Ma perché i tagli all’Irpef già introdotti, che nel complesso ammontano
alla non trascurabile cifra di circa 13 miliardi di euro, hanno avuto così
scarsi effetti?
Una prima ragione sta nel fatto che parte della riduzione fiscale è stata
finanziata, come già messo in evidenza da Giannini
e Guerra su questo sito, da aumenti di imposte indirette.
Inoltre, tagli fiscali finanziati non con minore spesa pubblica, ma con un
allargamento del deficit, lasciano temere che nel prossimo futuro le tasse
aumenteranno per compensare il buco nel bilancio, e ciò non predispone al
consumo. Un altro motivo molto importante sta nel cattivo andamento generale
dell’economia, che si riflette in una scarsa crescita dei redditi, e spesso
anche in una maggiore insicurezza sul proprio posto di lavoro. In queste
condizioni, è naturale un atteggiamento prudente da parte dei consumatori. Ma
c’è un’altra ragione dietro ai così scarsi effetti reali degli sgravi
fiscali, ed è costituita dal fiscal drag: ogniqualvolta si verifica un
aumento del reddito, sia esso attribuibile a fattori reali o semplicemente al
recupero del potere di acquisto ridotto dall’inflazione, la somma da pagare
per una imposta progressiva come l’Irpef cresce più che proporzionalmente
rispetto al reddito, determinando quindi sempre un aumento reale del peso
dell’imposta.
Facciamo un semplice esempio. Nel 2002, prima della riforma fiscale del Governo,
un lavoratore dipendente con un figlio a carico e con un reddito lordo di 25mila
euro, pagava 5.185 di Irpef (aliquota media del 20,7 per cento). Applicando
invece la legislazione 2005 ai 25mila euro, l’imposta è pari a 4.708 euro (il
18,8 per cento del reddito), con una riduzione di quasi 500 euro. Sembra quindi
che i due moduli abbiano diminuito significativamente l’imposta. Bisogna però
considerare che, se nel 2002 avevo 25mila euro, oggi il reddito è assai
probabilmente più alto, anche per il solo effetto dell’agganciamento al costo
della vita. Supponiamo che sia aumentato del 2,5 per cento all’anno negli
ultimi tre anni, più o meno come i prezzi. Oggi avrei un imponibile di 26.922
euro, e ne pagherei 5.294, cioè il 19,7 per cento. Sembra quindi che per chi
aveva 25mila euro nel 2002, i due moduli abbiano garantito un risparmio del 2
per cento dell’imponibile, mentre in realtà la vera riduzione è l’1 per
cento del reddito.
L’intensità del fiscal drag non è uguale per tutti i contribuenti. Dipende
dall’andamento dell’aliquota media della struttura dell’imposta.
Nel caso italiano è possibile verificare che la variazione dell’aliquota
media, per un dato incremento percentuale del reddito imponibile, decresce al
crescere del reddito (a esclusione di una fascia di reddito imponibile tra 26 e
29mila euro e fino a 100mila euro). Il fiscal drag attribuibile all’inflazione
danneggia di più i redditieri più poveri.
L’impatto sulle famiglie
Un calcolo della rilevanza del fiscal drag si può effettuare sia a livello
di singoli contribuenti, che di famiglie. Di seguito presentiamo una figura che
sintetizza l’impatto del fiscal drag sulle recenti riforme dell’Irpef per
tutte le famiglie italiane. Questa figura, costruita usando un modello di
microsimulazione basato su un campione rappresentativo di famiglie, rappresenta,
per decili di redditi familiare equivalente, le variazioni dell’aliquota media
prodotte dai due moduli di riforma dell’Irpef. (1)
La linea tratteggiata più in basso rappresenta la variazione
dell’aliquota media nell’ipotesi che i redditi nominali tra il 2002 e il
2005 non si siano modificati (variazione normativa). È appunto lo sgravio medio
di circa 2 punti percentuali di cui normalmente si parla. Tale sgravio è assai
contenuto per il 10 per cento più povero, le famiglie incapienti, cresce fino
al quarto decile, e poi si riduce all’aumentare del reddito familiare. Le due
linee nel versante positivo rappresentano invece l’effetto del fiscal drag
attribuibile alla variazione reale del reddito (fiscal drag reale) e la parte
attribuibile all’aumento del reddito pari al tasso di inflazione (fiscal drag
nominale). L’aumento dell’aliquota media prodotto dal fiscal drag
attribuibile all’inflazione è abbastanza significativo, pari in media all’1
per cento, ed è più forte sui redditi bassi, dal momento che risulta
decrescente a partire dal terzo decile.
La curva negativa nera continua (variazione effettiva) è la somma algebrica
della variazione normativa e del fiscal drag nominale e rappresenta lo sgravio
effettivo goduto dalle famiglie italiane, assai inferiore a quello mostrato
dalla curva tratteggiata.
In conclusione, il fiscal drag si è mangiato circa metà dello sgravio Irpef
concesso in questi ultimi tre anni. Dopo i due moduli, il reddito reale delle
famiglie italiane è aumentato la metà di quanto si potrebbe concludere
osservando solo la struttura formale dell’imposta a redditi nominali
invariati. Si potrebbe mostrare che, rispetto alla struttura di aliquota media
in vigore nel 2002, quella introdotta con la riforma comporta una lieve intensificazione
dell’effetto del fiscal drag attribuibile all’inflazione. Ciò è dovuto
al fatto che la progressività dell’imposta è nel complesso aumentata,
ma in misura relativamente più forte per i redditi medio-bassi.
(1) Nei nostri precedenti interventi su questo sito a
proposito della riforma Irpef abbiamo mostrato come varia il reddito disponibile
delle famiglie, qui ci concentriamo invece sull’aliquota media dell’imposta.
Come è cambiata l’aliquota media dell’Irpef dopo i due
moduli della riforma
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