Sotto il dipinto di San Sebastiano, nell’ufficio del
Governatore della Banca d’Italia hanno lavorato Luigi Einaudi, Donato Menichella,
Guido Carli, Paolo Baffi, Carlo Azeglio Ciampi. In più occasioni la reputazione
della Banca è stata cruciale per la credibilità dell’Italia. Senza questa
reputazione probabilmente non avremmo ricevuto lo stand-by del Fondo monetario
internazionale che nel 1976 ci consentì di superare un momento molto difficile.
Durante le vicende di Tangentopoli il capitale umano della Banca, da Carlo
Azeglio Ciampi a Lamberto Dini, evitò il collasso delle istituzioni della
Repubblica. E’ un patrimonio che oggi rischiamo di perdere.
Un problema di regole e di persone
I problemi della Banca d’Italia non si limitano alla leggerezza e allo scarso
senso dello Stato dimostrati in questi mesi da Antonio Fazio, di cui abbiamo
criticato l’operato in anni non sospetti, quando essere critici del Governatore
era considerato da molti economisti quasi un tradimento. All’origine dei
problemi della Banca vi sono le regole che sovra-intendono al suo operare.
Innanzitutto la responsabilità per la concorrenza, che fa a pugni con quella per
la stabilità del sistema finanziario. E poi il mandato a tempo illimitato, che
sottrae il Governatore ad ogni forma di accountability. E il fatto che non ci
sia collegialità nelle decisioni, al contrario di quanto avviene nella BCE. Si
tratta semplicemente di applicare le regole già previste per la Banca Centrale
Europea. Problemi che in passato non sono emersi per la misura e la correttezza
dei precedenti Governatori, ma anche perché il loro potere di indirizzo sul
sistema finanziario era limitato da un assetto proprietario ingessato e
sostanzialmente tutto pubblico.
Con l’avvio delle privatizzazioni la Banca ha potuto esercitare la sua funzione
di regolatore del nostro sistema finanziario e il Governatore è diventato
l’arbitro unico di aggregazioni e ristrutturazioni, dotato di un potere
assoluto, senza dover rispondere ad alcuno del suo operare. Nonostante un caso
di evidente successo, Unicredit, il modo in cui Antonio Fazio ha interpretato
questo ruolo ha prodotto effetti deludenti: aggregazioni negate senza spiegare
perché, altre autorizzate senza che ne fossero evidenti le sinergie e
soprattutto un’ostinata chiusura all’ingresso di banche estere in Italia. Il
risultato è un sistema bancario tra
i più costosi d’Europa .
La responsabilità del governo
A questo punto la responsabilità è del governo. Esso ha i
poteri per intervenire mettendo fine ad una vicenda che ha leso la credibilità
dell’Italia nel mondo. Non si tratta di inventare alcunché di nuovo, ma
semplicemente di adeguare lo statuto della Banca d’Italia a quello della
Banca centrale europea. Mandato a termine del Governatore (con una norma
transitoria, compatibile con i principi comunitari, che preveda le dimissioni
del Governatore in carica qualora abbia superato il nuovo termine stabilito
dalla legge) un direttorio che, sul modello del Comitato Esecutivo della BCE,
assuma le sue decisioni su base collegiale e forme di
accountability adeguate. In questa prospettiva è necessario anche
intervenire sulle competenze attribuendo quelle di Antitrust sulle banche
all’Autorità per la concorrenza. Se il Governo non ha la forza di portare in
porto la legge di riforma del risparmio, almeno stralci questi due
provvedimenti. Stare a guardare, dando l’impressione di non poter far nulla è un
atteggiamento irresponsabile che rischia di dilapidare il grande capitale di
competenze e credibilità che rimane nella Banca d’Italia.
Commenti
Il tempo delle regole - Indice Generale dell' Articolo
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