Una macchia
d’olio ha la capacità, se versata nell’acqua, di allargarsi e inquinare
un’ampia superficie.
Allo stesso modo, vi sono comportamenti, scorretti, che per la loro
pervasività, sono capaci di "inquinare" i mercati finanziari,
minandone i meccanismi di funzionamento e finendo con il compromettere la
fiducia del pubblico, elemento essenziale al loro corretto e ordinato
funzionamento. Il riferimento è ai comportamenti detti "abusi di mercato"
che incidono proprio sul meccanismo di formazione dei prezzi, motore dei
mercati (rientrando in tale famiglia l’insider trading e la
manipolazione).
Questo tipo comportamenti è stato colpito dal legislatore, recependo la
direttiva 2003/6/Ce, con la legge n. 62 del 18 aprile 2005: ha introdotto un
sistema di sanzioni amministrative che si affianca a quelle penali,
ha inasprito le pene e ampliato i poteri di accertamento della Consob e
dell’autorità giudiziaria. Le sanzioni pecuniarie sono state poi
successivamente innalzate con la legge n. 262 del 28 dicembre 2005.
Il disvalore che caratterizza gli abusi di mercato sembra essere stato colto
dall’autorità giudiziaria che ha intensificato la propria attività in
questo campo attratta anche dagli strumenti d’indagine che le sono stati
concessi (intercettazioni telefoniche) e dalla possibilità di sanzionare,
con la giusta severità, comportamenti che altrimenti, anche a seguito di
altre modifiche legislative che nel frattempo si sono succedute (si pensi
alla nuova disciplina del falso in bilancio), sarebbero destinati a restare
praticamente impuniti.
La percezione del disvalore che a questi comportamenti viene attribuito
negli ordinamenti finanziariamente evoluti può essere fornita dall’esame
della vicenda Enron nella quale i soggetti ritenuti colpevoli (si va dal
falso in bilancio all’insider trading) rischiano una pena che si
avvicina ai due secoli di carcere.
La Consob e gli abusi di mercato: troppa timidezza?
Per contro, la Consob non sembra aver ancora colto la
reale portata delle norme sugli abusi di mercato e sembra quasi timorosa di
applicarle e di esercitare i poteri che esse le concedono (sequestri,
confische, audizioni, anche di giornalisti, richieste di intercettazioni
telefoniche e collaborazione paritetica con la magistratura). Atteggiamento
strano per chi sino ad oggi si è lamentato dell’inadeguatezza dei mezzi
investigativi che poteva utilizzare, ma in linea con l’approccio avuto in
tutti i più recenti casi, da Parmalat a Fiat, dalla Cirio a Giacomelli, da
Rcs alle società di calcio quotate: non prevenzione dei problemi, ma mera
lettura dei giornali per individuare quali potrebbero essere le linee
investigative seguite dalla magistratura e azione limitata al far vedere
che, comunque "si è arrivati". Poco, anche se sempre meglio di quanto
recentemente fatto dalla Banca d’Italia.
L’autorità di controllo dei mercati, infatti, sembra essere ancorata a una
visione ipertrofica degli abusi di mercato, impegnata, più che a esplorare i
confini dei suoi poteri, ad autolimitarsi,.
La Consob non sembra ancora pronta a evolvere la sua visione, e a
considerare che spesso gli abusi di mercato nascono da comportamenti
plurioffensivi: si tratta cioè di comportamenti che benché abbiano altri
moventi (ad esempio, il compimento di un falso in bilancio, l’evasione
fiscale, la realizzazione di una truffa, l’abuso di posizione dominante o la
realizzazione di un accordo lesivo delle regole di concorrenza), se
interessano direttamente o indirettamente società quotate, finiscono con il
costituire anche un abuso di mercato.
Infatti, se si alterano i dati contabili, si influenza la valutazione
che gli investitori fanno della società e quindi le quotazioni dei titoli,
così come, se si altera il risultato sportivo di una società di calcio
quotata, si finisce con l’influire sui titoli della stessa o, ancora, se si
aderisce a un cartello finalizzato a imporre ai clienti tariffe che non sono
il frutto della libera concorrenza, si incrementano, illegalmente, i
profitti, spingendo i titoli verso quotazioni che gli stessi non avrebbero
potuto raggiungere in base a un corretto funzionamento del mercato. In
particolare, per quanto attiene la manipolazione informativa, si tratta, di
considerare come diffusione di notizie false, non solo la diffusione di
notizie prive di fondamento (falso positivo), ma anche la mancata
diffusione di notizie vere, che si sarebbe tenuti a diffondere (falso
negativo) e la diffusione di notizie parzialmente vere o del tutto vere, ma
rese in modo tendenzioso. È quanto dispone la lettera della legge (articoli
185, comma 1 e 187-ter, comma 1 del
Testo unico della finanza). A ciò si aggiunga che l’articolo 187-ter,
comma 3, lettera d) sanziona chi pone in essere "altri artifizi
idonei a fornire indicazioni false o fuorvianti in merito (…) al prezzo di
strumenti finanziari". Da questo punto di vista, comportamenti non
rispettosi della libera concorrenza o truffe aventi a oggetto, ad esempio,
l’alterazione dei risultati sportivi di società calcistiche o falsi in
bilancio, sarebbero pienamente rientranti nella nozione di "altri
artifizi", categoria che il legislatore ha posto volutamente ampia e non
predefinita.
In altre parole, con un po’ più di coraggio e severità, pronunzie
dell’Autorità garante per la concorrenza e il mercato che sanciscano
comportamenti di abuso di posizione dominante di società quotate dovrebbero
quanto meno sollevare l’interrogativo se non si debbano aprire istruttorie
per abuso di mercato. Lo stesso dubbio potrebbe insorgere se si
riscontrassero bilanci falsificati (magari attraverso l’utilizzo di
plusvalenze fittizie), o in presenza di comunicati falsi o incompleti resi
da emittenti quotati per fatti price sensitive o, infine, se la
magistratura accertasse truffe o altri illeciti (compresi ricatti e
violazioni della privacy) che hanno visto come protagonista o come
soggetto danneggiato una società quotata e che sono stati tali da influire
sull’andamento e, quindi, sulla valutazione della stessa.
Informazioni incomplete ostacolano la vigilanza
Ancora, l’atteggiamento "prudente" e bonario della Consob
traspare anche con riferimento ad altre fattispecie. Infatti, appare sin
troppo cauta nel perseguire l’ostacolo alle sue funzioni di vigilanza.
Una rappresentazione falsa o incompleta di fatti price sensitive
effettuata dall’impresa nei confronti del mercato, che venga letta e
valutata dalla Consob, potrebbe a certe condizioni rappresentare anche un
comportamento di ostacolo (impedimento o ritardo) all’azione di vigilanza.
Alterando il quadro informativo, non solo si influisce sulle scelte
d’investimento dei risparmiatori, ma si inquina anche il quadro di
riferimento sulla cui base la Consob formula le proprie decisioni.
Da questo punto di vista, quindi, quando un soggetto compie una
manipolazione informativa è del tutto evidente che finisce, con tutta
probabilità, anche per ostacolare le funzioni di vigilanza della Consob.
Non si tratta di creare automatismi, questo è chiaro, ma sarebbe lecito
aspettarsi che, almeno in alcuni casi eclatanti, la Consob agisse in modo
più incisivo, utilizzando tutti gli strumenti sanzionatori che il Tuf le
mette a disposizione.
Viviamo in un paese in cui, benché i giudici siano tutti o quasi etichettati
come "comunisti", nessun manager, anche se fosse sanzionato sia per aver
falsificato un bilancio, sia per aver manipolato i titoli della società di
cui ha falsificato il bilancio, e sia per aver ostacolato, con tale falsità,
l’attività della Consob, rischierebbe di scontare sino a 189 anni di
prigione. Ma è risaputo: il modello americano viene invocato solo quando fa
comodo.
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