La proposta del presidente del Consiglio di abolire l’Ici sulla prima casa
suscita numerosi interrogativi. Per i modi e per i contenuti. Per i primi,
uscire con una proposta del genere a quattro giorni dal voto, senza che questa
fosse stata prima scritta nel programma e senza uno straccio di analisi seria
alle spalle che consenta di valutarne i dettagli, dà una forte impressione di
populismo e di estemporaneità. Per i secondi, la proposta suscita perplessità su
più fronti.
Le perplessità
1) In merito ai rapporti tra governi. Tagliare le imposte degli altri,
lasciando poi a questi di cavarsela da soli, è come minimo indice di cattiva
educazione. Dà adito al sospetto di una volontà punitiva nei confronti di
amministrazioni in larga misura di colore politico diverso, un comportamento a
cui questo Governo non è nuovo.
2) In merito ai criteri di finanziamento alternativi. L’ipotesi che i comuni
si auto-finanzino con la partecipazione alle politiche di accertamento è
risibile. Nessuno sa come questa partecipazione dovrebbe avvenire, con quali
strumenti e costi per gli stessi comuni e con quali risultati. È anche risibile
che l’Ici venga sostituita con la vendita di immobili da parte dei comuni a
riduzione del loro debito (e relativa riduzione in conto interessi); chi voleva
farlo lo ha già fatto. Comunque l’ipotesi della Cdl, scritta nel loro programma,
è che la vendita degli immobili degli enti territoriali serva a finanziare la
riduzione del debito statale, non quello comunale.
3) Dunque, il taglio dell’Ici prima casa potrebbe essere finanziato solo con
un aumento dei trasferimenti erariali ai comuni. Ma questo significherebbe
sostituire trasferimenti ad un tributo proprio. E questo è un male. Per più
ragioni.
4) L’Ici è una buona imposta comunale. Il valore degli immobili dipende in
larga misura dalle politiche che lo stesso comune fa (in termini di
urbanizzazione, trasporti, collegamenti eccetera); dunque, soddisfa un criterio
di beneficio o controprestazione. Chi riceve di più, paga di più. Del resto, e
per questa stessa ragione, la tassazione della ricchezza immobiliare è al cuore
della tassazione locale nella maggior parte del mondo, in modo esclusivo nei
paesi di tradizione anglosassone.
5) L’Ici è un’imposta molto visibile. La scelta dell’aliquota dell’Ici e
delle sue varie declinazioni è la principale scelta tributaria che un sindaco
prende e ci sono robuste evidenze empiriche che suggeriscono che i sindaci siano
puniti o premiati specificamente sulla base del loro comportamento su questo
fronte. Dunque, l’Ici soddisfa bene il principio dell’autonomia e della
responsabilità fiscale.
6) I comuni hanno già ampi spazi per poter ridurre o differenziare le
aliquote Ici, in particolare sulla prima casa. Possono applicare una detrazione
in somma fissa (103,29 euro); possono sottoporla a aliquota ridotta; possono
arrivare ad abolirla del tutto se il debito d’imposta del contribuente è
inferiore alla detrazione. Del resto, questo è esattamente quello che molti
comuni già fanno.
7) L’Ici prima casa con il sistema di detrazione fissa svolge un’utile
funzione redistributiva. In un paese che ossessivamente tassa solo il reddito,
oltretutto fortemente evaso, eluso o eroso da specifiche categorie di
contribuenti e di cespiti, l’Ici ha capacità perequativa. La detrazione in somma
fissa significa che per una casa di 100 metri quadri in via Monte Napoleone un
contribuente milanese paga per la prima casa circa 500 euro l’anno; ne paga meno
di 80 alla Bovisa per una casa delle stesse caratteristiche. Con l’eliminazione
dell’Ici prima casa questi effetti scomparirebbero.
8) Sostituire l’Ici prima casa con trasferimenti significherebbe eliminare
tutti questi vantaggi, privando i comuni di un tributo proprio e mortificando la
loro autonomia, alla faccia del federalismo fiscale. Casomai, si potrebbe fare
l’argomento opposto: ampliare ulteriormente gli spazi di manovra dei comuni
sulla prima o sulle altre case. Chi vuole abolirla lo faccia, e ne paghi i costi
di fronte ai propri elettori.
9) Se c’è un problema serio con l’Ici è dovuto alla scarsa affidabilità del
catasto, che spesso attribuisce valori fuori mercato alle abitazioni con
discriminazioni anche incomprensibili. Ma qui la soluzione è la revisione degli
estimi e delle categorie catastali, una revisione in larga misura già fatta ma
mai applicata per la negligenza dello stesso Governo.
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