L’allarme attentati circola già fra gli
uomini delle intelligence di diversi Paesi. E si comincia a scandagliare tra
le frange di estremisti che potrebbero essere all’opera. Così a Napoli,
diventata capitale delle inchieste su Calciopoli, tornano in primo piano i
protagonisti del tifo violento, spesso gemellato con sigle neofasciste e
talvolta contiguo alla camorra: il convitato di pietra (per ora)
nell’indagine della Procura partenopea, non a caso condotta proprio dalla
DDA.
A palazzo di giustizia, non sono pochi a chiederselo: «si è parlato solo di
416, cioè di associazione a delinquere. Ma c’è il forte sospetto che si
debba passare al bis, ovvero all’associazione di stampo mafioso. Per il
semplice motivo che a condurre le indagini sono i magistrati della Direzione
distrettuale antimafia, Filippo Beatrice e Giuseppe Narducci, addirittura
coordinati dal loro capo, Franco Roberti. Possibile mai che l’antimafia
napoletana perda tempo con un’inchiesta che non ha nulla a che vedere con la
mafia?». Ovvero, con il riciclaggio di enormi liquidità di danaro da lavare
più bianco? O bianconero?
Ma procediamo con ordine e cerchiamo di ricostruire le tappe di questa
“attrazione fatale” fra clan e pallone. 2002. Il pm Giovanni Corona della
Procura di Napoli apre un’inchiesta su calcio & camorra. Al centro delle
indagini, i rapporti intercorsi tra clan, ultrà e società Calcio Napoli.
Sotto osservazione le gestioni Ferlaino, Corbelli e la appena nascente era
Naldi. Vi sono stati rapporti di carattere economico con la camorra -
storicamente vicina a ‘o business - con la Napoli calcistica ufficiale e
quella ultrà? Difficile trovare le prove. Il pm Corona chiede alla Voce di
collaborare, fornendo eventuali elementi raccolti durante la preparazione di
articoli sul tifo ultrà. Verbalizziamo. In seguito nulla più si è più saputo
di quella inchiesta. Archiviata? Confluita in altri filoni di indagine?
Riesumata oggi nell’ambito di Calciopoli?
Nel 2004 il crac del Napoli, gestione Naldi, con il filone d’inchiesta del
sostituto procuratore Enzo Piscitelli che è andato avanti per mesi e mesi.
Alla ricerca del filo rosso che - secondo ipotesi investigative - avrebbe
legato tutte le ultime gestioni del Calcio Napoli: una catena di Sant’Antonio
per farla franca, pagar poco o niente di tasse e debiti e tirar dritto.
Rapporti e condizionamenti con altre “realtà ambientali” a parte. Un
fascicolo smisurato, quello raccolto dalla procura partenopea: di cui si
attendono ancora gli esiti. «La camorra ha sempre condizionato la vita del
Napoli calcio - commenta un addetto ai lavori - ma vi ricordate le bombette
sotto casa di Corrado Ferlaino e quella del presidente per poco Marino
Brancaccio? E poi, per ogni nuovo presidente c’è sempre stato il rituale di
un pranzo al “Sarago” di Mergellina per trovare accordi economici con gli
ultrà più scatenati, altrimenti era la guerra».
Un clima non proprio sereno. Non manca chi ricorda - fra alcuni esperti del
mondo pallonaro partenopeo - i primi rapporti del tifo ultrà con Luciano
Moggi, che aveva trovato in lui un ottimo interlocutore. Qualcuno
nell’ambiente ricorda ancora il mitico Lucianone in short e ciabatte da mare
a discettare di massimi sistemi sui metodi “di controllo arbitrale” in un
meeting organizzato all’Hotel Continental di Ischia con il fior fiore dei
magistrati calcistici dell’epoca? Poi venne l’era Maradona. Con un Moggi
pronto a fare il colpo da novanta, per casa Napoli targata Ferlaino. Un
Diego Armando Maradona che - secondo radiocalcio - arrivava da Barcellona
già grande amico della coca. Un vizio, quello del pibe de oro, continuato
negli anni di frequentazione con la Napoli bene. E soprattutto, con la
Napoli dei quartieri. Restano nella memoria le foto-choc dei suoi meeting in
casa Giuliano, nel cuore di Forcella, quella vasca a forma di conchiglia di
hollywoodiana memoria.
Sono cominciati allora - secondo parecchi - i rapporti di Maradona con i
clan. Quelli di Napoli. «Un ragazzo subito diventato campione che non amava
le forme, la gente chic, ma preferiva il popolo, senza guardare tanto per il
sottile». Sono proprio di quegli anni i turbolenti rapporti - sempre tenuti
sottotraccia - con la dirigenza partenopea. Ferlaino. Ma non solo.
Soprattutto Moggi. «Diego non lo sopportava - dice chi gli è stato vicino
per anni - lo odiava in modo viscerale».
Questione di feeling? O di polvere bianca? Secondo altri addetti ai lavori,
Lucianone non avrebbe mai visto di buon occhio le frequentazioni notturne
del campione argentino. Per motivi sportivi, agonistici: le prestazioni
domenicali, si sa, stanno sopra ogni cosa. Ma non solo: all’ex direttore
generale del Napoli erano indigesti i rapporti di Maradona con i clan
partenopei. Per quale arcano motivo? C’era forse qualche altro clan che
sarebbe risultato meno “sgradito”? «Forse quelli casertani - commentano a
palazzo di giustizia - visto che sono prodighi nello sborsare quattrini per
finanziare la scalata a squadre di grosso calibro, come è successo con la
Lazio».
L’ex centravanti Giorgio Chinaglia, infatti, è oggi al centro dell’ennesima
combine pallonara, questa volta a base di milioni di euro riciclati e
lavati… di biancazzurro. Soldi cash, provenienti da un fantomatico gruppo
ungherese, sarebbero infatti serviti per comprare le azioni oggi targate
Lotito (a sua volta inquisito dalla procura partenopea per il patto occulto
con il costruttore romano Mezzaroma) ad un manipolo di imprenditori del
litorale domizio, impegnati solitamente in altri affari spesso e volentieri
al centro di interessi di camorra: rifiuti e fornitura di gas. Ahi, ahi
Giorgione… ci sei ricascato come un pollo (è la seconda volta, infatti, che
Long John cerca di scalare in modo a dir poco disinvolto gli assetti
societari della sua ex squadra). «Le società di calcio - commenta ancora un
addetto ai lavori - sono un eccellente strumento per lavare danari sporchi.
Per alimentare il calcio scommesse. Per favorire una serie di traffici
illeciti che è difficile quantificare». Un pallone, dunque, sempre più
gonfio di soldi puliti & non. C’è chi ricorda lo scandalo partenopeo del
calcio-scommesse targato 1986, sbocciato dalle verbalizzazioni fiume di
Armandino Carbone, che - dopo quello dell’80 con dentro perfino il Pablito
Rossi nazionale - finì per sconvolgere i campionati di serie A e di serie B.
Anche allora, dentro fino il collo, la camorra: in combutta con calciatori,
manager, faccendieri & fauna varia per truccare partite e lucrare i maxi
guadagni delle scommesse clandestine.
Oggi, a distanza di venti anni esatti, lo scenario non sarebbe poi così
diverso. Più miliardario, più affollato, più oliato. Ma la camorra non
farebbe affatto mancare la sua presenza. Non solo su scala locale, ovvero
partenopea, ma anche nazionale. «Qualcuno parla di cupola, altri di sistema,
altri ancora di rete - commenta una toga partenopea - resta il fatto che di
affari a tantissimi zeri sono stati intrecciati nel corso di questi anni tra
vari settori di economia legale e illegale. Alla faccia dei tifosi che ogni
domenica sono andati allo stadio».
TESTE MATTE DA LEGARE
Teste Matte: a Napoli ed oltre il termine indica la tifoseria più
turbolenta, contestatrice, protagonista storica di scontri. come quelli
dello stadio di Avellino, durante i quali perse la vita il giovane Sergio
Ercolano. Provengono dal centro stirico di Napoli, si sono costituite in
gruppo nel 1987 e sono composte da almeno 300 ragazzi di età compresa tra i
20 e 28 anni. Al San Paolo li conoscono come gli accalorati che siedono al
centro della Curva A, tendenzialmente di destra, quasi a voler dominare il
campo. Alla loro sinistra ci sono i Mastiffs, gruppo di 800 ragazzi
provenienti per lo più dalle periferie o dalla provincia. Considerati
l’altra ala violenta del tifo napoletano, i Maastiffs agiscono spesso
insieme alle Teste Matte. Altro gruppo della Curva a è la Masseria Cardone:
poco più di cento fedelissimi. Un tifo più tranquillo e più “anziano”.
Gruppo “anziano” è anche quello dei Vecchi Lions, circa 250 tifosi che
occupano sempre la parte alta della Curva A. Teste Matte e Mastiffs sono
gemellate con le tifoserie di Genoa, Ancona, Palermo, mentre nutrono
acerrime rivalità con Lazio, Verona, Roma e Salernitana. L’area esatta di
provenienza delle Teste Matte sono i quartieri spagnoli. Qui, tra il 1995 e
lo scorso anno, è stato attivo un piccolo clan camorristico con lo stesso
nome, nato da una scissione dal clan Mariano. L’omonimia pare sarebbe
collegata al fatto che alcuni esponenti del clan fossero cresciuto nel
gruppo ultrà delle Teste Matte.
Capo del piccolo gruppo, dedito per lo più a estorsioni e spaccio di
stupefacenti, è stato Antonio Iannone, esponente di primo piano del clan
Mariano, poi passato in proprio con le Teste Matte. Iannone è stato
arrestato dalla polizia insieme a Pasquale Pirozzi e Salvatore Basile, con
l’accusa di estorsione a danno di un imprenditore edile impegnato nei lavori
di ristrutturazione di un immobile del centro di Napoli, che doveva versare
a determinate scadenze 10 milioni di vecchie lire. Con l’arresto di Iannone,
il piccolo gruppo si è praticamente dissolto. Prima di lui erano finiti in
manette altri esponenti importanti del clan, come Anna Terracciano, finita
in manette nel 1996 a san Benedetto del Tronto.
La Terracciano, soprannominata ‘O masculone, era ricercata per duplice
tentato omicidio. Il 2 dicembre del 1995, in sella ad un motorino guidato da
un complice, avrebbe sparato contro due donne ex appartenenti alla banda,
senza riuscire a colpirle. Antonio Menna
ITALIA ULTRA’
Un summit di estremisti del tifo a Branau,
la città di Hitler, in vista dei Mondiali. Vi ha preso parte anche la
neonata sigla Ultras Italia, che da nord a sud della penisola riunisce
fanatici pronti a tutto. (a. c.)
Qualcosa di grosso succede, qualcosa che farà stare tutto il mondo a bocca
aperta». Corre negli ambienti sportivi la voce da qualche mese, con più
forza da alcune settimane. La platea è d’eccezione, il Mondiale, che tutti
paesi vedono, anche se da noi forse c’è meno interesse per via del maxi
scandalo che sta terremotando l’universo pallonaro nostrano. Ma gli echi si
rincorrono, si moltiplicano. Ed è il caso di ascoltarli. Per capire cosa si
sta muovendo in quel Vulcano che si chiama Pallone. Targato Germania.
Parliamo con un esperto di destra eversiva, il giornalista Claudio Celani,
da anni trapiantato in Germania. «La situazione non è di facile e univoca
interpretazione. I naziskin e i loro adepti nei campi di pallone sono da
parecchio in fermento. Da un lato c’è lo scenario conosciuto: i filo-nazisti
odiano gli ebrei, quindi non possono che essere dalla parte del presidente
iraniano, che nega l’olocausto e sogna di vederli espulsi dalla Palestina.
Ma c’è uno scenario molto più inquietante: quello che le frange estremiste
di destra possano venir usate da chi ha interesse che accada qualcosa di
grosso, di eclatante ai Mondiali. Dagli americani, o meglio dai super falchi
di adesso, Cheney piuttosto che Rice».
E, soprattutto, dai soliti addetti ai lavori, ovvero Cia e servizi annessi.
Il quadro, infatti, è a tinte miste. Da un lato alcune frange neonaziste
hanno preannunciato marce pro-Iran, a cominciare dalla partita d’esordio per
la formazione persiana, impegnata il 17 giugno contro il Portogallo. E’ l’NDP,
in particolare, a scendere in campo, ovvero il Nationaldemokratische Partei
Deutschsland, che proprio per il 10 giugno - ovvero all’indomani
dell’inaugurazione mundial - ha proclamato un raduno delle sue truppe & dei
suoi aficionados a Gelsenkirchen. Ma la vera “guerra” è prevista per la gara
Iran-Polonia: a quanto pare, infatti, i nazi più “duri” sono proprio i
polacchi, «considerati dalle autorità di Berlino - come viene scritto in un
dispaccio di agenzia - uno dei pericoli principali, perché saranno
tantissimi e più nazisti dei nazisti tedeschi.
Altri significativi appuntamenti - viene aggiunto - la NPD li ha lanciati
fra il 3 e il 25 giugno in Turingia, all’est, dove raccoglie consensi
significativi». A celebrare il mundial, a preparare il tutto e a scandire
gli appuntamenti-scontro ci sarebbe stato addirittura un summit di nazi,
ultrà e quant’altro nella città natale di Hitler, Branau, in Austria e
proprio ai confini con la Germania. Tra conferme, smentite, e riconferme, la
storia di un meeting a base di croci celtiche, svastiche, divise nere e
promesse in vista dell’appuntamento pallonaro. Alla “convention” - secondo i
bene informati - avrebbero partecipato anche cospicue frange ultrà
provenienti dalla vicina Italia.
EIA EIA, ULTRAS
E’ sotto l’accogliente sigla Ultras Italia che si sono radunate le più
“sfegatate” bandiere del tifo di casa nostra, che spaziano dal Triveneto
fino alla Campania. Il comun denominatore, una incrollabile fede nazi. «C’è
un patto di non belligeranza con i tedeschi - commentano altri tifosi non
proprio d’accordo - ma per gli ultrà neofascisti italiani il vero e proprio
gemellaggio sarà proprio con la Ndp». Tra i fascisti doc - secondo le
ricostruzioni locali - quelli del Triveneto, da Verona (dove ha sede la
Blackbrais che confezioni t-shirt nazi e dove risiede il dirigente della
Fiamma Alessandro Castorina), a Padova e a Trieste (in cui è super attivo il
Gud, primo a dar vita al movimento Ultras Italia). Ad affollare il gruppone
di tifosi organizzati & sciolti, ci sono gli ultrà del centro-sud. A
cominciare da quelli della capitale, tifoserie di Lazio e Roma ancora una
volta gemellate, nel segno di Forza Nuova, il movimento capeggiato dal
pluricondannato (nove anni di galera mai scontata per tentata strage e banda
armata) Roberto Fiore, alleato con la nipotina del duce Alessandra Mussolini
nelle ultime tornate elettorali.
Un movimento, quello di Fiore, che può contare su moltissimi adepti-camerati
anche a Napoli, per via dello stretto legame con uno dei leader della
disoccupazione organizzata, Salvatore Lezzi, lo stesso uomo che ha appena
denunciato infiltrazioni camorristiche alle ultime amministrative
partenopee.
In un’interrogazione parlamentare dello scorso 8 maggio rivolta ai ministri
degli Interni e degli Esteri, il senatore Natale Ripamonti chiede senza peli
sulla lingua di far chiarezza sulle frange del tifo italiano in trasferta
mundial, e vuol sapere quali siano «le misure che il governo intende
prendere per prevenire la violenza e mettere sotto controllo le formazioni
di estrema destra». «Queste ultime formazioni - precisano gli addetti ai
lavori - fanno capo al raggruppamento noto come Fronte Nazionale Europeo,
risultato da un processo di unificazione cominciato in Spagna nel novembre
2002 sotto l’iniziativa congiunta di Blas Pinar, reduce dal franchismo, e
del neofascista italiano Roberto Fiore.
Il FNE raggruppa fra gli altri il Fronte Espanol di Poinar, Forza Nuova di
Fiore, Reunoveau Francais, la NPD tedesca e il NOP polacco». Il fior Fiore
(è il caso di dirlo) del nazi-fasci made in Europe. A capitanare le truppe
ultrà del Sud, a quanto pare, ci saranno proprio i napoletani, Teste Matte
in testa, storica formazione del tifo ultrà di destra, spesso e volentieri
gemellato con i clan di camorra. Ecco cosa scriveva la Voce in un’inchiesta
di dieci anni fa, a proposito degli ultrà dei quartieri spagnoli a Napoli,
rappresentati non solo dalle Teste Matte ma anche dai British Bulldog:
«giovani e giovanissimi dediti al culto della violenza fine a se stessa,
talvolta già cocainomani. Sfruttando il vuoto di potere successivo alla
faida tra clan e sottoclan, a Montecalvario impazza la banda criminale delle
Teste Matte, un ibrido tra le gang giovanili stile Los Angeles e la
tradizionale organizzazione di camorra».
Poco più di tre anni fa, a febbraio 2003, venne arrestato il latitante
Antonio Cavuoto, «affiliato al clan camorrista delle Teste Matte - scrivono
le cronache - accusato di associazione mafiosa, traffico di armi,
stupefacenti e altro». Seconde le ultime da “radiocalcio”, la leadership
delle Teste Matte sarebbe passata dagli storici quartieri spagnoli a
Pianura, dove sarebbe ubicato il loro quartier generale. Ovvero, dal cuore
antico di Napoli verso l’area occidentale, la degradata zona flegrea,
comunque a poca distanza dal mito pallonaro di Napoli, lo stadio San Paolo.
Ma c’è, chi fra gli ultrà del centro, commenta: «non ve ne incaricate, in
Germania ci saremo anche noi del rione Sanità». Per dire, un altro commando
è pronto a partire, dal ventre ancor più “conflittuale” del capoluogo
partenopeo. E tra ultrà di diverse regioni - a quanto pare - è in atto una
vera e propria “sinergia” operativa, che va al di là delle barriere
ideologiche e partitiche di un tempo.
Una volta i super fan di Napoli e Verona, per fare un solo esempio, si
odiavano a morte: a tal punto che sugli spalti del San Paolo arrivò a
campeggiare, in occasione di una partita fra le due squadre, lo striscione
“Giulietta, si na’ zoccola”. Oggi invece le sue tifoserie ultrà non
sarebbero così nemiche come prima, niente più Capuleti e Montecchi. Ma
insieme per sfondare le “porte di Germania”.
L’IRAN DI DIO
Potrebbe esserci una strategia non
dissimile da quella collaudata l’11 settembre dietro la preparazione di
attentati ai Mondiali. Ecco il tam tam crescente dei segnali. Con un Iran a
fare da obiettivo... (a. c.)
Manca solo l’Oriana Fallaci in smagliante forma antislamica a scrivere il
copione, poi gli ingredienti ci sono proprio tutti. Il mondiale pallonaro di
Germania potrebbe rappresentare il secondo atto delle Torri gemelle di quel
tragico 11 settembre. Per la serie, da Monaco a Monaco, dalle Olimpiadi
insanguinate del ’72 ai possibili attentati da 3 mila e passa morti ora. Un
tam tam scandito da messaggi via internet, lavori di intelligence dei
servizi segreti di mezzo mondo, dichiarazioni più o meno criptiche. Il maxi
scenario dei Mondiali di calcio è quello più adatto - in tempi di media
ormai sempre più spinti, pervasivi e facilmente manipolabili - per una
tragedia da portare in miliardi di case, suscitare terrore, raccapriccio,
odio. E, soprattutto, voglia irresistibile di reazione. Di vendetta. Contro
un Islam che uccide. Contro un Iran che va fortemente ridimensionato. Con
un’azione esemplare. Una guerra giusta, punitiva e, soprattutto, in grado di
sottrarre ai folli iraniani quell’arsenale nucleare pronto a distruggere
mezzo mondo e, in particolare, di raggiungere in un battibaleno l’Europa.
Così come era successo per Saddam Hussein, sul punto di disintegrare
l’Occidente con le sue armi di distruzione di massa….
Fantapolitica? Fantaguerra? Potrebbe essere. Ma i “segnali” di allarme sono
tanti. E pesanti. E’ proprio un’agenzia israeliana d’informazione, Ynet, a
fornire i primi scampoli di indiscrezioni. E lo fa andando a spulciare fra
alcune recenti e bollenti carte del Mossad, l’efficientissimo servizio
d’intelligence. «Due portaerei americane e una nave francese sono in rotta
verso l’Oceano Indiano e il golfo Persico», viene sottolineato. Operazione
di routine in quell’area comunque già martoriata? Sembra proprio di no.
Secondo fonti Usa non ufficiali, il falco dell’amministrazione Bush e
stratega dell’operazione-Iraq, Dick Cheney, avrebbe già firmato dei
“contingency plans”, ovvero dei piani dettagliati che prevedono l’invasione
dell’Iran “come ritorsione a qualsiasi attentato”.
A poco valgono le al solito fioche voci delle colombe made in Casa Bianca,
secondo cui «Bush e i suoi profitteranno di tale attacco terroristico per
lanciare un’offensiva che liquiderà la crisi nucleare iraniana e aumenterà
il favore presidenziale nei sondaggi». E dalle colombe arriva il mesto
annuncio che «anche qualora gli atti terroristici fossero organizzati da una
terza parte, sarebbero sempre usati per giustificare l’attacco all’Iran».
Del resto, cosa c’è di meglio di un attacco musulmano nel cuore dell’Europa
per svegliare il vecchio continente dal suo torpore? Per dare una scrollata
ai leader francesi e tedeschi (ora forse anche italiani) che hanno storto il
naso di fronte alla guerra d’invasione a stelle e strisce in Iraq, alla
conquista dei suoi pozzi petroliferi, e non solo?
Una previsione “azzeccata” era stata fornita, un paio d’anni fa, dal
direttore del Congresso Mondiale Ebraico, Israel Singer, il quale, rivolto
ai partner europei, aveva anticipato: «Voi credete che un 11 settembre può
accadere solo negli Stati Uniti, voi credete di non essere bersagli del
terrorismo. La lezione dell’11 settembre è già dimenticata. Ma quando
tremila persone verranno uccise qui in Germania, allora tutte queste vostre
preoccupazioni per i diritti umani scompariranno». Una grande palla (è il
caso di dirlo) stavolta di cristallo e non di vile cuoio, quella nelle mani
di Singer.
A quanto pare, Cia & servizi Usa di ogni tipo sanno già tutto in largo
anticipo. E, comunque, hanno dispiegato sul territorio tedesco una fitta
rete d’intelligence (o finta?, visto il precedente delle Torri gemelle).
Secondo fonti americane, infatti, «i servizi hanno impiantato attrezzature
di sorveglianza in diverse ambasciate arabe e islamiche: e-mail, fax e
telefonate in partenza vengono controllate. Sono state infiltrate, sotto
falsa identità, soprattutto agenti-donna».
Ma quale dovrebbe essere il teatro della tragedia “annunciata”? Berlino. A
fornire qualche ragguaglio in più proprio il Mossad, via agenzia Ynet. «A
compiere l’atto terroristico - secondo il tam tam - saranno gli Hizbullah,
la formazione libanese guidata da Imad Mugniyah, che si ritiene sostenuta da
Siria e Iran e che ha obbligato al ritiro dal Libano meridionale l’esercito
israeliano». Ma il mandante - udite udite - sarà Teheran. Secondo il
rapporto riservato (ma non troppo) del Mossad, «l’attacco terroristico è
mirato a dimostrare che Teheran è capace di rappresaglia se attaccata». Con
un super-nucleare nei suoi arsenali.
Della serie: l’Iran è un pericolo non solo per gli Usa, ma per l’Europa e
per tutto il mondo. Quindi va normalizzato, con adeguata esportazione di
democrazia. Invaso, massacrato e martirizzato. Ok. Ma vogliamo, almeno,
trovare una ragione “storica” all’odio iraniano nei confronti della pacifica
popolazione tedesca, in attesa solo di veder partite, gol e casomai il
trionfo della sua squadra? «Si sa che gli iraniani - scrive Maurizio Blondet
- hanno un doppio motivo per colpire specificamente la Germania. In Iran ci
si tramanda e si alimenta il ricordo e la voglia di vendetta per i sei
milioni di iraniani sterminati dal Terzo Reich. E oggi questa Germania
neutralista, che si sente al riparo dall’Islam, sta avvicinandosi troppo
alla Russia».
Seguono, sempre nel tam tam via internet, alcuni consigli utili per i
“musulmani di Germania” durante il mondiale pallonaro: «sprangarsi in casa
con adeguate scorte di cus-cus e, per i tifosi, guardare le partire in tv».
E ancora: «stare alla larga da Berlino perché è possibile che la bomba sia,
se non nucleare, “sporca” e radioattiva. Probabilmente un ordigno tratto
dall’arsenale di armi di distruzione di massa di Saddam, e mai trovato,
perché riparato in Iran e in Siria». Insomma, spiegazione e giustificazione
perfetta, per una strategia impeccabile, oleata, come successe per le Twin
Towers.
Non basta. Quasi quotidianamente, un ministro israeliano ripete ai media la
solita litania: «L’Iran nucleare non è un pericolo che riguarda solo noi, ma
l’Europa e il mondo intero». Ed è forse per questo che per giorni e giorni,
sulla stampa dei paesi anglo-americani, è comparsa una strana pubblicità a
tutto pagina, commissionata dall’American Jewish Committee. Un’inserzione
dove campeggiava un’immagine della carta geografica mondiale, con un maxi
cerchio a farla da padrone. Puntato sull’Iran, of course. Per dimostrare che
le gittate dei super missili persiani possono raggiungere con facilità,
velocità e capacità letali il cuore dell’Europa. Senza equivoci lo slogan di
accompagnamento: «Può chiunque nel raggio dei missili iraniani sentirsi
sicuro? Supponete che un giorno l’Iran dia a terroristi congegni nucleari.
Può qualcuno, dovunque stia, sentirsi sicuro?».
Sui progetti guerrafondai dell’amministrazione Bush, e in particolare del
suo stratega militare Dick Cheney, ha deciso di scendere allo scoperto un
esperto di destra estrema, Lydon La Rouche. Ecco cosa ha scritto in una nota
del 25 maggio. «Non c’è alcun governo al mondo, compreso quello iraniano,
che abbia alcun interesse nel disturbare i mondiali di calcio in Germania.
Tuttavia, al di fuori dei governi, vi è una quinta colonna nota come
l’Internazionale Sinarchista, la stessa che finanziò i regimi fascisti fra
le due guerre, che ha l’intenzione e le capacità di portare avanti tali
attentati terroristici ai mondiali». Continua La Rouche: «Le misure di
sicurezza previste per i mondiali sarebbero adeguate se le minacce
provenissero soltanto dall’interno, o da forze come quello dietro l’infame
attentato alle Olimpiadi di Monaco nel 1972. Tuttavia, tali misure non sono
adatte ad affrontare operazioni di quinte colonne come quelle contemplate da
Shultz, Rohatyn, Cheney e i loro alleati sinarchisti europei. Nessuna difesa
convenzionale - sottolinea La Rouche - è adeguata a fermare questo tipo di
assalto». E così conclude la sua tragica ma razionale ricostruzione di fatti
e scenari: «Costoro cercano di provocare un nuovo incendio del Reichstag o
un nuovo 11 settembre che giustifichi psicologicamente l’attacco preventivo
contro l’Iran che pianificano da mesi. Esso può essere impedito soltanto
denunciando pubblicamente in anticipo i loro schemi. Ecco perché ho deciso
di parlare».
NEL NOME DI OSAMA
Le Torri Gemelle? Minate dalla Cia. Una vera e propria demolizione
“controllata”, con le celebri twin tower che deflagrano prima dell’impatto
con l’aereo-killer, come dimostrano inequivocabilmente alcuni filmati. Lo
sostiene con forza il comitato di cittadini usa “9/11, Rivelare la verità”,
e da noi lo ribadisce in modo documentato Giulietto Chiesa, animatore del
Cantiere con Achille Occhetto, Marco Travaglio ed Elio Veltri, fra gi altri,
per ridar vita ad una sinistra che oggi appare sempre più comatosa. «Le
torri – sostiene il combattivo comitato – sono crollate per l’esplosione di
cariche piazzate in precedenza. Proprio come succede nelle demolizioni
controllate. E lo testimoniano le inequivocabili espressioni dei pompieri
accorsi sul posto». Non basta, c’è l’enigma dell’edificio numero 7, un
palazzone da 47 piani. «Si affloscia al suolo senza essere stato colpito da
alcun velivolo», commenta Chiesa. Che aggiunge: «prima dell’impatto ci sono
state esplosioni in una delle due torri. Esperti internazionali hanno
analizzato le immagini per concludere che c’’è stata una demolizione
controllata sia delle due torri che dell’edificio 7».
Del resto, sono ancora una volta i solerti israeliani a fornire una puntuale
versione dei fatti. Proprio quell’11 settembre, alcuni impiegati di
un’impresa di messaggeria elettronica ubicata in una torre, la Odigo,
vennero avvisati in anticipo - via sms - di “sloggiare” da quella zona
pericolosa. Non basta. Alcuni dipendenti di una ditta di traslochi, sempre
israeliani, vennero immortalati e quindi fotografati da alcuni poliziotti a
“festeggiare”, una sorta di abbraccio collettivo e di “congratulations” a
poco dal tragico crollo. Interrogati i boys risposero: «non siamo noi il
vostro problema, sono gli arabi il nostro e il vostro problema». Dalle Torri
al Pentagono il passo è breve. E ancor più denso di misteri. Non c’è solo un
filmato che lascia pochissimo spazio ai dubbi, a dimostrare che nessun aereo
si sia mai schiantato contro quell’edificio simbolo del potere militare usa.
Anche foto, e una non difficile ricostruzione grafica - basata sulle
dimensioni del presunto velivolo e dell’effettivo squarcio nell’edificio -
indicano con chiarezza che l’impatto non è mai esistito: se non nella testa
di Cheney & c. Piuttosto, una bomba, collocata ad hoc per mostrare a tutti
“l’effetto che fa”.
Last but non least, la scarsa preparazione per una missione tanto complessa
dei principianti piloti islamici. Peraltro, addestrati proprio nelle scuole
a stelle e strisce. Per non dimenticare, poi, qualche antica, solida e
affettuosa amicizia intrecciata da Bush senior. Testimone d’eccezione
Loredana Bertè, fresca di nozze con il tennista del secolo Bjorn Borg. I due
- racconta alla Voce l’avvocata Carlo Taormina - erano spesso ospiti di
mr.Bush, tennista incallito. Fra gli ospiti consueti alla tavola di famiglia
un ospite allora misterioso. Oggi non più troppo. Si chiamava Osama Bin
Laden.
Andrea Cinquegrani
Fonte:
http://www.lavocedellacampania.it
Link:
http://www.lavocedellacampania.it/detteditoriale.asp?tipo=inchiesta1&id=50
Pagina Mondiali
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