I contributi previdenziali relativi a
lavoratori stranieri ammontano per il 2007 a
quasi 7 miliardi, circa il 4 per cento del
totale. Ai quali si aggiungono oltre 3
miliardi tra Irpef, Iva, imposte per il lavoro
autonomo e sui fabbricati. Un apporto sempre
più rilevante, dunque. Ma per una seria
analisi sui costi e i benefici
dell'immigrazione, servirebbe come in altri
paesi europei una commissione tecnica
indipendente di indagine. Con il compito di
individuare metodologia e indicatori e di
redigere un rapporto periodico.
Troppo spesso, in Italia, il dibattito
su un tema delicato come l’immigrazione
assume connotati ideologici e
preconcetti, mentre la percezione del
fenomeno tende a sottovalutare gli
aspetti di carattere
economico-finanziario.
L’apporto lavorativo degli immigrati
stranieri in Italia nell’anno 2006 è
stato di oltre 122 miliardi
di euro, pari al 9,2 per cento del Pil
nazionale. (1) Un
contributo di rilievo, quindi,
concentrato prevalentemente nei servizi
alla persona e nell’industria, in
particolare nel settore delle
costruzioni. Notevole anche la presenza
nel settore agricolo. I CONRIBUTI
PREVIDENZIALI
Negli ultimi anni l’apporto dei
lavoratori stranieri regolari è
diventato sempre più importante non solo
sul versante produttivo, ma anche su
quello fiscale, contributivo e dei
consumi.
Partendo dai dati Inps, è possibile
calcolare il gettito contributivo ed è
possibile ottenere una stima realistica
del gettito fiscale. (2)
In questa sede ci si riferisce
all’analisi dell’incidenza economica
delle presenze in condizione di regolare
soggiorno perché, come è ovvio, i
lavoratori irregolari possono produrre
un beneficio per le singole imprese o
famiglie, ma non per l’erario pubblico.
I conti che si propongono sono stati
effettuati sulla base di ipotesi che
vengono di volta in volta esplicitate.
Ne emerge un quadro meritevole di
ulteriori approfondimenti, ma che può
dare un’idea dell’ordine di grandezza
del fenomeno.
Nel 2007 i lavoratori stranieri
iscritti all’Inps risultavano 2.173.545,
dei quali 1.788.561 dipendenti, 270.964
autonomi e 114.020 parasubordinati, pari
al 7 per cento delle forze di lavoro
complessive.
Prendendo in considerazione i
contributi versati a carico del
lavoratore e quelli a carico
dell’impresa e le tre diverse aliquote
contributive, l’ammontare economico
contributivo generato dal lavoro degli
immigrati (fonte: Inps nazionale)
risulta di 6,4 miliardi euro tra i
lavoratori dipendenti (aliquota
contributiva del 30 per cento, suddivisa
tra 9,19 per cento a carico del
lavoratore, pari a quasi 2 miliardi di
euro, e 20,81 per cento a carico dei
datori di lavoro, pari a 4,4 miliardi),
317 milioni di euro per gli autonomi
(aliquota contributiva del 20 per cento)
e 242 milioni per i parasubordinati
(aliquota contributiva del 24 per cento)
per un totale di quasi 7
miliardi di euro, dei quali
oltre 2,5 miliardi provenienti
direttamente dai lavoratori. (3)
Questa cifra rappresenta circa il
4 per cento di tutti i
contributi previdenziali versati in
Italia nel 2007.
IL GETTITO FISCALE
L’Inps ha reso noto i redditi
da lavoro 2006 dei lavoratori
stranieri, qui adeguati al tasso di
inflazione 2007: risultano in media di
11.922 euro pro-capite, inferiori di
circa il 40 per cento al reddito medio
dei lavoratori italiani, soprattutto a
causa dell'alto numero dei contratti
temporanei e a tempo parziale in settori
come quello agricolo e del lavoro di
cura.
Il gettito Irpef dei
lavoratori stranieri ammonta a oltre 1
miliardo e 336 milioni di euro, cui
vanno sommati circa 209 milioni di
addizionali regionali e circa 60 milioni
di addizionali comunali, applicando
un’aliquota media del 6,9 per cento, che
comprende le detrazioni da lavoro
dipendente, per il livello di reddito
indicato e tenendo conto che il 42,4 per
cento dei lavoratori stranieri risulta
privo di carichi famigliari (fonte:
Istat).
Per quanto riguarda i consumi
si può individuare un’aliquota media del
6,15 per cento, relativa al decile più
basso di reddito, pari all’82 per cento
dell’aliquota media del 7,5 per cento.
Si è stimato che il reddito guadagnato
sia interamente consumato, tranne che
per il 10 per cento, destinato a rimesse
verso i paesi d’origine. Si ottiene così
un valore di oltre 1 miliardo di euro di
imposte sui consumi.
Per quanto riguarda il lavoro
autonomo, si fa riferimento
alla normativa che prevede
l’applicazione del “regime sostitutivo
per nuove iniziative”, con una
tassazione dei redditi prodotti nella
misura del 10 per cento a titolo di
imposta sostitutiva, opzionabile per i
primi tre anni di attività. (4)
Ipotizzando un reddito medio annuo di
15mila euro, il gettito a tale titolo
somma a circa 204 milioni di euro.
Partendo dai dati relativi alle unità
immobiliari acquistate
dagli immigrati nel 2007 (fonte: Scenari
Immobiliari) è possibile stimare i
valori relativi a imposte ipotecarie,
catastali e di registro per un valore
totale di oltre 211 milioni di euro.
(5)
Emerge in conclusione un gettito fiscale
di oltre 3 miliardi e 106 milioni di
euro. Èun risultato tuttavia parziale
perché non tiene conto di altre imposte
come Ires, Irap, oli minerali e
lotterie, per le quali il gettito
riconducibile agli immigrati è sì più
ridotto, secondo le stime, ma non
inesistente.
UNA COMMISSIONE DI INDAGINE
L’apporto contributivo e fiscale dei
lavoratori immigrati comincia ad
assumere dimensioni rilevanti, proprio
perché cresce la loro presenza tra gli
occupati nel mercato del lavoro
nazionale.
L’incidenza dell’apporto fiscale appare
meno evidente di quello contributivo
(circa l’1 per cento del gettito Irpef
nazionale), per l’ampiezza della platea
dei contribuenti, che in questo caso
comprende anche i pensionati, e per la
progressività delle aliquote.
Direttamente dalle buste paghe dei
lavoratori immigrati provengono tuttavia
circa 2,5 miliardi di contributi
previdenziali, escludendo quelli a
carico delle imprese, e 3,1 miliardi di
gettito fiscale, per un totale di 5,6
miliardi di euro.
Il basso livello dei redditi, che si
traduce in un minore gettito fiscale,
viene compensato da una struttura di
welfare italiano orientata
prevalentemente (circa all’80 per cento
della spesa) verso le prestazioni
previdenziali e i servizi socio-sanitari
per gli anziani. Di questa struttura,
tuttavia, gli immigrati beneficiano
oggi solo in minima parte, anche perché
la normativa in vigore permette loro il
pensionamento soltanto al compimento dei
sessantacinque anni. E occorre ricordare
che l’età media degli immigrati in
Italia è oggi di 31 anni, mentre quella
degli italiani è di 45. Il loro
contributo alle finanze pubbliche
potrebbe quindi essere più accuratamente
valutato in un contesto di conti
intergenerazionali.
Una analisi dei costi dell’accesso degli
immigrati ai servizi di welfare è
possibile raccordando i dati dei
ministeri con quelli delle regioni e
degli enti locali. Ma è doverosa una
premessa: effettuare il calcolo a costi
standard (che comprendono le
retribuzioni del personale) o a costi
marginali (come incremento della spesa
imputabile a una variazione al margine
degli utenti negli ultimi anni) può
portare a risultati molto diversi.
Se si vuole rendere più concreta e seria
l’analisi sui costi e i benefici
dell’immigrazione, è necessario
istituire, come in altri paesi europei,
una commissione tecnica indipendente di
indagine, con il compito di individuare
metodologia e indicatori e di redigere
un rapporto periodico sulla materia.
* Rappresentante delle Regioni nel
Comitato tecnico nazionale
sull’immigrazione.
(1) La fonte è il
Centro Studi Unioncamere, Istituto
Guglielmo Tagliacarne.
(2) Si utilizzano le
banche dati dei lavoratori e redditi
lordi, anno 2007.
(3) F. Papa e G.
Maddaluna “I giovani stranieri danno
ossigeno ai conti del welfare” Il
Sole 24Ore, 1 settembre 2008.
(4) Articolo 13 della
legge 388/2000.
(5) G.Catania e E.
Pavolini “Il contributo finanziario
degli immigrati: stima del Dossier”,
Caritas-Migrantes: Immigrazione. Dossier
Statistico 2008. Per quanto attiene alle
imposte catastali, ipotecarie e di
registro sono state applicate le
agevolazioni prima casa, attribuendo
alle prime due imposte 168 euro in cifra
fissa, mentre per l’imposta di registro
è stata considerata un’aliquota del 3
per cento.
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