25 settembre 2006 – Il 20 settembre Nicholas Maounis,
fondatore dell'hedge fund Amaranth Advisors LLC, ha riferito agli
investitori che il 65% dei capitali del fondo - ovvero 6 miliardi di dollari su
9 - sono andati in fumo in meno di tre settimane come conseguenza di scommesse
sbagliate sui futures del gas.
Maounis ha però cercato di rassicurare i clienti spiegando che tutti i derivati
sul gas del fondo sono stati rilevati da “terzi”. Si trattava, ha spiegato, di
un passo necessario “per evitare la sospensione delle nostre linee di credito,
con il rischio di liquidazione da parte dei nostri creditori”. I mezzi
d'informazione hanno poi reso noto che i “terzi” sono la J.P. Morgan, uno
dei principali brokers di Amaranth, e l'hedge fund Citadel Investment Group.
E' stato inoltre riferito che anche Citigroup era in trattative per un
intervento di salvataggio di Amaranth.
L'unico precedente è quello della Long Term Capital Management (LTCM – vedi
qui), finita nell'insolvenza nel 1998, che costò alle grandi banche un
pacchetto di salvataggio di 3,75 miliardi di dollari. Oggi però, nel caso della
Amaranth, gli addetti hanno ritenuto opportuno evitare i riflettori, tanto che
la stampa ha dedicato poco spazio al nuovo mega crac. Si è almeno saputo che è
in programma per il 27 settembre l'incontro dei principali dirigenti delle 16
principali banche presso la sede di New York della Federal Reserve, per fare il
punto su Amaranth.
Regolamentazione degli hedge funds
Rispondendo ad una domanda sul crollo di Amaranth, il ministro delle
Finanze tedesco Peer Steinbrueck ha reso noto il 21 settembre che la
Germania solleverà il problema della regolamentazione degli hedge funds in seno
al G7, di cui assumerà l'anno prossimo la presidenza. Secondo Steinbrueck, il
segretario al Tesoro USA Henry Paulson sarebbe favorevole ad una maggiore
“trasparenza” del settore e l'ente di vigilanza finanziaria SEC si ripropone di
investigare i rapporti tra gli hedge funds e le grandi banche.
Contemporaneamente però Jochen Sanio, il presidente della BaFin,
l'ente si sorveglianza finanziaria in Germania, che recentemente aveva
caratterizzato gli hedge funds come “buchi neri” chiedendo una seria
regolamentazione mondiale del settore degli hedge funds, è stato bersagliato da
una serie di attacchi:
Primo, uno scandalo alla BaFin per corruzione. Un addetto al settore informatico
ha ammesso di aver sottratto all'ente milioni di euro nel giro di alcuni anni.
Mentre la magistratura indaga, il truffatore è diventato il beniamino della
stampa alla quale ha raccontato che Sanio non è stato capace di stabilire un
controllo interno adeguato, rendendogli così “troppo facile” la sottrazione del
denaro dell'ente. Secondo, la rappresentanza dei dipendenti BaFin si è schierata
contro Sanio per contestare il suo piano di ristrutturazione dell'ente.
Sul tema connesso dei private equity funds, la rivista Der Spiegel ha
pubblicato un'intervista al prof. Uwe H. Schneider che espone con
ricchezza di particolari i metodi distruttivi a cui ricorrono i private equity
funds stranieri per smantellare e distruggere il mittelstand tedesco, la piccola
e media industria. Questi fondi avrebbero acquistato fino ad ora 5000 imprese
tedesche, con un totale di 800 mila dipendenti. Schneider ha concluso: “Il
Mittelstand è la spina dorsale dell'economia. Essa è sistematicamente minata da
un certo gruppo di private equities. Così distruggiamo il nostro futuro”.
Lo scoppio della bolla immobiliare fa da
detonatore
Lo scorso aprile Lyndon LaRouche previde che a partire da settembre si
sarebbero verificate nuove scosse del sistema finanziario globale.
Nel confermare questa tesi, qualche esperto europeo del settore aggiunge che lo
scoppio della bolla del settore abitativo fungerà da detonatore di una reazione
a catena nei settori dei derivati, del credito e delle borse. Nonostante le
dimensioni del crollo di Amaranth, questo finirà per essere una bazzecola
rispetto a ciò che un crollo del settore abitativo può mettere in moto. Il
rischio non viene valutato seriamente, anche perché non si tratta di prevedere
se i prezzi della casa andranno su o giù, ma che fine farà la piramide di titoli
finanziari creati sul mercato della casa: il volume impressionante dei mutui, il
mercato ipotecario secondario delle MBS, titoli emessi sulla garanzia dei mutui,
e ancora tutto il proliferare dei derivati emessi su questo mercato.
Negli ultimi due anni, con l'aumentare dei tassi d'interesse, per tenere in
piedi la bolla sono stati inventati mutui sempre più esotici e rischiosi. Dopo i
mutui a tasso variabile di diverso tipo sono stati inventati persino i mutui “no
docs”, nei quali il mutuatario non è tenuto a presentare una documentazione su
reddito e stato patrimoniale.
Di conseguenza vi sono dei buoni motivi per temere che l'amministrazione Bush e
la Federal Reserve facciano tutta una manovra, soprattutto massmediale, volta a
ridurre i prezzi del petrolio e di altre materie prime e arrivare così a
dichiarare “l'inflazione è sotto controllo”. Questo appare ora indispensabile
per tornare ad abbassare i tassi d'interesse ed evitare il peggio – si sa, solo
per qualche mese.
Gilchrist Berg, fondatore dell'hedge fund Water Street Capital, ha
scritto ai suoi investitori di prevedere che la gigantesca finanziaria
semi-pubblica nel settore mutui Fannie Mae perderà il 50% del capitale
come conseguenza del crac abitativo. “Non ci pare che quelli che stanno alla
regia si rendano perfettamente conto dei rischi insiti nel declino dei prezzi
della casa”, ha spiegato Berg, secondo il quale molti analisti e investitori
sottovalutano l'impatto di un crac della “storica bolla della casa e dei mutui”.
La Fannie Mae è presente nel finanziamento di un quinto di tutti i mutui negli
USA, e negli ultimi anni ha aumentato notevolmente la propria esposizione verso
la clientela “subprime”, che ha un merito creditizio meno elevato. Nel 2005 la
Fannie Mae, insieme alla finanziaria sorella Freddie Mac, ha acquistato
il 35% dei titoli emessi su mutui “subprime”, Nella prima metà del 2006 questi
acquisti erano già al 25%, pari a 272,8 miliardi. Secondo Berg i subprime in
mano a Fannie Mae potrebbero costituire il 15% del suo portafoglio complessivo.
La finanziaria, dal canto suo, non ha presentato bilanci da oltre due anni
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