È passato poco
più di un anno dall’ultimo indulto e si torna a discutere
dell’opportunità di tali strumenti per affrontare l’emergenza legata al
sovraffollamento delle carceri, insostenibile sia per le condizioni
psico-fisiche e igieniche dei carcerati che per il conseguente stress del
personale di servizio. Uno studio recente ha analizzato statisticamente i
cambiamenti nel numero e nelle tipologie di crimini successivi all’indulto
del 2006 e agli atti di clemenza degli ultimi quaranta anni. (1)
Due sono i risultati inequivocabili. Dopo l’ultimo provvedimento
le rapine in banca, l’unico dato criminale già disponibile, sono quasi
raddoppiate. Più in generale, a seguito di indulti o amnistie, varie
tipologie di crimine subiscono improvvise impennate.
I dati dell’Abi e dell’Istat
Ma andiamo con ordine. In base ai dati dell’Associazione
bancaria italiana, nel mese successivo all’indulto del 2006, le rapine in
banca che nell’anno precedente avevano segnato una linea decrescente,
sono addirittura raddoppiate per poi attestarsi su livelli leggermente più
bassi, ma pur sempre significativamente più elevati di quelli antecedenti il
provvedimento. Una situazione drammatica se valutata retrospettivamente
perché, a seguito delle quindici tra amnistie e indulti degli ultimi
quaranta anni, la popolazione carceraria si è ridotta periodicamente di una
percentuale che oscilla tra il 20 e il 50 per cento. Migliaia di potenziali
malfattori liberi di tornare a sfidare la legalità.
I dati ISTAT mostrano che a seguito dei vari atti di clemenza susseguitesi
dal 1962 ad oggi i crimini che aumentano più marcatamente a seguito di tali
atti sono le rapine in banca (0.38 all’anno per ogni detenuto liberato), lo
spaccio di stupefacenti (0.61 all’anno per detenuto), le frodi (5 all’anno
per detenuto), i furti di autoveicoli (5 all’anno per detenuto), i borseggi
(42 all’anno per detenuto) e persino gli omicidi (0.02 all’anno per
detenuto). Analizzando le statistiche giudiziarie penali regionali, si
evince che l’aumento dei crimini denunciati alle forze dell’ordine va di
pari passo con l’aumento degli scarcerati, e il fenomeno è tanto più
evidente nelle regioni nelle quali si liberano più detenuti. In passato, ci
sono stati casi in cui le misure di clemenza hanno letteralmente svuotato
le prigioni: è avvenuto nel 1966 in Abruzzo e Molise (-85 per cento) e
nel 1970 in Trentino Alto Adige (-77 per cento). Ed erano anni in cui non
esisteva ancora il problema del sovraffollamento delle carceri che, è giusto
ammetterlo, resta a tutt’oggi il nodo principale da sciogliere.
L’analisi costi-benefici
Tuttavia, per non farsi fuorviare da giudizi (o
pregiudizi) moralistici e facili luoghi comuni, è necessario analizzare a
fondo le conseguenze che indulti e amnistie comportano sul piano
sociale. A giustificazione della misura dell’indulto si adduce quasi sempre
il sovraffollamento delle carceri, mentre i critici del provvedimento
rispondono che sarebbe largamente preferibile costruire nuovi penitenziari.
Ma entrambi gli schieramenti trascurano l’analisi dei costi-benefici.
Quando viene decisa una misura eccezionale come l’indulto o l’amnistia, il
legislatore mette necessariamente in conto un possibile aumento del crimine.
L’importante però è che il costo legato al preventivato aumento del
crimine resti ben al di sotto del beneficio derivante dal provvedimento
di clemenza.
Le cifre che emergono dai dati dell’Istituto di statistica, così come quelle
sulle rapine in banca fornite dall’Associazione bancaria italiana, indicano
che il risultato raggiunto si situa largamente al di sotto delle
aspettative: a fronte di una spesa media per detenuto calcolata intorno ai
70mila euro l’anno (2), la società civile paga un prezzo
stimato di 150mila euro in conseguenza dei crimini commessi in media
dai detenuti che usufruiscono del beneficio di clemenza. E si tratta di una
stima che pecca per difetto, perché non tiene conto di alcune tipologie di
reati per i quali è impossibile stabilire un costo, come lo spaccio di
stupefacenti, i tentativi di omicidio o la categoria residua dell’Istat
"altri crimini".
È dunque assolutamente necessario riequilibrare il rapporto tra costi e
benefici della detenzione.
Una selezione dei detenuti
Le riflessioni suggerite dall’analisi dei dati Istat
lasciano poco spazio alla fantasia, almeno nel breve periodo. Per avvicinare
il rapporto costi-benefici della detenzione, al legislatore non resta molto
altro da fare se non impegnarsi, con più convinzione di quanto non abbia
fatto sinora, affinché eventuali nuove misure di clemenza tengano
assolutamente conto della necessità di selezionare in modo rigoroso i
detenuti da liberare, per escludere i criminali abituali e di professione e
tutti gli appartenenti alla categoria dei recidivi, che invece hanno potuto
approfittare una volta ancora dell’atto di clemenza del 2006 dopo quello del
1990. Sarebbe infatti un bel risultato se si riuscisse a stabilire
preventivamente, in base alla "carriera" criminale del detenuto, chi
rappresenta un costo sociale sufficientemente basso da poter essere liberato
senza grave danno.
Per decidere quali fattori incidono sulla probabilità di recidività del
detenuto sarebbe auspicabile l’utilizzo di modelli econometrici.
Permetterebbero di valutare l’importanza di alcuni fattori, come ad esempio
l’età del detenuto, il sesso, il tipo e il numero di crimini commessi in
passato. Queste informazioni potrebbero poi essere utilizzate dal giudice
come strumento utile per scegliere se concedere o meno il beneficio di
clemenza. Modelli simili vengono già utilizzati in ambito giudiziario negli
Stati Uniti, e tributario in Italia. In fondo, l’unica differenza con i
cosiddetti studi di settore è che, invece di valutare la capacità di
produrre ricavi da parte di un’attività economica, si valuta la probabilità
di un detenuto di commettere determinati crimini.
Prima dell’indulto del luglio 2006 la popolazione carceraria italiana era
pari a 60mila persone. Grazie all’indulto ne sono state liberate
circa 26mila. Ma a giugno 2007, ultimo dato disponibile, si era già tornati
alla capienza regolamentare delle carceri, e cioè 43mila detenuti.
Tra pochissimo, dunque, si riproporrà il problema del sovraffollamento.
Prima di riparlare di atti di clemenza, andrebbero almeno introdotte misure
di selezione più efficienti di quelle adottate finora.
(1) "The Incapacitation Effect of Incarceration:
Evidence From Several Italian Collective Pardons" di Alessandro Barbarino e
Giovanni Mastrobuoni. Disponibile su
www.carloalberto.org
(2) Oltre alle spese di mantenimento, in Italia è la
sorveglianza dei detenuti ad avere un costo elevatissimo, con un rapporto di
uno a uno tra secondini e carcerati.
Archivio Giustizia
|