Estratto da un importante serie di articoli scritti dal reporter
Robert Fisk e pubblicati nel The Independent di Londra
DI ROBERT FISK
CANA, LIBANO MERIDIONALE (18 aprile 1996) -- E’ stata una carneficina. Era
dal terribile giorno di Sabra e Chatila che non vedevo così tanti civili
innocenti massacrati. I profughi libanesi (donne, bambini e uomini)
giacciono ammucchiati, senza mani, braccia o gambe, alcuni decapitati, altri
completamente sventrati. Ce n’erano più di un centinaio. Un bambino è
disteso, senza testa. Le bombe israeliane li hanno massacrati mentre erano
nel rifugio delle Nazioni Uniti, convinti di essere al sicuro sotto la
protezione del mondo intero: come i Musulmani a Srebrenica, anche quelli di
Cana si sbagliavano.
Di fronte al quartier generale ONU in fiamme che ospitava il battaglione
proveniente dalle isole Fiji, una ragazza tiene tra le braccia il corpo di
un uomo dai capelli grigi con lo sguardo fisso su di lei, e lo culla
piangendo e gridando le stesse parole all’infinito: “Mio padre, mio padre”.
Un soldato ONU è in piedi in mezzo a un mare di cadaveri e, senza dire
niente, tiene sollevato il corpo di un bambino senza testa.
“Gli Israeliani ci avevano appena detto che avrebbero fermato i
bombardamenti nella zona!”, afferma un altro Casco Blu, scosso dalla rabbia.
“Dobbiamo per caso anche ringraziarli per tutto questo?” Nelle rovine di un
edificio in fiamme – la sala conferenze del quartier generale ONU di Fiji –
un ammasso di cadaveri sta bruciando; il tetto è caduto sopra di loro
incenerendoli di fronte ai miei occhi. Camminando in quella dichiarazione
scivolo su una mano amputata…
Il massacro perpetrato da Israele in questi terribili dieci giorni di
offensiva – 206 civili uccisi, fino alla notte scorsa – è stato così feroce
e sfrontato che nessun Libanese riuscirà mai a perdonarlo. La scorsa
domenica ci sono state ambulanze colpite, le sorelline uccise a Yohmor il
giorno prima, la bimba di due anni decapitata da un missile israeliano 4
giorni fa. E sempre ieri (18 aprile 1996, ndr), prima di Cana, gli
Israeliani hanno ucciso una famiglia di 12 persone, tra cui un neonato di
soli 4 giorni, con un razzo lanciato da un elicottero direttamente sulla
loro casa.
Poco tempo dopo la carneficina di Cana tre jet israeliani hanno sganciato
bombe a solo 250 metri di distanza da un convoglio umanitario guidato
dall’ONU nel quale viaggiavo, facendo saltare per aria una casa di fronte a
me. La notte scorsa, mentre stavo tornando a Beirut per completare il mio
articolo sul massacro di Cana da spedire all’Independent, vidi due navi da
guerra israeliane sparare a macchine di civili che attraversavano il ponte a
nord di Sidon.
Qualsiasi forza di interposizione straniera è destinata a fallire in Libano;
il massacro di Palestinesi a Sabra e Chatila da parte delle milizie
filo-israeliane nel 1982 ne è la riprova. Ora gli Israeliani si sono
macchiati un’altra volta di sangue a Cana, la piccola e squallida città di
collina dove i Libanesi credono che Gesù abbia trasformato l’acqua in vino.
… Il sangue dei profughi scorre letteralmente a fiumi nell’edificio ONU
distrutto dalle bombe, in cui gli sciiti avevano inutilmente cercato rifugio
dalle devastazioni del Libano meridionale (tra l’altro, seguendo l’ordine di
evacuazione dato dagli Israeliani qualche giorno prima). I Caschi Blu
francesi e quelli provenienti da Fiji spostano con fatica un altro gruppo di
cadaveri, li avvolgono nelle coperte con le braccia strette tra loro.
Un soldato francese mormora a se stesso una sorta di giuramento mentre apre
una borsa in cui sta raccogliendo piedi, dita e pezzi di braccia.
E mentre camminavamo tra queste atrocità, uno sciame di persone faceva
irruzione nell’edificio. Erano giunti fin lì da convogli sparsi partiti da
Tyre e iniziarono a levare le coperte dai cadaveri mutilati delle loro madri
e dei loro figli, urlando Allahu Akbar (Dio è grande!) e a minacciare le
truppe ONU.
Improvvisamente, da truppe ONU e giornalisti, ci eravamo trasformati in
Occidentali, alleati di Israele oggetto di odio e vendetta. Un uomo dalla
folta barba con occhi fieri e la faccia infuriata ci gridò addosso: “Siete
Americani! Gli Americani sono dei bastardi! Siete voi che avete fatto tutto
questo, Americani bastardi!”.
Il presidente Bill Clinton si è alleato con Israele per combattere la sua
guerra contro “il terrorismo” e i Libanesi, nel loro dolore, non se ne sono
dimenticati. Le scuse ufficiali del governo ebraico non sono state altro che
sale sulle ferite. “Vorrei essere imbottito di tritolo per farmi esplodere
tra gli israeliani” mi disse un vecchio libanese.
Per quanto riguarda gli Hezbollah, i quali hanno promesso che Israele
pagherà per tutti i civili uccisi, la loro vendetta non tarderà ad arrivare.
Il nome dell’operazione condotta dagli israeliani (Grapes of Wrath, grappoli
d’ira, ndr) potrebbe purtroppo rivelarsi quanto mai azzeccato.
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La faccia di Herve de Charette era bianca come la morte. Il ministro degli
esteri francesi, vestito elegantemente con un completo e una cravatta blu,
camminava cautamente all’interno dell’edificio ONU teatro del massacro di
una settimana prima (18 aprile 1996, ndr), scuotendo diplomaticamente il
capo mentre un comandante ONU gli descriveva i 12 minuti in cui le bombe
israeliane fecero a pezzi più di 120 profughi, le parti dei cadaveri che i
suoi soldati dovevano raccogliere, le difficoltà per identificare gli arti
maciullati di un bambino. Il signor De Charette ascoltava con disgusto. Fu
allora che si trovò di fronte ad una sopravvissuta.
Fawzaya Zrir, una piccola e fragile donna con indosso una sciarpa, raggiunse
il ministro degli esteri francese e cominciò a parlargli in un misto di
amore e rabbia. “Per noi, la Francia è come nostra madre e Dio è il nostro
padre” disse sorridendo al suo fortunato e casuale interlocutore in una
retorica che avrebbe potuto essere scritta dai portavoce a Quai d’Orsay.
Poi le cose cominciarono ad andare storte. “Noi abbiamo visto l’inferno”
continuò la signora Zrir “La gente è stata fatta a pezzi dalle bombe
israeliane. Sanguinavano, queste persone. Avrebbe dovuto vedere le loro
teste.”
Alla destra del ministro francese, un libanese traduceva a bassa voce quelle
tremende parole. De Charette cominciò a sentirsi a disagio. “Abbiamo vissuto
qui da 40 anni ed ora siamo trattati come animali,” pianse la donna. “Sapete
cos’hanno fatto i cani la notte dopo il massacro? Erano affamati e li ho
visti addentrarsi nelle rovine per mangiare dita e altri pezzi dei nostri
morti.”
De Charette la fissò come se avesse visto un fantasma. Questo non faceva
chiaramente parte del programma in cui il ministro degli esteri avrebbe
dovuto pranzare frugalmente al quartier generale ONU a Naqqoura, farsi
fotografare sul tetto distrutto dell’edificio ONU ed essere protagonista di
una conferenza stampa di tre minuti per dare un’impressione di disponibilità
verso i Libanesi, per poi tornare velocemente sulla costa e volare in
elicottero fino a Beirut; insomma avrebbe dovuto fare tutto ciò che avrebbe
potuto accrescere il tanto strombazzato amore francese per il Libano. E la
realtà non avrebbe dovuto far parte del programma.
Un soldato ONU fu abbastanza brusco parlando in quella situazione. “Questo
posto si trasformerà in uno di quegli orribili luoghi di pellegrinaggio per
i potenti”, mormorò. “Boutros-Ghali ha inviato qui i suoi emissari oggi, per
esprimere il loro orrore. Ma non faranno niente di più di ciò che hanno
fatto a Srebrenica. Mostreranno il loro dissenso e poi se ne infischieranno
di tutto. Neppure ora avranno le palle per condannare Israele per questa
atrocità”.
Il problema è che… né gli USA né l’Europa condanneranno una nazione che ha
riversato sui profughi di Cana bombe da 155mm per 12 minuti; e una condanna
di questo tipo può essere il solo palliativo che i Libanesi potrebbero
accettare per ora.
Non è assolutamente difficile capire il loro punto di vista. La scorsa notte
sulla strada costiera per Beirut c’erano auto in fiamme, civili (3 dei quali
feriti) deliberatamente puntati da navi da guerra israeliane a nord di Sidon.
Se fosse stata una nave siriana a bombardare dei civili israeliani sulla
strada che va da Haifa a Tel Aviv, sicuramente il signor Clinton avrebbe
(giustamente) biasimato quest’atto, definendolo “terrorismo internazionale”.
Ed invece non una singola parola di condanna per lo scandaloso massacro di
civili libanesi è stata espressa dai ministri degli esteri di Stati Uniti,
Russia, Francia e Italia nei loro tentativi di porre fine ad una guerra
apparentemente inarrestabile.
Robert Fisk
Fonte: http://www.jewwatch.com
Link: http://www.jewwatch.com/jew-genocide-palestinian-qana.htm
18.04.1996
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da ANDREA GUSMEROLI
E' possibile vedere dei video relativi alla strage di Cana del 18 aprile
1996 sul sito di
GNN TV
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