E’ l’affondo finale di una battaglia sempre più di
retroguardia e, per questo motivo, capace di radicalizzare
lo scontro tra laici e cattolici ben oltre quelle
fratture, mai ricomposte del tutto, già vissute sui
referendum dell’aborto e del divorzio. La Chiesa ha
sferrato l’attacco definitivo ai Dico dichiarandoli
“inaccettabili” soprattutto per le coppie gay. Ma è sul
fronte della politica che i vescovi hanno esercitato la
pressione più robusta ribadendo con chiarezza il loro
rifiuto della sovranità laica dello Stato. Quei politici
cattolici che si trovassero a votare positivamente per i
Dico saranno tacciati di incoerenza. Il loro voto in nome
della laicità sarà considerato contro il magistero;
nessuna vera scomunica, ma una bolla di inaffidabilità e
di lontananza dai voleri del “partito di Dio” che certo
peserà non poco sulle coscienze fragili dei parlamentari Teodem, ora ancor più legittimati a votare contro il
progresso della società civile.
La versione Bagnasco della nota sui Dico, voluta dal
predecessore Ruini, rispecchia appieno i contenuti
annunciati e piomba con grande forza nel dibattito
politico con toni che, al di là dello stile, confermano
l’intransigenza dei contenuti. Basta una frase a far
capire il senso di un documento di sole tre pagine ma che
ha il peso di un manifesto programmatico su come, d’ora in
poi, la Chiesa ha intenzione di far sentire la propria
voce nel dibattito parlamentare del paese: la
legalizzazione delle unioni di fatto, si legge, e'
''inaccettabile sul piano di principio e pericolosa sul
piano sociale ed educativo''.
''Grave'' sarebbe, per i vescovi, la legalizzazione delle
coppie gay ''perche' in questo caso si negherebbe la
differenza sessuale, che e' insuperabile'', mentre i
diritti dei conviventi si possono tutelare nell'ambito del
diritto privato. Riflettano su questo ''quanti hanno la
responsabilita' di fare le leggi''.
Un diktat senza sconti, su cui, tuttavia, emerge anche
l’ipocrisia cattolica di sempre soprattutto quando la Cei
mette le mani avanti sulle possibili critiche di
ingerenza. Ci viene infatti spiegato che se i presuli
hanno sentito la necessità di dire una parola tanto
impegnativa, non è stato certo perchè nuotino sottotraccia
''interessi politici da affermare'' in ambito Vaticano,
bensì stia a cuore di Santa Romana Chiesa solo il bene
comune: solo la famiglia ''aperta alla vita'' e' la vera
cellula della societa' ed e' quindi interesse di questa e
dello Stato ''che la famiglia sia solida e cresca nel modo
piu' equilibrato possibile''.
Sarebbe da chiedersi, in modo un po’ qualunquista, quale
tipo di lezione di “equilibrio” possa pervenire da chi,
per scelta, ha rifiutato di costruirsi una famiglia
votando a Dio la propria missione di vita. Ci limitiamo,
invece, a sottolineare l’invadenza di queste parole
nell’intimità familiare delle persone, dove di sicuro gli
affetti contano molto di più di equilibri di genere e
dove, senz’altro, se ci sono degli equilibri da difendere
non lo si fa certo perché lo comanda qualcun altro vestito
di porpora ma perché rispecchia i sentimenti più veri
delle persone: la casa, insomma, la si costruisce con chi
si ama, nei modi che meglio si crede di perseguire, non
certo con chi ordina Sua Santità.
Ed è proprio partendo da questa base inconfutabile che non
si può che respingere con forza quelle precisazioni
contenute nel documento dei vescovi riguardo al ruolo dei
cattolici in politica. E dove si afferma che, di fatto, il
fedele cattolico non è un uomo libero. Le parole sono
pietre e, in questo caso, pesano altrettanto. Il vero
cristiano, si sostiene, e' tenuto a conformarsi al
magistero e non puo' ''appellarsi al principio del
pluralismo e della autonomia dei laici in politica,
favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la
salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali del bene
comune della societa'''. Quale bene comune? Davvero quello
della società civile? Di sicuro no.
Non ci sarebbe altrimenti bisogno di chiamare alle armi i
cristiani chiedendogli di farsi partito per contrastare
questa cultura del relativismo che tanto terreno politico
sta facendo perdere, a detta dello stesso Papa, alla
Chiesa di Roma. Eppure, anche in questo caso, le parole
sono chiare. I vescovi, in modo suadente, si dicono
comprensivi per la ''fatica e le tensioni sperimentate''
dai politici cattolici ''in un contesto culturale come
quello attuale'' in cui la visione ''autenticamente umana
della persona e' contestata in modo radicale''. ''Ma – ed
e' questa la chiave di lettura dell’intero documento - e'
anche per questo che i cristiani sono chiamati a
impegnarsi in politica''. Il documento dei vescovi non
accenna ad alcun tipo di provvedimento per quei politici
''incoerenti''
con il magistero, punto delicatissimo per i cattolici
italiani impegnati in politica, ma in questo caso le
parole sono sufficientemente eloquenti. La condanna per
l’azione politica in favore dei Dico e delle coppie gay è
espressa con rara durezza: a suffragio di questo pensiero
oscurantista si citano documenti vincolanti per i
cattolici come una esortazione papale e una nota della
Congregazione per la dottrina della fede. Ma, soprattutto,
si fanno scudo della Costituzione Repubblicana, quasi a
voler fornire una sponda a chi, parlamentare perplesso
dalla dottrina e tentato dalla difesa della laicità dello
Stato, si convincesse che sono davvero altri i valori da
difendere votando per qualcosa di contrario al volere del
“partito di Dio”.
La capillarità dell’offensiva è stata studiata nel
dettaglio, anche sul fronte della comunicazione. Non è
infatti un caso se il documento è stato e' stato
pubblicato il giorno in cui le organizzazioni cattoliche
lanciavano ufficialmente il Family Day, (designando tra i
portavoce della iniziativa Savino Pezzotta) che, a questo
punto, assume le sembianze di una vera e propria
iniziativa antigovernativa, benché spacciata con la solita
ipocrisia cattolica, come una manifestazione in difesa
della famiglia.
Nella storia della Cei non mancano precedenti al questo
documento. E ci sono stati vari tipi di testi, da note di
presidenza o di assemblea o di commissioni episcopali, a
note pastorali sui temi piu' vari. Nel '69 c' era stata
una nota sul divorzio, nel '77 un comunicato sulla
responsabilita' dei cattolici in politica e sulla adesione
dei cattolici alla ideologia marxista, nell'85 una
sull'aborto, l'eutanasia e la cultura di morte. In tutte
queste situazioni la Chiesa fatta partito ha perduto le
sue battaglie politiche. Speriamo che la tradizione venga
confermata.
Archivio PACS e DICO
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