|
27/03/2006 Tutto (o quasi) quello che vorreste sapere sulla Tassazione delle Attività Finanziarie (Silvia Giannini, Maria Cecilia Guerra, www.lavoce.info)
TUTTOFRANCOBOLLI per iniziare o continuare una collezione a prezzo favorevole o per regalare una bella collezioncina ad un giovane
TUTTOFRANCOBOLLI
per iniziare o continuare una collezione a prezzo favorevole o per
regalare una bella collezioncina ad un giovane
In questi giorni vi sono state roventi polemiche sul futuro della tassazione
delle attività finanziarie, ma spesso l’informazione è stata parziale o
fuorviante. Proviamo a rispondere alle domande più frequenti e sfatare alcuni
luoghi comuni.
I redditi di capitale sono tassati oggi in Italia? Come?
I redditi di capitale e diversi (interessi, dividendi e plusvalenze)
percepiti da un normale risparmiatore (una persona fisica che non
esercita attività di impresa) sono già oggi tassati nel nostro paese, ma con
aliquote diverse. Sui depositi e conti correnti bancari e postali e sulle
obbligazioni private con scadenza inferiore a diciotto mesi vi è una imposta
sostitutiva dell’Irpef, prelevata alla fonte con l’aliquota del 27 per cento.
Sugli interessi sui titoli del debito pubblico, sui buoni postali e sulle
obbligazioni con scadenza superiore a diciotto mesi, l’aliquota è invece il
12,5 per cento. La stessa aliquota è applicata anche ai dividendi e a tutte
le plusvalenze, purché, nel caso di dividendi e plusvalenze azionarie,
l’azionista non detenga partecipazioni qualificate (in caso contrario una quota,
pari al 40 per cento del loro valore è tassata in Irpef). L’aliquota del 12,5
per cento è applicata al risultato netto di gestione dei fondi comuni e delle
gestioni patrimoniali.
Vi sono buoni motivi per
cambiare la tassazione delle attività finanziarie?
La presenza di due aliquote non
ha alcuna giustificazione razionale, né sotto il profilo dell’equità
(perché chi ha interessi da depositi bancari o postali dovrebbe pagare di più di
chi detiene obbligazioni?), né dal punto di vista dell’efficiente
funzionamento del mercato (la tassazione non dovrebbe interferire sulle
scelte finanziarie degli individui, che dovrebbero essere guidate solo dalla
convenienza economica).
I motivi per unificare il tutto
in un’unica aliquota non sono tanto quelli di recuperare gettito, quanto quelli
di rendere più coerente e razionale il sistema di imposizione diretta dei
redditi.
Quale sarebbe il
livello ottimale per un’aliquota unica sui redditi finanziari?
Non vi è un livello ottimale.
La scelta va fatta tenendo conto del tipo di sistema impositivo che si vuole
adottare. Se si volesse adottare, ad esempio, un’imposizione non sul reddito ma
sul consumo (“imposta sul reddito spesa”), tema spesso dibattuto nella
letteratura economica, i redditi di capitale dovrebbero essere esentati. Nessun
paese si è mosso però finora in questa direzione.
I redditi di capitale sono
spesso tassati con regimi proporzionali, fuori dal regime progressivo che grava
sui redditi di lavoro. Mediamente quindi sono meno tassati rispetto ai
redditi di lavoro.
La scelta di una aliquota
intermedia, fra le due attualmente esistenti (12,5% e 27%) è motivata dalla
volontà di ridurre la distanza fra il prelievo sui redditi finanziari, da un
lato, e quello sui redditi di lavoro (tassati con le aliquote Irpef dal 23 al 43
per cento) e delle società di capitali (tassati con l’Ires al 33 per cento e l’Irap
al 4,25 per cento), dall’altro.
Come è la tassazione negli
altri paesi europei?
Per quanto riguarda gli
interessi il modello di tassazione prevalente nella Unione Europea non è più
l’imposizione ordinaria (imposta personale e progressiva sul reddito), ma un
insieme variegato di regimi sostitutivi e separati. Nell’Europa a 25, gli
interessi rimangono assoggettati al regime ordinario di tassazione solo nel
Regno Unito e Slovenia e, per opzione del contribuente, in Belgio, Francia e, in
parte, in Germania.
I regimi di tassazione separata
o sostitutiva prevedono generalmente una sola aliquota di tassazione
(anche se in molti paesi, soprattutto fra i nuovi entranti, sono previste
esenzioni per varie tipologie di interessi) il cui livello varia fra il 10 e il
35 per cento, ma è generalmente non inferiore al 15-20 per cento (ad esempio, 27
per cento in Francia, 31,65 per cento in Germania al di sopra di una soglia
esente, dal 20 al 40 per cento nel Regno Unito, 28 per cento in Finlandia).
Nei paesi nordici, che
applicano sistemi cosiddetti di dual income tax, l’aliquota sui redditi
di capitale coincide con l’aliquota base dell’imposta personale progressiva sul
reddito.
Fissare una aliquota
superiore al 12,5 per cento può provocare una fuga di capitali?
L’enfasi posta su questa eventualità va sicuramente ridimensionata.
In primo luogo, perché l’aggravio medio per il
contribuente sarebbe limitato, in quanto l’aliquota sui depositi bancari e
postali si riduce corrispondentemente.
In secondo luogo, perché anche se si investe all’estero, occorre pagare le
imposte in Italia, con le stesse aliquote applicate ai redditi di capitale
interni. Se non lo si fa, è perché si evade. Ma vi sono strumenti crescenti di
controllo e contrasto di questo tipo di evasione. Vi è un sistema di
monitoraggio interno sui movimenti di capitale da e per l’estero. Dal luglio
2005 è poi in vigore una direttiva europea che prevede lo scambio di
informazioni automatico fra paesi sul pagamento di interessi a contribuenti
europei. I paesi che non vi hanno aderito, applicano una ritenuta alla fonte del
15 per cento, che aumenterà progressivamente fino al 35 per cento, con
retrocessione del 75 per cento del gettito al paese di residenza del percettore.
Anche importanti paesi, non appartenenti alla Unione, hanno aderito all’accordo
e operano una ritenuta alla fonte ai livelli indicati (per esempio, Svizzera e
Liechtenstein), o concorrono allo scambio di informazioni (come Monaco e San
Marino). Certo, sfuggendo al monitoraggio e cioè utilizzando canali illegali, si
può sempre andare alle Cayman o altro paradiso fiscale in cui la direttiva non
si applica ma ci si va già adesso e, semmai, non solo per risparmiare il 12,5
per cento di imposta.
Se si aumentasse l’aliquota
sugli interessi dei titoli pubblici non si correrebbe il rischio di un aumento
dei rendimenti lordi che lo Stato deve garantire ai sottoscrittori, con il
risultato che il Governo pagherebbe con la mano sinistra quello che ha raccolto
con la mano destra?
I titoli del debito pubblico sono per lo più detenuti da soggetti esteri (55 per
cento) e per il 20 per cento da banche e imprese. Per questi soggetti l’aumento
dell’aliquota del 12,5 per cento non avrebbe alcun effetto. I risparmiatori
(persone fisiche residenti) per i quali l’aumento dell’aliquota del 12,5 per
cento ha effetto detengono meno del 16 per cento dei titoli pubblici (il
restante 9 per cento è nelle mani dei fondi comuni). Difficilmente la loro
domanda sarà in grado di influenzare le condizioni di offerta, e ciò a maggior
ragione a seguito del progressivo allineamento dei tassi di interesse lordi fra
paesi, reso possibile dall’adesione del nostro paese all’Unione monetaria
europea. Non si creerebbe una convenienza a modificare la composizione del
portafoglio, perché la nuova aliquota sarebbe applicata ai redditi di tutti i
tipi di attività finanziaria.
È possibile che un’eventuale riforma delle aliquote si applichi in modo
retroattivo?
No. Eventuali nuove aliquote si applicherebbero solo ai nuovi redditi di
capitale. Dunque, l’imposta non sarebbe retroattiva. Anche per quanto riguarda
le plusvalenze, come si è fatto in passato, per evitare la tassazione
retroattiva si calcolano le plusvalenze maturate fino al momento
dell’introduzione della nuova aliquota in modo da assoggettare al nuovo regime
solo quelle maturate dopo tale data.
Che differenza c’è fra tassare anche i redditi futuri di titoli già oggi in
circolazione o limitare la tassazione solo ai redditi derivanti da titoli emessi
dopo una eventuale riforma?
Se si limitasse la nuova aliquota ai soli titoli emessi dopo l’entrata in vigore
della riforma si creerebbero differenze di trattamento tra titoli di vecchia e
di nuova emissione, facendo un bel regalo in conto capitale (e cioè nella
valutazione dei titoli) a chi ha titoli più vecchi, come è puntualmente avvenuto
nel 1986, al momento dell’introduzione della tassazione sui titoli pubblici.
Alla differenza attuale per durata del titolo, se ne sostituirebbe un’altra per
data di emissione. Inoltre questo periodo di transizione si protrarrebbe per
circa un trentennio, creando segmentazioni sui mercati secondari.
Diventerebbe più complessa anche la tassazione dei fondi comuni, tassati sul
risultato di gestione. Per motivi di equità e di efficiente funzionamento dei
mercati è dunque decisamente preferibile estendere la riforma anche ai titoli
già in circolazione.
Aumentare la tassazione sui titoli pubblici significherebbe colpire i piccoli
risparmiatori?
I titoli pubblici sono una componente minoritaria del risparmio delle famiglie;
rappresentano secondo l’ultimo bollettino economico della Banca d’Italia solo
il 5,6 per cento delle attività finanziarie detenute dalle famiglie. Per
affrontare il problema dell’equità della riforma proposta occorre considerare
l’insieme di queste attività.
Quali sono allora gli effetti redistributivi della riforma?
Per rispondere a questa domanda occorre tener presente che la ricchezza
finanziaria è nel nostro paese molto concentrata. Sulla base dei dati ricavabili
dall’ultima inchiesta della Banca d’Italia sui redditi e la ricchezza delle
famiglie italiane, corretti per tener conto delle note sottostime che emergono
in questo tipo di rilevazioni campionarie, si evince che il 10 per cento
delle famiglie più ricche possiede, da solo, il 40 per cento dello stock
di attività finanziarie (con l’esclusione di riserve assicurative e fondi
pensione) dell’insieme delle famiglie, contro il solo 1,2 per cento posseduto
dal 10 per cento delle famiglie più povere. Uniformare le aliquote a un livello
intermedio (ad esempio, il 19-20 per cento) avrebbe quindi sicuramente effetti
redistributivi positivi.
Si può fissare una esenzione per i piccoli risparmi?
Generalmente l’esenzione ai piccoli risparmiatori viene concessa nell’ambito di
una tassazione personale, non di una tassazione sostitutiva, come la nostra,
perché richiede di conoscere i redditi finanziari complessivamente ricevuti dal
singolo risparmiatore. È comunque possibile studiare forme di esenzione,
attraverso meccanismi di opzione per la tassazione ordinaria o di certificazione
dell’imposta pagata da parte degli intermediari.
Quanto sarebbe il gettito che si potrebbe ottenere da una riforma di questo
tipo?
Le stime del gettito atteso vanno prese con molta cautela, in quanto in larga
parte dipendono dalle ipotesi che si fanno circa la rilevanza delle plusvalenze,
che sono però una componente con un andamento molto erratico. Vi è poi
difficoltà a stimare la tassazione dei fondi comuni, i quali stanno ancora
sfruttando, in compensazione, ingenti crediti di imposta maturati in passato, a
seguito delle minusvalenze conseguite sui mercati azionari.
Si parla comunque di una cifra compresa fra i 2,5 e i 4,2 miliardi. Di
questi, meno di 400 milioni arriverebbero dalla tassazione dei titoli pubblici.
Ma se la nuova aliquota fosse applicata in modo uniforme a tutti i redditi di
capitale e diversi, inclusi dividendi e plusvalenze azionarie, non si avrebbe un
fenomeno di doppia imposizione, posto che dividendi e plusvalenze azionarie
possono avere già subito un primo livello di tassazione in capo alla società?
Già oggi vi è doppia imposizione, ma questa aumenterebbe se ci si limitasse ad
aumentare l’aliquota del 12,5 per cento anche sui dividendi e sulle plusvalenze
azionarie. Una volta il problema non si poneva, perché c’erano delle
compensazioni, che riducevano la tassazione complessiva (societaria e personale)
sugli utili di impresa: la dual income tax in capo alla società e il
credito di imposta ai dividendi, in capo al socio. Oggi questi correttivi non ci
sono più. Se si vuole evitare di penalizzare le società che si finanziano con
capitale proprio sul mercato dei capitali, occorrerà una riforma più organica
che coinvolga anche la tassazione del reddito delle società. E’ questo un
aspetto spesso trascurato nel dibattito, che meriterebbe maggiore attenzione
come in questo articolo
Pagine Collegate
Miti e Realtà sulla Tassazione delle Rendite
Tutto sulla Tassazione delle Rendite Finanziarie
Archivio Tassazione Rendite Finanziarie
|
|