti, comunisti e post-comunisti a
far da compagni di strada all’arcobaleno dell’Arcigay e al viola
dell’Arcilesbica; ci sono i giovani marxisti leninisti e ci sono gli
atei agnostici rivoluzionari, ad invocare per ognuno lo “sbattezzo” e
per il paese la “scrocifissione”. Se questi attirano l’attenzione di
tutti, a fare numero sono in verità ragazzi e ragazze senza alcun segno
particolare: in coppia o in gruppo, si gustano lo spettacolo, chi per
sana curiosità, chi per convinta adesione. Ci sono anche loro alle sei
del pomeriggio quando tutto ciò che può emettere un suono viene
utilizzato all’unisono per “dare la sveglia” alla politica: è un grande
fracasso che invia al parlamento e forse anche al governo il messaggio
che è giunta l’ora di riconoscere i diritti delle coppie di fatto. Sul
palco ministri e parlamentari si alternano a testimonianze personali:
quella della signora Loreta, sessantenne della comunità cristiana di
base di San Paolo, che urla “Possumus” e spiega di aver convissuto per
trent’anni con un uomo e di non aver avuto neppure un centesimo “quando
lui se n’è andato”; quella di Adele Parrillo, la compagna del regista
ucciso a Nassiriya e che a causa della burocrazia non ha potuto prendere
parte alla cerimonia di Stato per quell’attentato; o ancora quella di
Mario, che da 20 anni viveva in compagnia di un uomo ucciso alcuni
giorni fa nella sua abitazione di Roma.
Il momento impegnato della serata passa poi la mano a quello più
spettacolare, con la musica a farla da protagonista e una conduzione
ridotta alla metà, con il solo Pierluigi Diaco a orchestrare le danze in
assenza di quel Cecchi Paone che alle polemiche della vigilia ha voluto
aggiungere pure quelle dell’evento, rifiutandosi di presentare per
protesta contro le pressioni che avrebbe subito per non attaccare
frontalmente il Vaticano dal palco. Beghe di cortile, a vederle da qui,
come pure le infinite discussioni sulla presenza in piazza dei ministri
Pecoraro Scanio, Ferrero e Pollastrini, e relative perplessità del
premier Prodi.
Il grosso della folla si scioglie per le vie intorno alla città, il
traffico aumenta. Su un bus che cammina a passo d’uomo sul Corso
Vittorio Emanuele ci sono almeno dieci – quindici religiose: capita così
che qualcuno pensi ad un supplemento di manifestazione, fermandosi
proprio a lato dell'automezzo per esporre i cartelli con le foto del
papa e gli inviti – piuttosto coloriti – a non essere bigotti. Le facce
delle povere suore indicano bene la difficoltà di chi si trova sul
campo, nella vita di tutti i giorni, a confrontarsi con una realtà in
cui si avverte un clima di scontro e di incomprensione. Tre ragazze
discutono fra loro, e parlano di quanto accade in quegli stessi momenti
in Vaticano: il rosario del papa con gli universitari di numerosi paesi.
Loro sono qui per scelta, condividono il principio secondo cui alcuni
diritti devono essere riconosciuti anche alla coppie non sposate. “Le
tutele dei Dico non colpiscono affatto la famiglia fondata sul
matrimonio, né tanto meno la disgregano”, dice una di loro.
Preoccupazione infondata quella della Chiesa? “La Chiesa sta perdendo il
contatto con la realtà sociale: non capisco davvero come possa dirsi
contraria alla tutela di alcuni diritti in capo a chi vive una
situazione di affetto e di comune vicinanza”. E tu, i Dico, li faresti?
“Si, perché no. Nel mio futuro potrei prendere in considerazione anche
il matrimonio, ma avere più possibilità di scelta non è affatto un
male”.
Sono numerosi anche quelli che hanno una certa età. Mario ha oltre 60
anni ed ha appena chiuso il suo negozio, in una via vicina: ora osserva
il palco e i musicisti che vi si alternano. “Sono molto confuso: sono
qui solo per curiosità, perché non sono ancora riuscito a farmi una idea
chiara e precisa della questione. Io sono credente, ma mi domando se
davvero non si debba lasciare alcuna tutela ai conviventi. Certo,
sentire paragonare il matrimonio alle unioni omosessuali non mi piace
affatto: si tratta di due cose distinte e tali devono rimanere. Ma ciò
non significa che non possano essere regolate altrimenti… anche se non
so se questi Dico siano il modo migliore”.
Gli omosessuali: grandi protagonisti, ma per molti un grande problema.
Nelle dichiarazioni ufficiali i toni sono sempre sopra le righe, nelle
parole della piazza i toni sono meno vivaci e più concilianti: “Non è
vero che ce l’abbiamo con la Chiesa cattolica e con sue gerarchie:
semplicemente reclamiamo la possibilità di poter avere alcuni diritti
basilari derivanti dal nostro legame affettivo: un riconoscimento che
non va affatto a discapito della famiglia”. Siete d’accordo sul fatto
che la famiglia sia troppo poco tutelata ed aiutata dal nostro
ordinamento? “Ma si, certo: aiutare le coppie giovani, coloro che
scelgono di sposarsi e di avere dei figli, è giusto e deve essere fatto:
questo è un paese che per la famiglia non ha messo in campo mai alcuna
politica. E non certo per colpa nostra. Aiutare la famiglia è giusto, è
doveroso: lo si faccia. Non sono certo i Dico a rendere la cosa
impossibile”. Ma i Dico non sono forse il primo passo per altre
richieste? Ad esempio, l’adozione dei bambini? “I Dico hanno un valore
in loro stessi. L’adozione è qualcosa che non chiediamo e sulla quale
dunque non ci stiamo confrontando: d’altronde si tratta di un aspetto
delicato, soprattutto per la presenza del bambino, i cui diritti devono
avere sempre la precedenza. Ora ci sono i Dico: è quello che cerchiamo”.
Archivio PACS e DICO
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