Il vero Warren Buffett
Durante i suoi 37 anni come presidente e amministratore delegato della
Berkshire Hathaway, Warren Buffett ha impresso al valore di mercato
dell’azienda un tasso di crescita composto di oltre il 25% annuo.
Non è facile immaginare il risultato di una crescita composta su un periodo
tanto lungo. Proviamo quindi a mettere il record di Buffett in termini più
facili da visualizzare. Alla nascita, il mio bambino era lungo 60 cm. Se
crescesse al ritmo in cui Buffett è riuscito a far crescere il valore della
Berkshire Hathaway, a 37 anni sarebbe più alto dell’Empire State Building!
Quindi, chiunque fosse stato così previdente da investire 10 mila dollari
nella Berkshire Hathaway nel 1965, quando Buffett ne assunse la presidenza,
oggi si troverebbe in mano una quota azionaria di più di 40 milioni di
dollari. Anzi, chiunque avesse investito la stessa somma con Buffett nove
anni prima, all’inizio della sua carriera di gestore di investimenti con la
Buffett Partnership, e poi avesse reinvestito in azioni della Berkshire
Hathaway quando la Partnership venne liquidata, si troverebbe adesso con lo
strabiliante patrimonio di 270 milioni di dollari – o, se preferite, 500
milioni al lordo di spese.
In confronto, 10 mila dollari investiti nel 1965 nella S&P 500, un paniere
di azioni nel quale è rappresentata la maggioranza delle più grandi società
americane, corrisponderebbero oggi a solo 144 mila dollari – un pigmeo di 9
metri, se paragonato al grattacielo di Buffett.
Buffett non ha ottenuto questi risultati facendo lo stock picker (chi compra
azioni sottoquotate). Li ha ottenuti facendo l’amministratore delegato, il
gestore di personale e di capitali.
E la sua non era una dote di natura. Ha dovuto imparare. Nei primi anni ha
fatto una quantità di errori. Ne fa ancora adesso. Però, negli anni ’70 e
’80, ha attraversato una fase di crescita culturale dalla quale è emerso il
suo modello di leadership e di gestione del capitale.
È il modello che ha trasformato il «modus operandi» della Berkshire Hathaway
da quello iniziale di veicolo d’investimenti a quello di società operativa.
È il modello che ha portato Buffett al di sopra degli altri amministratori
delegati. È anche il modello che viene svelato in questo libro.
I mercati finanziari sono una raffinata palestra in cui competere con Warren
Buffett, il quale, con un patrimonio personale di 37 miliardi di dollari, è
attualmente al secondo posto nella classifica degli uomini più ricchi
d’America dopo Bill Gates. Offrono anche migliaia di opportunità di
commettere errori che mediamente faranno arenare i vostri proventi composti
impedendovi di crescere. Buffett aveva, e ha tuttora, l’abilità di
individuare le occasioni. È stato, ed è tuttora, capace di evitare la
maggior parte degli errori decisionali e di trarre insegnamento da quelli
che fa. Mettendo insieme queste capacità ha sviluppato una forma di
leadership che gli consente di esprimere il suo talento in tutta libertà. I
dirigenti della Berkshire Hathaway hanno imparato da lui a investire
capitali con la sua stessa abilità e basandosi sulle sue stesse nozioni.
Warren Buffett è stimolato dalla sfida di comportarsi da padrone
dell’azienda, essendone il responsabile di vertice. Ha incontrato difficoltà
a far sì che anche i dirigenti delle consociate della Berkshire si
comportassero da padroni.
Ha imparato che bisogna lavorare con persone che hanno la mentalità adatta.
Ha capito qual è e come la si riconosce. Ha anche imparato quanto sia
difficile far cambiare comportamento a chi non ne abbia la stoffa. In
particolare ha imparato come attirare in Berkshire la persona giusta e come
scoraggiare gli altri. E ha trovato il modo di assicurarsi la lealtà a lungo
termine di quelli che lavorano per lui, di sollecitarli ad approvare gli
obiettivi che lui stabilisce per la Berkshire Hathaway e a ottenere dai suoi
dirigenti impegni duraturi riguardo ai suoi dettami di leader.
Lo strumento di leadership Buffett l’ha trovato nella sua personalità, nelle
sue convinzioni, nel suo atteggiamento nei confronti di quelli che gli
affidano i loro risparmi, nella sua onestà, nella dignità dei suoi ideali,
nella sua lealtà. E questi sono diventati l’espressione degli ideali della
Berkshire Hathaway. Ma soprattutto ha imparato che la gestione delle risorse
umane trascende nella motivazione personale quando le norme di comportamento
vengono instillate dall’interno, anziché imposte dall’alto; che la
disciplina e la diligenza raggiungono i massimi livelli quando queste regole
sono in assonanza con quella vocina che sussurra dentro ognuno di noi e ci
dice come dobbiamo comportarci.
Buffett ha scoperto che la gestione del personale è fatta di lasciar
correre, e applica la medesima filosofia anche alla gestione del capitale.
Buffett non crede che il mondo in cui opera sia disposto a piegarsi ai suoi
voleri. Lascia vincere soltanto coloro che si preparano per tempo a trarre
profitto dalle occasioni che offre, che però non sono assolutamente
prevedibili.
Buffett vuole ridurre al minimo la soggettività nel campo delle decisioni in
materia di gestione del capitale. Parallelamente, vuole massimizzare
l’oggettività sulla quale lui insiste in modo particolare. Trovandosi di
fronte a un coacervo di informazioni che minacciano di sommergerlo, Buffett
riduce l’universo in cui gestisce capitali alle cose importanti e
conoscibili. Vuole confinare la maggior parte delle sue decisioni operative
a questo ambito, e vuole che tutte le sue decisioni relative alla gestione
di capitali siano illuminate da quella che lui definisce la sua «Sfera di
Competenza».
Spesso questo fa pensare a un comportamento del tutto anticonformista, le
cui conseguenze sul piano emotivo potrebbero alterare il suo processo
decisionale e compromettere la sua razionalità. Quindi, gettando le basi con
il dovuto anticipo, Buffett si assicura che ogni decisione che prende per la
gestione del capitale della Berkshire sia presa da una posizione psicologica
di massima sicurezza.
La costruzione della Sfera di Competenza e la natura di quelle basi saranno
ampiamente illustrate in questo libro. Il risultato finale consente a
Buffett di investire il capitale dove ritiene opportuno, quando ritiene
opportuno, e al ritmo che ritiene opportuno. Lo fa con le occasioni che
ritiene tali e che è in grado di valutare. Così facendo acuisce la sua
cognizione, illumina il suo modo di gestire e trasforma la sua managerialità
nell’arte di agire da padrone.
I criteri di valutazione delle azioni che stanno a cuore alla maggior parte
dei lettori di Warren Buffett sono in questo libro. Ma sono stati inseriti
in uno schema che li rende comprensibili agli addetti ai lavori. In vent’anni
di esperienza come investitore di professione, è stato solo scrivendo questo
libro che ho trovato questo schema. In precedenza, anch’io avevo studiato
l’approccio di Buffett all’investimento nella speranza di trovare il Santo
Graal. Cercavo nel posto sbagliato e sono incappato in una competenza
illusoria.
Soltanto quando mi sono accorto che occorreva un approccio che tenesse conto
dei rapporti funzionali tra il particolare e l’insieme, ho cominciato ad
apprezzare la Sfera di Competenza di Warren Buffett. Adesso che ho
individuato il suo schema sono molto più vicino a Buffett di quanto non lo
sia mai stato quando cercavo soltanto di scimmiottare il suo stile di
investimenti e sono finalmente in grado di mettere in pratica quello che so
di lui in termini di strategia di investimenti azionari. Ho dissolto i miei
dubbi.
L’istituto finanziario per cui lavoro ha scoperto di poter fare le stesse
cose. Nell’adempimento del suo dovere fiduciario di curare la gestione del
danaro altrui, adotta questo schema per ampliare la sua logica e potenziare
il suo processo di investimento. Questo libro estenderà la conoscenza del
medesimo insegnamento a un pubblico più vasto, in particolare ai
responsabili degli interessi dei loro azionisti.
Spiegherà che cosa significa per Warren Buffett risparmiare per conto di
coloro che affidano le loro ricchezze a un gestore e quali sono le sue
teorie in fatto di gestione aziendale.
Il libro farà luce su cosa significa comportarsi da padrone; su come
applicare queste teorie come strumento di una leadership che guida invece di
trascinare, scalciare, spingere e porre limiti; su come attirare
nell’organizzazione le persone giuste; su come assumere persone che non
deludano le aspettative; e su come stabilire norme di comportamento che
favoriscano il diffondersi di questi principi a cascata fino ai livelli
operativi della società.
Fornirà delucidazioni sul ruolo della strategia aziendale e spiegherà come
fa Buffett a impedire che impegni presi in precedenza diventino dei
paraocchi.
Il libro descriverà Warren Buffett non come un semidio infallibile, ma come
un comune mortale che può anche sbagliare. Tuttavia, spiegherà anche ai
manager che non è detto che gli errori siano pietre tombali, ma che anzi
possono essere i punti di partenza per perfezionare il processo decisionale.
Descriverà i risvolti psicologici ed emotivi legati al processo decisionale,
allo scopo di migliorarne la relativa funzione. Servirà anche a
neutralizzare i fattori negativi che compromettono la razionalità del
processo decisionale.
Il libro fornirà anche un insieme di norme che una società per azioni può
adottare per seguire la teoria di Buffett.
Servirà da guida ai dirigenti che vogliono opporsi alle consuetudini attuali
e adottare uno stile di management in linea, anziché in contrasto, con la
realtà. Spiegherà come Buffett attira gli azionisti che pensano da padroni e
allontana quelli che non lo fanno; perché sa come trarre profitto dalla
variabilità dei risultati operativi e come ne sa gestire le conseguenze sul
piano psicologico ed emotivo; come coltiva il rapporto di fiducia che esiste
tra lui e i suoi azionisti e come ne fa tesoro per offrir loro
impareggiabili risultati economici.
Ma soprattutto, sia che si tratti di gestire risorse umane o capitali,
questo libro insegnerà ai manager come si fa a comportarsi da padroni. È una
narrazione, ma è anche un manuale di gestione aziendale di alto livello.
Buffett stesso consiglia alla gente di scegliersi «un manipolo di eroi».
«Non c’è nulla di meglio che scegliersi quelli giusti» dice lui. Ed è sulla
scorta di questo consiglio che vi propongo il vero Warren Buffett. Un
gestore di capitali. Un leader di persone.
Un calderone
Siamo come il riccio che sa un’unica cosa importante. Se le vostre
entrate di liquidità vi costano il 3% l’anno e le investite in aziende che
rendono il 13% l’anno, si può dire che siete in una discreta posizione.
Charlie Munger
Nel 1965, quando Warren Buffett ne ha ufficialmente assunto il comando, la
Berkshire Hathaway operava soltanto nel campo della manifattura tessile e
produceva entrate per circa 600 milioni di dollari.
Oggi le cose sono radicalmente cambiate, con una gamma di attività che vanno
dalle assicurazioni, alla produzione di scarpe, dalla produzione di
simulatori di volo agli aspirapolvere, con tante altre cose in mezzo,
compresi gli investimenti sui mercati azionari. In base al suo valore
contabile di 60 miliardi di dollari, è la seconda azienda americana dopo la
Exxon Mobile: in base alla sua capitalizzazione di 109 miliardi è la 19ma in
America e la 26ma al mondo. Le sue entrate superano i 30 miliardi e la
Berkshire impiega circa 112 mila persone.
È veramente un colosso imprenditoriale. Ed è anche un’azienda che Buffett
dirige da un piccolo e modesto ufficio che ha sede a Omaha, Nebraska, con
l’aiuto di solo «13,8» altre persone.
Se Buffett prosegue al ritmo attuale, entro i prossimi 34 anni, la Berkshire
Hathaway assorbirà l’intera economia degli Stati Uniti. È un dato
interessante, non da ultimo perché, a 72 anni, Buffett dice di aver
intenzione di ritirarsi 10 anni dopo la sua morte. È chiaro che la
Berkshire Hathaway è un «calderone». Com’è fatto?
L’obiettivo che Buffett si era posto da tempo era di aumentare il valore
dell’azienda del 15% annuo, calcolato sul lungo termine. Il fatto che
Buffett asserisce che «il massimo assoluto che, nel complesso, i titolari di
un’azienda possono aspettarsi di ricavarne alla fine – tra questo momento e
il giorno del giudizio – è quello che l’azienda guadagna nel corso degli
anni» significa che sa che può aumentare il valore della Berkshire soltanto
nella misura in cui la liquidità che ne ricavi superi il capitale investito.
Quindi, sono due le cose che deve fare per costruire un calderone.
La prima è possedere e gestire aziende ad alta redditività, cioè quelle che,
in sostanza, producono un reddito superiore a quello occorrente per
conservare le loro rispettive posizioni concorrenziali.
La seconda è trovare le occasioni di reinvestire le loro eccedenze ad alti
tassi di reddito, in modo da tenere in funzione il meccanismo che produce
liquidità. Come dice Buffett:
Quando il reddito del capitale è nella norma, guadagnare di più investendo
di più non è un buon risultato gestionale. Lo si può ottenere anche senza
alzarsi dalla propria sedia a dondolo. Per quadruplicare il proprio reddito
basta quadruplicare il capitale investito in un conto vincolato.
E riconosce che «se il guadagno accantonato… venisse impiegato in modo
improduttivo, la situazione economica della Berkshire subirebbe un
deterioramento molto rapido».
Quindi il centro della sua attività gira intorno a questo dato di fatto. In
teoria, preferirebbe trovare occasioni di reinvestire il capitale eccedente
della Berkshire in aziende esistenti, in modo da possedere aziende con buone
prospettive di crescita, ma, ove ciò non sia possibile, deve trovarne altre
che abbiano le caratteristiche desiderate.
La chiave della capacità di Buffett di miscelare sta nella sua capacità di
raccogliere fondi dalle aziende che generano liquidità e di reinvestirli
altrove. Per quanto Buffett possa essere abile nel reinvestire questi
liquidi nella gestione del capitale, deve per forza accertarsi che il
gettito continui a lungo in futuro, il che è squisitamente una questione di
leadership. Se mai la sua raccolta di fondi dovesse subire un arresto, la
Berkshire Hathaway smetterebbe di essere un calderone. Non aumenterebbe il
proprio valore al tasso annuo del 25%, e neppure del 15%. Rientrerebbe nella
normalità.
La banca di Buffett
Le operazioni della Berkshire Hathaway nel campo assicurativo sono una
componente cruciale del calderone di Buffett. Come pezzo forte di un
meccanismo generatore di liquidità le compagnie di assicurazione sono
l’ideale, in quanto incassano prima di dover sborsare. Inoltre è un’attività
che, essendo molto frammentata, offre ampie opportunità di crescita ai
piccoli operatori.
Se una compagnia di assicurazioni riesce a stabilire il prezzo delle sue
polizze in modo da incassare più di quanto deve sborsare per pagare i danni,
il suo costo del float è nullo. In pratica è come prendere un prestito a
tasso zero. E se riesce a farlo in forma continuativa, il suo accesso a
questo prestito gratuito diventa permanente. Questa è la banca di Buffett.
Nei 33 anni da che è entrato nel campo delle assicurazioni, Buffett ha
aumentato il float della Berkshire a un tasso composto annuale del 25%
circa. Si è messo in condizioni di scegliere se reinvestirlo in campo
assicurativo per produrre un float ancora più alto, oppure in strumenti che
garantiscano un reddito considerevolmente superiore al loro costo. A questo
proposito è importante notare che, contrariamente all’impressione di Munger
riportata più sopra, il costo medio del float della Berkshire nel periodo in
esame, è stato molto vicino allo zero.
È un fatto eccezionale e spiega perché il float della Berkshire sia
l’elemento propulsore del calderone. Però, per non smettere di essere
l’elemento propulsore, deve continuare a essere gratis o almeno a basso
costo. Se i rischi assicurativi di Buffett fossero scarsamente remunerativi,
il float della Berkshire decadrebbe da elemento propulsore a un carico di
alto costo e bassa redditività.
Spesso accade che le compagnie di assicurazione non consentano a Buffett di
reinvestire presso di loro con la prospettiva di ricavare liquidità a basso
prezzo. Ma lui approfitta della variabilità dei risultati delle sue
operazioni in campo assicurativo e gli sta bene investire altrove il gettito
che ne ricava, acquistando sia quote di partecipazione maggioritarie in
altre aziende che azioni di società quotate in Borsa.
Quando opta per la seconda soluzione, Buffett cerca società che generino
anche liquidità e che offrano la possibilità di reinvestire ad alto reddito,
pur dovendo comprare a prezzi che gli garantiscano interessi commisurati
all’investimento.
Per quanto sia più famoso per questa attività – cioè investire in un
portafoglio di azioni molto selezionato, quindi non diversificato, e spesso
di proporzioni colossali –, pur tuttavia propende per acquisizioni dirette.
Spesso questo implica il pagamento di un sovrapprezzo per acquisire il
controllo totale dell’azienda, ma è pur vero che con la proprietà
dell’azienda si acquista la proprietà del suo cash flow (flusso di cassa).
È di fondamentale importanza il fatto che, se Buffett può disporre del cash
flow, lo può raccogliere e, se vuole, può andarlo a seminare altrove. In
realtà, l’unica condizione che pone al management delle aziende che compra è
che gli mandino a Omaha l’eccedenza di liquidità, cioè i fondi che avanzano
dopo aver provveduto al mantenimento e allo sviluppo dell’attività. A parte
questo non hanno altri obblighi. Buffett li lascia persino liberi di
stabilire che cosa intendano per «eccedenza di liquidità».
È ovvio che, per inserire nel patrimonio societario il valore dei suoi
investimenti nelle aziende acquistate direttamente, Buffett deve attribuire
loro un prezzo. Inoltre, per assicurarsi che continuino a produrre un buon
reddito, deve controllare che la loro redditività rimanga stabile per un
lungo periodo dopo l’acquisizione. Data la diversificazione delle attività
che Buffett ha agglomerato all’interno della Berkshire Hathaway, questo è un
compito titanico.
Il ritmo al quale Buffett reinveste i fondi provenienti dalle sue compagnie
di assicurazione e altre consociate può essere frenetico quando i prezzi
sono convenienti e rallentare quando non lo sono. Può investire col
contagocce. Spesso impegna una cascata: a volte, ma non molto
frequentemente, in un unico obiettivo. Negli intervalli può rimanere
inoperoso, starsene seduto sui soldi o su qualche investimento a basso
reddito. Buffett non si preoccupa della variabilità che questo approccio
produce nei risultati operativi della Berkshire, ma può anche darsi che lui
non abbia affatto pianificato i prossimi investimenti dell’eccedenza di
liquidità della Berkshire. Si limita a riconoscere l’equazione prezzo/valore
nelle attività industriali che lui pensa di capire che facciano al caso.
La caratteristica del calderone di Buffett è che, a parte un dividendo del
10% corrisposto agli azionisti nel 1969 (mi dice che probabilmente era
andato in bagno durante il consiglio di amministrazione), finora non ha mai
pagato agli azionisti un centesimo degli utili generati dalla Berkshire,
vuoi sotto forma di dividendi o di riacquisto di azioni. Per contro, ha
gradatamente reinvestito nell’impresa il 100% del capitale della società.»