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14/06/2006 Da Calciopoli ai Mondiali - Una bomba!... (Andrea Cinquegrani, http://www.lavocedellacampania.it, visto su www.comedonchisciotte.org)

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    L’allarme attentati circola già fra gli uomini delle intelligence di diversi Paesi. E si comincia a scandagliare tra le frange di estremisti che potrebbero essere all’opera. Così a Napoli, diventata capitale delle inchieste su Calciopoli, tornano in primo piano i protagonisti del tifo violento, spesso gemellato con sigle neofasciste e talvolta contiguo alla camorra: il convitato di pietra (per ora) nell’indagine della Procura partenopea, non a caso condotta proprio dalla DDA.

    A palazzo di giustizia, non sono pochi a chiederselo: «si è parlato solo di 416, cioè di associazione a delinquere. Ma c’è il forte sospetto che si debba passare al bis, ovvero all’associazione di stampo mafioso. Per il semplice motivo che a condurre le indagini sono i magistrati della Direzione distrettuale antimafia, Filippo Beatrice e Giuseppe Narducci, addirittura coordinati dal loro capo, Franco Roberti. Possibile mai che l’antimafia napoletana perda tempo con un’inchiesta che non ha nulla a che vedere con la mafia?». Ovvero, con il riciclaggio di enormi liquidità di danaro da lavare più bianco? O bianconero?

    Ma procediamo con ordine e cerchiamo di ricostruire le tappe di questa “attrazione fatale” fra clan e pallone. 2002. Il pm Giovanni Corona della Procura di Napoli apre un’inchiesta su calcio & camorra. Al centro delle indagini, i rapporti intercorsi tra clan, ultrà e società Calcio Napoli. Sotto osservazione le gestioni Ferlaino, Corbelli e la appena nascente era Naldi. Vi sono stati rapporti di carattere economico con la camorra - storicamente vicina a ‘o business - con la Napoli calcistica ufficiale e quella ultrà? Difficile trovare le prove. Il pm Corona chiede alla Voce di collaborare, fornendo eventuali elementi raccolti durante la preparazione di articoli sul tifo ultrà. Verbalizziamo. In seguito nulla più si è più saputo di quella inchiesta. Archiviata? Confluita in altri filoni di indagine? Riesumata oggi nell’ambito di Calciopoli?

    Nel 2004 il crac del Napoli, gestione Naldi, con il filone d’inchiesta del sostituto procuratore Enzo Piscitelli che è andato avanti per mesi e mesi. Alla ricerca del filo rosso che - secondo ipotesi investigative - avrebbe legato tutte le ultime gestioni del Calcio Napoli: una catena di Sant’Antonio per farla franca, pagar poco o niente di tasse e debiti e tirar dritto. Rapporti e condizionamenti con altre “realtà ambientali” a parte. Un fascicolo smisurato, quello raccolto dalla procura partenopea: di cui si attendono ancora gli esiti. «La camorra ha sempre condizionato la vita del Napoli calcio - commenta un addetto ai lavori - ma vi ricordate le bombette sotto casa di Corrado Ferlaino e quella del presidente per poco Marino Brancaccio? E poi, per ogni nuovo presidente c’è sempre stato il rituale di un pranzo al “Sarago” di Mergellina per trovare accordi economici con gli ultrà più scatenati, altrimenti era la guerra».

    Un clima non proprio sereno. Non manca chi ricorda - fra alcuni esperti del mondo pallonaro partenopeo - i primi rapporti del tifo ultrà con Luciano Moggi, che aveva trovato in lui un ottimo interlocutore. Qualcuno nell’ambiente ricorda ancora il mitico Lucianone in short e ciabatte da mare a discettare di massimi sistemi sui metodi “di controllo arbitrale” in un meeting organizzato all’Hotel Continental di Ischia con il fior fiore dei magistrati calcistici dell’epoca? Poi venne l’era Maradona. Con un Moggi pronto a fare il colpo da novanta, per casa Napoli targata Ferlaino. Un Diego Armando Maradona che - secondo radiocalcio - arrivava da Barcellona già grande amico della coca. Un vizio, quello del pibe de oro, continuato negli anni di frequentazione con la Napoli bene. E soprattutto, con la Napoli dei quartieri. Restano nella memoria le foto-choc dei suoi meeting in casa Giuliano, nel cuore di Forcella, quella vasca a forma di conchiglia di hollywoodiana memoria.

    Sono cominciati allora - secondo parecchi - i rapporti di Maradona con i clan. Quelli di Napoli. «Un ragazzo subito diventato campione che non amava le forme, la gente chic, ma preferiva il popolo, senza guardare tanto per il sottile». Sono proprio di quegli anni i turbolenti rapporti - sempre tenuti sottotraccia - con la dirigenza partenopea. Ferlaino. Ma non solo. Soprattutto Moggi. «Diego non lo sopportava - dice chi gli è stato vicino per anni - lo odiava in modo viscerale».

    Questione di feeling? O di polvere bianca? Secondo altri addetti ai lavori, Lucianone non avrebbe mai visto di buon occhio le frequentazioni notturne del campione argentino. Per motivi sportivi, agonistici: le prestazioni domenicali, si sa, stanno sopra ogni cosa. Ma non solo: all’ex direttore generale del Napoli erano indigesti i rapporti di Maradona con i clan partenopei. Per quale arcano motivo? C’era forse qualche altro clan che sarebbe risultato meno “sgradito”? «Forse quelli casertani - commentano a palazzo di giustizia - visto che sono prodighi nello sborsare quattrini per finanziare la scalata a squadre di grosso calibro, come è successo con la Lazio».

    L’ex centravanti Giorgio Chinaglia, infatti, è oggi al centro dell’ennesima combine pallonara, questa volta a base di milioni di euro riciclati e lavati… di biancazzurro. Soldi cash, provenienti da un fantomatico gruppo ungherese, sarebbero infatti serviti per comprare le azioni oggi targate Lotito (a sua volta inquisito dalla procura partenopea per il patto occulto con il costruttore romano Mezzaroma) ad un manipolo di imprenditori del litorale domizio, impegnati solitamente in altri affari spesso e volentieri al centro di interessi di camorra: rifiuti e fornitura di gas. Ahi, ahi Giorgione… ci sei ricascato come un pollo (è la seconda volta, infatti, che Long John cerca di scalare in modo a dir poco disinvolto gli assetti societari della sua ex squadra). «Le società di calcio - commenta ancora un addetto ai lavori - sono un eccellente strumento per lavare danari sporchi. Per alimentare il calcio scommesse. Per favorire una serie di traffici illeciti che è difficile quantificare». Un pallone, dunque, sempre più gonfio di soldi puliti & non. C’è chi ricorda lo scandalo partenopeo del calcio-scommesse targato 1986, sbocciato dalle verbalizzazioni fiume di Armandino Carbone, che - dopo quello dell’80 con dentro perfino il Pablito Rossi nazionale - finì per sconvolgere i campionati di serie A e di serie B. Anche allora, dentro fino il collo, la camorra: in combutta con calciatori, manager, faccendieri & fauna varia per truccare partite e lucrare i maxi guadagni delle scommesse clandestine.

    Oggi, a distanza di venti anni esatti, lo scenario non sarebbe poi così diverso. Più miliardario, più affollato, più oliato. Ma la camorra non farebbe affatto mancare la sua presenza. Non solo su scala locale, ovvero partenopea, ma anche nazionale. «Qualcuno parla di cupola, altri di sistema, altri ancora di rete - commenta una toga partenopea - resta il fatto che di affari a tantissimi zeri sono stati intrecciati nel corso di questi anni tra vari settori di economia legale e illegale. Alla faccia dei tifosi che ogni domenica sono andati allo stadio».

    TESTE MATTE DA LEGARE

    Teste Matte: a Napoli ed oltre il termine indica la tifoseria più turbolenta, contestatrice, protagonista storica di scontri. come quelli dello stadio di Avellino, durante i quali perse la vita il giovane Sergio Ercolano. Provengono dal centro stirico di Napoli, si sono costituite in gruppo nel 1987 e sono composte da almeno 300 ragazzi di età compresa tra i 20 e 28 anni. Al San Paolo li conoscono come gli accalorati che siedono al centro della Curva A, tendenzialmente di destra, quasi a voler dominare il campo. Alla loro sinistra ci sono i Mastiffs, gruppo di 800 ragazzi provenienti per lo più dalle periferie o dalla provincia. Considerati l’altra ala violenta del tifo napoletano, i Maastiffs agiscono spesso insieme alle Teste Matte. Altro gruppo della Curva a è la Masseria Cardone: poco più di cento fedelissimi. Un tifo più tranquillo e più “anziano”. Gruppo “anziano” è anche quello dei Vecchi Lions, circa 250 tifosi che occupano sempre la parte alta della Curva A. Teste Matte e Mastiffs sono gemellate con le tifoserie di Genoa, Ancona, Palermo, mentre nutrono acerrime rivalità con Lazio, Verona, Roma e Salernitana. L’area esatta di provenienza delle Teste Matte sono i quartieri spagnoli. Qui, tra il 1995 e lo scorso anno, è stato attivo un piccolo clan camorristico con lo stesso nome, nato da una scissione dal clan Mariano. L’omonimia pare sarebbe collegata al fatto che alcuni esponenti del clan fossero cresciuto nel gruppo ultrà delle Teste Matte.

    Capo del piccolo gruppo, dedito per lo più a estorsioni e spaccio di stupefacenti, è stato Antonio Iannone, esponente di primo piano del clan Mariano, poi passato in proprio con le Teste Matte. Iannone è stato arrestato dalla polizia insieme a Pasquale Pirozzi e Salvatore Basile, con l’accusa di estorsione a danno di un imprenditore edile impegnato nei lavori di ristrutturazione di un immobile del centro di Napoli, che doveva versare a determinate scadenze 10 milioni di vecchie lire. Con l’arresto di Iannone, il piccolo gruppo si è praticamente dissolto. Prima di lui erano finiti in manette altri esponenti importanti del clan, come Anna Terracciano, finita in manette nel 1996 a san Benedetto del Tronto.

    La Terracciano, soprannominata ‘O masculone, era ricercata per duplice tentato omicidio. Il 2 dicembre del 1995, in sella ad un motorino guidato da un complice, avrebbe sparato contro due donne ex appartenenti alla banda, senza riuscire a colpirle. Antonio Menna

    ITALIA ULTRA’

    Un summit di estremisti del tifo a Branau, la città di Hitler, in vista dei Mondiali. Vi ha preso parte anche la neonata sigla Ultras Italia, che da nord a sud della penisola riunisce fanatici pronti a tutto. (a. c.)

    Qualcosa di grosso succede, qualcosa che farà stare tutto il mondo a bocca aperta». Corre negli ambienti sportivi la voce da qualche mese, con più forza da alcune settimane. La platea è d’eccezione, il Mondiale, che tutti paesi vedono, anche se da noi forse c’è meno interesse per via del maxi scandalo che sta terremotando l’universo pallonaro nostrano. Ma gli echi si rincorrono, si moltiplicano. Ed è il caso di ascoltarli. Per capire cosa si sta muovendo in quel Vulcano che si chiama Pallone. Targato Germania.

    Parliamo con un esperto di destra eversiva, il giornalista Claudio Celani, da anni trapiantato in Germania. «La situazione non è di facile e univoca interpretazione. I naziskin e i loro adepti nei campi di pallone sono da parecchio in fermento. Da un lato c’è lo scenario conosciuto: i filo-nazisti odiano gli ebrei, quindi non possono che essere dalla parte del presidente iraniano, che nega l’olocausto e sogna di vederli espulsi dalla Palestina. Ma c’è uno scenario molto più inquietante: quello che le frange estremiste di destra possano venir usate da chi ha interesse che accada qualcosa di grosso, di eclatante ai Mondiali. Dagli americani, o meglio dai super falchi di adesso, Cheney piuttosto che Rice».

    E, soprattutto, dai soliti addetti ai lavori, ovvero Cia e servizi annessi. Il quadro, infatti, è a tinte miste. Da un lato alcune frange neonaziste hanno preannunciato marce pro-Iran, a cominciare dalla partita d’esordio per la formazione persiana, impegnata il 17 giugno contro il Portogallo. E’ l’NDP, in particolare, a scendere in campo, ovvero il Nationaldemokratische Partei Deutschsland, che proprio per il 10 giugno - ovvero all’indomani dell’inaugurazione mundial - ha proclamato un raduno delle sue truppe & dei suoi aficionados a Gelsenkirchen. Ma la vera “guerra” è prevista per la gara Iran-Polonia: a quanto pare, infatti, i nazi più “duri” sono proprio i polacchi, «considerati dalle autorità di Berlino - come viene scritto in un dispaccio di agenzia - uno dei pericoli principali, perché saranno tantissimi e più nazisti dei nazisti tedeschi.

    Altri significativi appuntamenti - viene aggiunto - la NPD li ha lanciati fra il 3 e il 25 giugno in Turingia, all’est, dove raccoglie consensi significativi». A celebrare il mundial, a preparare il tutto e a scandire gli appuntamenti-scontro ci sarebbe stato addirittura un summit di nazi, ultrà e quant’altro nella città natale di Hitler, Branau, in Austria e proprio ai confini con la Germania. Tra conferme, smentite, e riconferme, la storia di un meeting a base di croci celtiche, svastiche, divise nere e promesse in vista dell’appuntamento pallonaro. Alla “convention” - secondo i bene informati - avrebbero partecipato anche cospicue frange ultrà provenienti dalla vicina Italia.

    EIA EIA, ULTRAS

    E’ sotto l’accogliente sigla Ultras Italia che si sono radunate le più “sfegatate” bandiere del tifo di casa nostra, che spaziano dal Triveneto fino alla Campania. Il comun denominatore, una incrollabile fede nazi. «C’è un patto di non belligeranza con i tedeschi - commentano altri tifosi non proprio d’accordo - ma per gli ultrà neofascisti italiani il vero e proprio gemellaggio sarà proprio con la Ndp». Tra i fascisti doc - secondo le ricostruzioni locali - quelli del Triveneto, da Verona (dove ha sede la Blackbrais che confezioni t-shirt nazi e dove risiede il dirigente della Fiamma Alessandro Castorina), a Padova e a Trieste (in cui è super attivo il Gud, primo a dar vita al movimento Ultras Italia). Ad affollare il gruppone di tifosi organizzati & sciolti, ci sono gli ultrà del centro-sud. A cominciare da quelli della capitale, tifoserie di Lazio e Roma ancora una volta gemellate, nel segno di Forza Nuova, il movimento capeggiato dal pluricondannato (nove anni di galera mai scontata per tentata strage e banda armata) Roberto Fiore, alleato con la nipotina del duce Alessandra Mussolini nelle ultime tornate elettorali.

    Un movimento, quello di Fiore, che può contare su moltissimi adepti-camerati anche a Napoli, per via dello stretto legame con uno dei leader della disoccupazione organizzata, Salvatore Lezzi, lo stesso uomo che ha appena denunciato infiltrazioni camorristiche alle ultime amministrative partenopee.

    In un’interrogazione parlamentare dello scorso 8 maggio rivolta ai ministri degli Interni e degli Esteri, il senatore Natale Ripamonti chiede senza peli sulla lingua di far chiarezza sulle frange del tifo italiano in trasferta mundial, e vuol sapere quali siano «le misure che il governo intende prendere per prevenire la violenza e mettere sotto controllo le formazioni di estrema destra». «Queste ultime formazioni - precisano gli addetti ai lavori - fanno capo al raggruppamento noto come Fronte Nazionale Europeo, risultato da un processo di unificazione cominciato in Spagna nel novembre 2002 sotto l’iniziativa congiunta di Blas Pinar, reduce dal franchismo, e del neofascista italiano Roberto Fiore.

    Il FNE raggruppa fra gli altri il Fronte Espanol di Poinar, Forza Nuova di Fiore, Reunoveau Francais, la NPD tedesca e il NOP polacco». Il fior Fiore (è il caso di dirlo) del nazi-fasci made in Europe. A capitanare le truppe ultrà del Sud, a quanto pare, ci saranno proprio i napoletani, Teste Matte in testa, storica formazione del tifo ultrà di destra, spesso e volentieri gemellato con i clan di camorra. Ecco cosa scriveva la Voce in un’inchiesta di dieci anni fa, a proposito degli ultrà dei quartieri spagnoli a Napoli, rappresentati non solo dalle Teste Matte ma anche dai British Bulldog: «giovani e giovanissimi dediti al culto della violenza fine a se stessa, talvolta già cocainomani. Sfruttando il vuoto di potere successivo alla faida tra clan e sottoclan, a Montecalvario impazza la banda criminale delle Teste Matte, un ibrido tra le gang giovanili stile Los Angeles e la tradizionale organizzazione di camorra».

    Poco più di tre anni fa, a febbraio 2003, venne arrestato il latitante Antonio Cavuoto, «affiliato al clan camorrista delle Teste Matte - scrivono le cronache - accusato di associazione mafiosa, traffico di armi, stupefacenti e altro». Seconde le ultime da “radiocalcio”, la leadership delle Teste Matte sarebbe passata dagli storici quartieri spagnoli a Pianura, dove sarebbe ubicato il loro quartier generale. Ovvero, dal cuore antico di Napoli verso l’area occidentale, la degradata zona flegrea, comunque a poca distanza dal mito pallonaro di Napoli, lo stadio San Paolo. Ma c’è, chi fra gli ultrà del centro, commenta: «non ve ne incaricate, in Germania ci saremo anche noi del rione Sanità». Per dire, un altro commando è pronto a partire, dal ventre ancor più “conflittuale” del capoluogo partenopeo. E tra ultrà di diverse regioni - a quanto pare - è in atto una vera e propria “sinergia” operativa, che va al di là delle barriere ideologiche e partitiche di un tempo.

    Una volta i super fan di Napoli e Verona, per fare un solo esempio, si odiavano a morte: a tal punto che sugli spalti del San Paolo arrivò a campeggiare, in occasione di una partita fra le due squadre, lo striscione “Giulietta, si na’ zoccola”. Oggi invece le sue tifoserie ultrà non sarebbero così nemiche come prima, niente più Capuleti e Montecchi. Ma insieme per sfondare le “porte di Germania”.

    L’IRAN DI DIO

    Potrebbe esserci una strategia non dissimile da quella collaudata l’11 settembre dietro la preparazione di attentati ai Mondiali. Ecco il tam tam crescente dei segnali. Con un Iran a fare da obiettivo... (a. c.)

    Manca solo l’Oriana Fallaci in smagliante forma antislamica a scrivere il copione, poi gli ingredienti ci sono proprio tutti. Il mondiale pallonaro di Germania potrebbe rappresentare il secondo atto delle Torri gemelle di quel tragico 11 settembre. Per la serie, da Monaco a Monaco, dalle Olimpiadi insanguinate del ’72 ai possibili attentati da 3 mila e passa morti ora. Un tam tam scandito da messaggi via internet, lavori di intelligence dei servizi segreti di mezzo mondo, dichiarazioni più o meno criptiche. Il maxi scenario dei Mondiali di calcio è quello più adatto - in tempi di media ormai sempre più spinti, pervasivi e facilmente manipolabili - per una tragedia da portare in miliardi di case, suscitare terrore, raccapriccio, odio. E, soprattutto, voglia irresistibile di reazione. Di vendetta. Contro un Islam che uccide. Contro un Iran che va fortemente ridimensionato. Con un’azione esemplare. Una guerra giusta, punitiva e, soprattutto, in grado di sottrarre ai folli iraniani quell’arsenale nucleare pronto a distruggere mezzo mondo e, in particolare, di raggiungere in un battibaleno l’Europa. Così come era successo per Saddam Hussein, sul punto di disintegrare l’Occidente con le sue armi di distruzione di massa….

    Fantapolitica? Fantaguerra? Potrebbe essere. Ma i “segnali” di allarme sono tanti. E pesanti. E’ proprio un’agenzia israeliana d’informazione, Ynet, a fornire i primi scampoli di indiscrezioni. E lo fa andando a spulciare fra alcune recenti e bollenti carte del Mossad, l’efficientissimo servizio d’intelligence. «Due portaerei americane e una nave francese sono in rotta verso l’Oceano Indiano e il golfo Persico», viene sottolineato. Operazione di routine in quell’area comunque già martoriata? Sembra proprio di no. Secondo fonti Usa non ufficiali, il falco dell’amministrazione Bush e stratega dell’operazione-Iraq, Dick Cheney, avrebbe già firmato dei “contingency plans”, ovvero dei piani dettagliati che prevedono l’invasione dell’Iran “come ritorsione a qualsiasi attentato”.

    A poco valgono le al solito fioche voci delle colombe made in Casa Bianca, secondo cui «Bush e i suoi profitteranno di tale attacco terroristico per lanciare un’offensiva che liquiderà la crisi nucleare iraniana e aumenterà il favore presidenziale nei sondaggi». E dalle colombe arriva il mesto annuncio che «anche qualora gli atti terroristici fossero organizzati da una terza parte, sarebbero sempre usati per giustificare l’attacco all’Iran». Del resto, cosa c’è di meglio di un attacco musulmano nel cuore dell’Europa per svegliare il vecchio continente dal suo torpore? Per dare una scrollata ai leader francesi e tedeschi (ora forse anche italiani) che hanno storto il naso di fronte alla guerra d’invasione a stelle e strisce in Iraq, alla conquista dei suoi pozzi petroliferi, e non solo?

    Una previsione “azzeccata” era stata fornita, un paio d’anni fa, dal direttore del Congresso Mondiale Ebraico, Israel Singer, il quale, rivolto ai partner europei, aveva anticipato: «Voi credete che un 11 settembre può accadere solo negli Stati Uniti, voi credete di non essere bersagli del terrorismo. La lezione dell’11 settembre è già dimenticata. Ma quando tremila persone verranno uccise qui in Germania, allora tutte queste vostre preoccupazioni per i diritti umani scompariranno». Una grande palla (è il caso di dirlo) stavolta di cristallo e non di vile cuoio, quella nelle mani di Singer.

    A quanto pare, Cia & servizi Usa di ogni tipo sanno già tutto in largo anticipo. E, comunque, hanno dispiegato sul territorio tedesco una fitta rete d’intelligence (o finta?, visto il precedente delle Torri gemelle). Secondo fonti americane, infatti, «i servizi hanno impiantato attrezzature di sorveglianza in diverse ambasciate arabe e islamiche: e-mail, fax e telefonate in partenza vengono controllate. Sono state infiltrate, sotto falsa identità, soprattutto agenti-donna».

    Ma quale dovrebbe essere il teatro della tragedia “annunciata”? Berlino. A fornire qualche ragguaglio in più proprio il Mossad, via agenzia Ynet. «A compiere l’atto terroristico - secondo il tam tam - saranno gli Hizbullah, la formazione libanese guidata da Imad Mugniyah, che si ritiene sostenuta da Siria e Iran e che ha obbligato al ritiro dal Libano meridionale l’esercito israeliano». Ma il mandante - udite udite - sarà Teheran. Secondo il rapporto riservato (ma non troppo) del Mossad, «l’attacco terroristico è mirato a dimostrare che Teheran è capace di rappresaglia se attaccata». Con un super-nucleare nei suoi arsenali.

    Della serie: l’Iran è un pericolo non solo per gli Usa, ma per l’Europa e per tutto il mondo. Quindi va normalizzato, con adeguata esportazione di democrazia. Invaso, massacrato e martirizzato. Ok. Ma vogliamo, almeno, trovare una ragione “storica” all’odio iraniano nei confronti della pacifica popolazione tedesca, in attesa solo di veder partite, gol e casomai il trionfo della sua squadra? «Si sa che gli iraniani - scrive Maurizio Blondet - hanno un doppio motivo per colpire specificamente la Germania. In Iran ci si tramanda e si alimenta il ricordo e la voglia di vendetta per i sei milioni di iraniani sterminati dal Terzo Reich. E oggi questa Germania neutralista, che si sente al riparo dall’Islam, sta avvicinandosi troppo alla Russia».

    Seguono, sempre nel tam tam via internet, alcuni consigli utili per i “musulmani di Germania” durante il mondiale pallonaro: «sprangarsi in casa con adeguate scorte di cus-cus e, per i tifosi, guardare le partire in tv». E ancora: «stare alla larga da Berlino perché è possibile che la bomba sia, se non nucleare, “sporca” e radioattiva. Probabilmente un ordigno tratto dall’arsenale di armi di distruzione di massa di Saddam, e mai trovato, perché riparato in Iran e in Siria». Insomma, spiegazione e giustificazione perfetta, per una strategia impeccabile, oleata, come successe per le Twin Towers.

    Non basta. Quasi quotidianamente, un ministro israeliano ripete ai media la solita litania: «L’Iran nucleare non è un pericolo che riguarda solo noi, ma l’Europa e il mondo intero». Ed è forse per questo che per giorni e giorni, sulla stampa dei paesi anglo-americani, è comparsa una strana pubblicità a tutto pagina, commissionata dall’American Jewish Committee. Un’inserzione dove campeggiava un’immagine della carta geografica mondiale, con un maxi cerchio a farla da padrone. Puntato sull’Iran, of course. Per dimostrare che le gittate dei super missili persiani possono raggiungere con facilità, velocità e capacità letali il cuore dell’Europa. Senza equivoci lo slogan di accompagnamento: «Può chiunque nel raggio dei missili iraniani sentirsi sicuro? Supponete che un giorno l’Iran dia a terroristi congegni nucleari. Può qualcuno, dovunque stia, sentirsi sicuro?».

    Sui progetti guerrafondai dell’amministrazione Bush, e in particolare del suo stratega militare Dick Cheney, ha deciso di scendere allo scoperto un esperto di destra estrema, Lydon La Rouche. Ecco cosa ha scritto in una nota del 25 maggio. «Non c’è alcun governo al mondo, compreso quello iraniano, che abbia alcun interesse nel disturbare i mondiali di calcio in Germania. Tuttavia, al di fuori dei governi, vi è una quinta colonna nota come l’Internazionale Sinarchista, la stessa che finanziò i regimi fascisti fra le due guerre, che ha l’intenzione e le capacità di portare avanti tali attentati terroristici ai mondiali». Continua La Rouche: «Le misure di sicurezza previste per i mondiali sarebbero adeguate se le minacce provenissero soltanto dall’interno, o da forze come quello dietro l’infame attentato alle Olimpiadi di Monaco nel 1972. Tuttavia, tali misure non sono adatte ad affrontare operazioni di quinte colonne come quelle contemplate da Shultz, Rohatyn, Cheney e i loro alleati sinarchisti europei. Nessuna difesa convenzionale - sottolinea La Rouche - è adeguata a fermare questo tipo di assalto». E così conclude la sua tragica ma razionale ricostruzione di fatti e scenari: «Costoro cercano di provocare un nuovo incendio del Reichstag o un nuovo 11 settembre che giustifichi psicologicamente l’attacco preventivo contro l’Iran che pianificano da mesi. Esso può essere impedito soltanto denunciando pubblicamente in anticipo i loro schemi. Ecco perché ho deciso di parlare».

    NEL NOME DI OSAMA

    Le Torri Gemelle? Minate dalla Cia. Una vera e propria demolizione “controllata”, con le celebri twin tower che deflagrano prima dell’impatto con l’aereo-killer, come dimostrano inequivocabilmente alcuni filmati. Lo sostiene con forza il comitato di cittadini usa “9/11, Rivelare la verità”, e da noi lo ribadisce in modo documentato Giulietto Chiesa, animatore del Cantiere con Achille Occhetto, Marco Travaglio ed Elio Veltri, fra gi altri, per ridar vita ad una sinistra che oggi appare sempre più comatosa. «Le torri – sostiene il combattivo comitato – sono crollate per l’esplosione di cariche piazzate in precedenza. Proprio come succede nelle demolizioni controllate. E lo testimoniano le inequivocabili espressioni dei pompieri accorsi sul posto». Non basta, c’è l’enigma dell’edificio numero 7, un palazzone da 47 piani. «Si affloscia al suolo senza essere stato colpito da alcun velivolo», commenta Chiesa. Che aggiunge: «prima dell’impatto ci sono state esplosioni in una delle due torri. Esperti internazionali hanno analizzato le immagini per concludere che c’’è stata una demolizione controllata sia delle due torri che dell’edificio 7».

    Del resto, sono ancora una volta i solerti israeliani a fornire una puntuale versione dei fatti. Proprio quell’11 settembre, alcuni impiegati di un’impresa di messaggeria elettronica ubicata in una torre, la Odigo, vennero avvisati in anticipo - via sms - di “sloggiare” da quella zona pericolosa. Non basta. Alcuni dipendenti di una ditta di traslochi, sempre israeliani, vennero immortalati e quindi fotografati da alcuni poliziotti a “festeggiare”, una sorta di abbraccio collettivo e di “congratulations” a poco dal tragico crollo. Interrogati i boys risposero: «non siamo noi il vostro problema, sono gli arabi il nostro e il vostro problema». Dalle Torri al Pentagono il passo è breve. E ancor più denso di misteri. Non c’è solo un filmato che lascia pochissimo spazio ai dubbi, a dimostrare che nessun aereo si sia mai schiantato contro quell’edificio simbolo del potere militare usa. Anche foto, e una non difficile ricostruzione grafica - basata sulle dimensioni del presunto velivolo e dell’effettivo squarcio nell’edificio - indicano con chiarezza che l’impatto non è mai esistito: se non nella testa di Cheney & c. Piuttosto, una bomba, collocata ad hoc per mostrare a tutti “l’effetto che fa”.

    Last but non least, la scarsa preparazione per una missione tanto complessa dei principianti piloti islamici. Peraltro, addestrati proprio nelle scuole a stelle e strisce. Per non dimenticare, poi, qualche antica, solida e affettuosa amicizia intrecciata da Bush senior. Testimone d’eccezione Loredana Bertè, fresca di nozze con il tennista del secolo Bjorn Borg. I due - racconta alla Voce l’avvocata Carlo Taormina - erano spesso ospiti di mr.Bush, tennista incallito. Fra gli ospiti consueti alla tavola di famiglia un ospite allora misterioso. Oggi non più troppo. Si chiamava Osama Bin Laden.

    Andrea Cinquegrani
    Fonte: http://www.lavocedellacampania.it
    Link: http://www.lavocedellacampania.it/detteditoriale.asp?tipo=inchiesta1&id=50

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