Negli ultimi mesi c'è una specie di tabù di cui si fa a meno di parlare sui
media occidentali, a meno di avvenimenti eccezionali (come ad esempio attacchi
contro le truppe italiane), di Iraq se ne parla sempre di meno. Eppure nella
sola giornata di martedi a Khan Bani Saad, nella zona sciita, sono morte 7
persone, altre 6 in diverse zone dell'Iraq per via degli attacchi della
guerriglia e nel quartiere di Mansour a Baghad altre 5 persone sono morte per lo
scoppio di una autobomba. Come mai nessuno ne ha fatto cenno? E' senza dubbio
vero che queste notizie ormai non fanno più audience, visto che questo bagno di
sangue continua ininterrotto ogni giorno, ma ciò non toglie che questo velo di
silenzio assurdo che sembra calato sull'Iraq lasci decisamente perplessi.
Diciamocelo francamente: che gli Stati Uniti abbiano ormai perso la guerra in
Iraq è un segreto di Pulcinella. In un rapporto segreto reso noto pochi giorni
fa dal Washington Post, persino gli stessi alti comandi dei marines della
provincia di Anbar definiscono la situazione come "senza ritorno" ed affermano
che "gli Stati Uniti non hanno più alcuna prospettiva di vincere politicamente
in Iraq".
Il rapporto afferma specificamente che "non esiste alcuna istituzione
governativa irachena funzionante nella provincia di Anbar" e che il vuoto di
potere è stato "riempito dalla presenza dei gruppi guerriglieri legati ad
al-Qaeda in Iraq, che sono diventati la principale e più significativa forza
politica della provincia". Anbar è una provincia chiave dell'Iraq. Di questa
provincia fanno parte le città di Ramadi e Fallujah, nonchè l'intero Triangolo
Sunnita fino ai confini con Giordania e Siria, terre di manovalanza e di
propaganda per la guerriglia antiamericana. La mancanza di controllo di questa
provincia, definita "senza legge", significa, de facto, l'impossibilità di
controllare l'Iraq da parte degli americani.
La situazione è infatti talmente disastrata che lo stesso Zbigniew Brzezinski,
ex potentissimo collaboratore di diversi presidenti americani e fino a poco
tempo fa dichiarato sostenitore della dottrina Bush, in una intervista
rilasciata allo Spiegel ha dichiarato che la possibilità di vittoria in Iraq è
ormai talmente remota da poter essere paragonata alla probabilità
"dell'esistenza della fata Morgana". Ha quindi chiesto all'Amministrazione
americana di intavolare al più presto delle trattative con gli iracheni per
stabilire un piano chiaro per il ritiro delle truppe americane dall'Iraq, con
l'aiuto degli altri Paesi arabi della zona che potrebbero inviare truppe per
stabilizzare la situazione una volta che gli americani dovessero abbandonare il
Paese. E se persino Brzezinski la pensa in questo modo, significa che anche
all'interno delle elite dominanti americane si è insinuato il dubbio che questa
guerra sia davvero persa.
Non è finita qui. Quando la settimana scorsa la Commissione Intelligence del
Senato ha rilasciato la versione declassificata del suo rapporto sull'Iraq, il
presidente repubblicano della Commissione medesima, Pat Roberts, aveva definito
tale rapporto una "semplice rivisitazione di accuse partigiane senza alcun
fondamento". Eppure il 5 febbraio 2003, l'allora Segretario di Stato, Colin
Powell, era stato fin troppo chiaro nel collegare l'Iraq agli attacchi
terroristici contro gli Stati Uniti dell'11 settembre 2001: "L'Iraq di Saddam
Hussein protegge un network terrorista comandato da Abu Musab al-Zarqawi, un
collaboratore di Osama Bin Laden e dei suoi luogotenenti di al Qaeda". Ma dopo
due anni di indagini, la Commissione Intelligence ha reso noto che questa
dichiarazione, come tante altre sull'Iraq, era completamente falsa e che Saddam
Hussein non ha avuto contatti di alcun tipo con al Qaeda prima della guerra. Il
senatore democratico John Rockfeller ha affermato a questo proposito che "si è
trattato di una manipolazione assolutamente cinica" per convincere il popolo
americano ad andare in guerra. Ed é andato anche oltre, affermando che "il mondo
sarebbe assolutamente migliore oggi se gli Stati Uniti non avessero deciso di
invadere l'Iraq, anche se questo avrebbe significato Saddam Hussein ancora al
comando del Paese".
Tutte queste dichiarazioni hanno decisamente senso se si pensa che a distanza
di quasi 3 anni e mezzo dall'inizio della guerra il risultato finale di questa
avventura militare è il seguente: un Paese che prima della guerra non aveva
alcuna intenzione di attaccare gli Stati Uniti e non proteggeva nessun
terrorista, come affermato dalla Commissione Intelligence, adesso è diventato
una minaccia per tutti i Paesi della regione e non solo, nonché il Paese dove i
terroristi fanno il buono ed il cattivo tempo senza nessuno che li possa
fermare. Di sicuro si tratta del peggior incubo mai vissuto dagli americani dai
tempi della guerra in Vietnam. Un risultato degno di nota per quella che ormai
tutti definiscono come la peggiore Amministrazione americana del dopo guerra
fredda. Peccato che, a novembre, quando gli americani se ne renderanno conto e
mostreranno con il loro voto cosa pensano adesso di questa Amministrazione
fallimentare, sia ormai troppo tardi per cercare di cambiare le cose.
Esiste anche la possibilità, paventata a dire il vero soprattutto da ambienti
vicini alla Casa Bianca, che un eventuale Congresso in mano democratica, dopo le
elezioni di mid term di novembre, possa decidere di intraprendere le necessarie
misure per riprendere in mano la situazione degenerata, aprendo una procedura di
indagine sull'Amministrazione Bush che possa portare eventualmente
all'impeachment del presidente e del suo staff per aver mentito dinanzi al
popolo americano. Quello che sembra comunque sicuro è che in ogni caso i danni
compiuti da questa Amministrazione peseranno ancora per molto sull'immagine
internazionale degli Stati Uniti d'America e che, questi ultimi, dovranno
imparare a convivere in un mondo del quale non sono più i padroni assoluti, ma
dei semplici attori come gli altri, anche se ancora potentissimi. In ogni caso,
qualsiasi cosa possa accadere, la Cina, erede predestinato della superpotenza
americana, ringrazia sentitamente e si prepara sempre di più a riempire il vuoto
di potere che viene lasciato dal declino americano.
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