Come ricorda il Plus24 del Sole 24 Ore del 2 gennaio 2010 a fine 2008
pochi gestori o esperti consigliavano l’investimento in Borsa. Le
condizioni economiche-finanziarie non erano in effetti delle più rosee,
per cui, all’interno di una gestione attiva del portafoglio come quella
tipica del risparmio gestito, le azioni dovevano lasciare il campo a
strumenti più difensivi, come i titoli di Stato e gli investimenti a breve
termine. Si diceva, meglio parcheggiare i risparmi in un conto di
deposito e navigare a vista (che diavolo vuole dire?!), che rischiare di
perdere il 20-30% con l’investimento in azioni. Quante volte durante
l’ultimo anno ho letto o "target="_blank">in tv questa frase … e quante volte ho
pensato che colui che la pronunciava non avesse la minima di quello che
stava dicendo!!!
Certamente, ad un risparmiatore di cultura finanziaria medio-bassa poteva
sembrava un saggio consiglio. Eppure era totalmente sballato, per diversi
motivi. Come si sa, il 2009 in Borsa si chiude con il segno più: ad
esempio, in Usa l’indice S&P 500 ha fatto segnare un +25%, mentre i bond
statunitensi statali a 10 anni hanno perso l’11%, con buona pace dei vari
esperti che avevano previsto esattamente il contrario.
Ancora una volta, sembra che prevedere il segno e l’entità della
variazione di un indice di Borsa, sia un compito assai complicato, anche
con un orizzonte di un solo anno.
Di solito gli “esperti” consigliano di investire in azioni per il lungo
periodo, sicuri che il ritorno delle azioni non possa che essere positivo,
sia in termini nominali o reali: ebbene, il periodo decennale con inizio
il 1999 e termine nel 2008 ha fatto registrare una perdita reale totale
del 32% analizzando lo S&P 500, mentre il periodo decennale appena
terminato ha segnato un bel -29%. Per un’analisi più completa dei
rendimenti di lungo periodo delle azioni e al confronto tra il mercato
azionario in Usa e in Italia rimando alla sezione “Azioni” del mio sito
www.bondreali.it
I lavoratori di circa 55 anni che hanno investito i loro risparmi
pensionistici in azioni nel 1999 o nel 2000, ora hanno 2 possibilità: 1)
decidere di continuare a lavorare ancora qualche anno, rimandando il
pensionamento o 2) accettare una rendita molto più bassa di quella che si
poteva stimare nel 1999 o 2000 ipotizzando tassi di rendimento delle
azioni in linea con la media storica di lungo periodo. Certamente 2
opzioni che non potranno far felice il lavoratore che ha commesso l’errore
di investire in Borsa denaro che non poteva permettersi di perdere e che
in effetti è stato maledettamente sfortunato.
Purtroppo in Borsa, come nella vita, capitano queste cose: c’è chi è
fortunato e chi è meno fortunato ad investire in un pessimo periodo
macroeconomico o storico-sociale. Non c’è strategia, gestore o consulente
finanziario in grado di trasformare un periodo di investimento
“sfortunato” in un periodo favorevole o vicino alle attese di inizio
piano.
Come si dovrebbe sapere oramai, il ritorno delle azioni, sia nel breve che
nel lungo termine è molto difficile da prevedere, come dimostra il
seguente esempio con protagonista due dei maggiori esperti di finanza al
mondo, quali Ibbotson e Sinquefield, autori del libro Stocks, bonds,
bills and inflation aggiornato ogni anno dal 1976, che raccoglie i
rendimenti annuali di questi e altri strumenti dal 1926 e rappresenta il
database finanziario più consultato ed utilizzato dagli operatori del
settore per stimare il costo del capitale e il cosiddetto equity
premium, ossia la differenza positiva tra il ritorno delle azioni e
quello delle obbligazioni statali, come mostrato in un recente paper da
Pablo Fernández della IESE Business School.
Chi meglio di Ibbotson e Sinquefield poteva pensare di prevedere i ritorni
di azioni, bond a lungo e obbligazioni a breve termine? Chi era più
qualificato di coloro che hanno raccolto i dati per stimare il rendimento
ottenuto in passato da questi strumenti?
Ebbene, come riportato da Jeremy Siegel, autore di Stocks for the long
run, nella ricerca intitolata “The shrinking equity premium”, Ibbotson
e Sinquefield nel 1976 hanno stimato i ritorni futuri delle azioni, bond e
Bills (obbligazioni statali di brevissimo periodo) in Usa per i successivi
25 anni e poi nel 1982 hanno rifatto le medesime previsioni per i
successivi 20 anni questi volta, fino al 2001 quindi.
Ora, a distanza di qualche anno, noi disponiamo dei ritorni effettivamente
realizzati dal mercato azionario e dalle obbligazioni e i risultati sono
purtroppo impietosi per Ibbotson e Sinquefield.
Nel 1976 per il periodo 1976-2000 avevano previsto un ritorno reale annuo
composto per le azioni del 6,3%, per i bond a lungo termine statali
dell’1,5% e per i Bills dello 0,4%.
I ritorni effettivi sono invece stati per le azioni pari all’11% (+4,7%),
per i bond del 5,3% (+3,8%) e per i Bills del 2,1% (+1,7%).
L’inflazione prevista era del 6,4%, quella realizzata del 4,8% (-1,6%).
Nel 1982 per il periodo 1982-2001 avevano previsto un ritorno reale annuo
composto per le azioni del 7,6%, per i bond a lungo termine statali
dell’1,8% e per i Bills addirittura un rendimento nullo.
I ritorni effettivi sono invece stati per le azioni pari all’14,6% (+7%),
per i bond del 9,9% (+8,1%) e per i Bills del 2,9% (+2,9%).
L’inflazione prevista era del 12,8% (l’alta inflazione degli anni settanta
ha influito ovviamente), quella realizzata è stata pari al 3,3% (-9,5%)!!
Questi dati si commentano da soli e davvero non saprei cos’altro
aggiungere per mostrare quanto sia difficile fare previsioni in finanza.
Da notare comunque che le previsioni di Ibbotson e Sinquefield erano lo
stato dell’arte delle previsioni e che, date le caratteristiche di
stazionarietà della loro seria, peraltro immutate nel tempo, erano le
migliori che si potevano o possono fare oggi. Ossia, questo è il grado di
incertezza che contraddistingue la finanza e un fondamentale topic come
quello dell’equity premium o dei ritorni che ci si può ragionevolmente
attendere in futuro.
Quando sentirete le previsioni di qualche esperto italiano intervistato
dai giornali o in tv sui ritorni futuri delle azioni o bond, ricordatevi
delle (scarse) capacità predittive di Ibbotson e Sinquefield, quasi
certamente più competenti in campo finanziario dell’intervistato del
momento.
Lo ripeto ancora, non pianificate o investite i vostri risparmi in base ai
ritorni degli strumenti finanziari attesi da voi stessi, dal vostro
consulente o dall’esperto di turno intervistato sui giornali o in tv.
Investire bene il proprio denaro non significa investire facendo
previsioni future su numerosi input, ma investire con cura e competenza in
strumenti o prodotti finanziari efficienti e adatti alle proprie
caratteristiche.
Nicola Zanella si occupa di ricerca finanziaria. Ha fondato il sito
www.bondreali.it.
I suoi interessi di ricerca sono: la teoria dei mercati efficienti, la
finanza comportamentale, l’equity premium e l’equity premium puzzle, la
prevedibilità delle serie azionarie, l’effetto di diversificazione
temporale delle azioni, l’asset allocation e le obbligazioni indicizzate
all’inflazione. Può essere contattato all’indirizzo E-mail: n.zanella (c-h-i-o-c-c-i-o-l-a)
aduc (p-u-n-t-o) it, oppure usando la
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