La modifica
della prescrizione introdotta nel 2005 dalla legge nota come "ex-Cirielli"
è in direzione di un accorciamento dei tempi che fanno estinguere la
pretesa punitiva dello Stato. Se l’obiettivo della riforma era quello di
combattere la lunghezza dei processi, fenomeno per il quale
l’Italia è stata più volte condannata dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo, gli effetti pratici andranno però probabilmente nella
direzione opposta. (1) Per spiegare il perché occorre richiamare
brevemente alcune caratteristiche strutturali del nostro processo
penale.
Il patteggiamento come contropartita del processo
accusatorio
In Italia vige un sistema processuale di tipo
accusatorio, paragonabile per alcuni aspetti a quello nordamericano,
in base al quale la prova del reato si forma nel dibattimento,
attraverso l’esame e il controesame dei testimoni. L’adozione di tale
modello processuale, proprio perché impone un dibattimento assai
complesso, impone come contropartita la presenza di "riti
differenziati", che immettono spazi di negozialità: tra questi, il
patteggiamento e il giudizio abbreviato, introdotti in Italia con il
nuovo codice di procedura penale. (2) Sono istituti privi della
fase dibattimentale, e quindi conducono a una pronuncia giudiziale in
tempi molto più rapidi.
In via di principio, il processo accusatorio dovrebbe essere riservato
ai casi più complessi; i riti differenziati, in cui l’accusato accetta
di essere giudicato allo stato degli atti oppure accetta l’applicazione
di una pena la cui misura è concordata con il pubblico ministero,
dovrebbero essere utilizzati invece per i casi strutturalmente più
semplici o con minore difficoltà probatoria.
Nella prassi le cose vanno però diversamente: spesso, infatti, non è la
complessità di un caso a far propendere per il processo accusatorio, ma
è la realtà del sistema penale-processuale, endemicamente a corto
di risorse e caratterizzato da una patologica lunghezza dei processi, a
indurre le parti (principalmente il pubblico ministero) ad aderire al
patteggiamento, quando non a incoraggiarlo offrendo vantaggiosi sconti
di pena.
Se non aleggiasse il rischio della prescrizione dei reati, che come una
idrovora risucchia sia la criminalità minore, che si rinuncia ab
initio a perseguire, sia la criminalità economica, che invece è
sempre più difficile da reprimere, e se vi fossero risorse illimitate
per arrivare in tempi ragionevoli a una sentenza con prove che resistano
a ogni ragionevole dubbio, il processo accusatorio sarebbe preferibile
alla giustizia negoziata. Ciò non solo per il maggiore rispetto delle
garanzie procedurali, ma anche per la "razionalità" della
sanzione: la pena che scaturisce dal patteggiamento o dal giudizio
abbreviato è infatti scarsamente giustificabile rispetto alla finalità
che l’ordinamento le assegna. Essa rappresenta infatti una frazione
modesta della pena originariamente prevista dal legislatore; come tale
non risponde più né al criterio di proporzione, né sembra soddisfare le
esigenze della prevenzione generale (perché intrinsecamente mite) o
della risocializzazione (perché non dosata in ragione dei bisogni di
rieducazione del reo).
Il processo adversary, persa la sua funzione ‘servente’ rispetto
al diritto penale sostanziale, produce ormai lentamente delle
non-sanzioni, come la sospensione condizionale della pena. Oppure
delle non-risposte, come la prescrizione, che spesso interviene prima
che si concludano tutti i gradi di giudizio, vanificando il molto lavoro
già svolto, lasciando di fatto le vittime prive di una tutela reale dei
loro diritti, con evidente diseconomicità complessiva.
Conviene ancora patteggiare la pena?
Sebbene i riti differenziati siano stati introdotti
per rispondere in primis a criteri di efficienza, proprio questo
obiettivo assomiglia sempre di più a una chimera.
Si potrebbe sostenere che il cattivo funzionamento del modello
accusatorio dipenda dal fatto che si ricorre ai riti differenziati in
misura ancora troppo contenuta e che perciò i processi con rito
ordinario sono molti di più di quelli che la macchina giudiziaria riesce
a sostenere.
Nei paesi di common law, da dove abbiamo importato il
patteggiamento, la giustizia negoziata viene utilizzata in quasi il 90
per cento dei casi per i quali viene formulata un’accusa. In Italia le
percentuali sono molto più contenute: i dati forniti da Casellario
giudiziale centrale indicano che solo il 40 per cento delle
condanne viene ottenuta attraverso il patteggiamento. (3)
L’andamento del ricorso al patteggiamento, monitorato da quando è
entrato in vigore il nuovo codice di procedura penale, è visualizzato
nel grafico che segue.
Grafico n. 1: percentuale delle condanne ottenute
in Italia attraverso il patteggiamento tra il 1990 e il 2002.
Fonte: Casellario giudiziale centrale.
Alcuni reati hanno fatto registrare un andamento
differenziato e per certi aspetti "anomalo" quanto al rapporto tra
condanne ottenute con il patteggiamento e con il rito ordinario: si
tratta dei delitti di corruzione e concussione scoperti a seguito delle
inchieste Mani pulite. All’epoca, i soggetti accusati di
corruzione o concussione hanno scelto massicciamente di ricorrere al
patteggiamento (con percentuali intorno all’85 per cento, vicine
dunque a quelle anglosassoni).
Essendo state tuttavia poche (in cifre assolute) le condanne per
corruzione e concussione, il loro numero non ha inciso in modo
apprezzabile sulla tendenza generale del ricorso al patteggiamento.
Cosa ha reso particolarmente allettante il ricorso all’applicazione
della pena su richiesta delle parti per i delitti scoperti con Mani
pulite?
Possiamo ipotizzare che diversi fattori abbiano
spinto in questa direzione. Dal punto di vista della difesa, i
vantaggi del patteggiamento sono riassumibili in:
a) irrogazione di una pena più mite di quella che sarebbe stata inflitta
attraverso il rito ordinario: il patteggiamento ne consente infatti una
riduzione fino a un terzo.
b) ottenimento di una sentenza "non accertativi": la sentenza con cui il
giudice sigla il patteggiamento non ha valore di sentenza di condanna e
quindi non può fare stato in altri procedimenti sia penali che civili.
(4)
c) ricorso a un rito camerale, perciò poco visibile, e quindi tale
da evitare lo strepitus fori.
d) rapida fuoriuscita dell’accusato dal circuito processuale, con
riduzione dell’impegno economico e del danno all’immagine.
Dal punto di vista dell’accusa, i vantaggi
sono stati essenzialmente di tre tipi:
a) semplificazione probatoria.
b) economia della giustizia: la mole enorme di procedimenti avviati a
seguito di Mani pulite imponeva una drastica riduzione attraverso la
rapida definizione di molte posizioni con il patteggiamento.
c) necessità di scongiurare il rischio della prescrizione.
La stessa vantaggiosità non è presente per la
restante massa dei reati. Spesso, infatti, l’autore del reato,
confidando nella lentezza della giustizia penale, può trovare più
attraente l’aspettativa della impunità rispetto a quella della
applicazione di una pena mite ma certa.
Peraltro, la recente riforma legislativa che ha ridotto il tempo
necessario alla prescrizione dei reati, contribuisce a minimizzare il
rischio di condanna qualora si opti per il rito ordinario e, per
converso, alimenta il ricorso a tattiche processuali dilatorie, con
conseguente riduzione della convenienza a ricorrere al patteggiamento.
Con tale riforma, calata in un ordinamento già pesantemente afflitto dal
numero elevato e della lunghezza dei procedimenti, si rischia, da un
lato, di ingolfare ancora di più la macchina giudiziaria, dall’altro
lato, di provocare una perdita di efficacia dell’intero sistema, che
sembra ora essere programmato per produrre "impunità".
(1) Cfr. Dolcini, Le due anime della legge
ex Cirielli, in Il Corriere del Merito, 2006, p. 55 s.
(2) Nel nostro ordinamento, il patteggiamento non nasce
propriamente con il nuovo codice di procedura penale ma ha il suo "ceppo
storico" in un istituto – l’applicazione della pena su richiesta delle
parti ex art. 77 legge 24 novembre 689, n. 1981, ora abrogato –
che si radicava in un modello processuale di tipo inquisitorio. Un
intarsio azzardato, ma evidentemente "fattibile", a scopi deflativi.
(3) I dati riferiti nel testo derivano da una più ampia ricerca,
condotta con Piercamillo Davigo (consigliere presso la Corte di
cassazione), i cui risultati sono in corso di pubblicazione per i tipi
di Laterza.
(4) Il nostro patteggiamento consente cioè di accettare la pena,
senza però accettare la qualifica di colpevole e le implicazioni
sociali, anche in chiave di stigmatizzazione, che seguono
inevitabilmente a essa. Vedi Ferrua, Studi sul processo penale,
vol. II, Giappichelli, 1992, p. 68.
Archivio Giustizia
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