fagocitati dalla paura dell’invasione americana imminente,
pronti, almeno nella capitale, a rifugiarsi in quel grande
rifugio atomico che è la metropolitana. Un paese dove il
37% dei bambini sotto ai 7 anni è denutrito. Un paese
militarizzato (1,2 milioni di soldati), che rifiuta in
parte gli aiuti umanitari, ma che spende il 23% del Pil
(5,2 miliardi di dollari) in spese militari. Trattative
diplomatiche infruttuose e un isolamento voluto e subìto,
soprattutto dalla Cina, che non vuole privarsi di uno
Stato che fa saltare i nervi agli Stati Uniti. Nel 2003,
quando la Corea del Nord esce dal Trattato di non
proliferazione nucleare, prende il via la linea
diplomatica a sei (Cina, Corea del Nord, Corea del Sud,
Usa, Russia e Giappone) che risulterà fallimentare, cui
faranno seguito le sanzioni imposte dagli Stati Uniti.
Bush, in preda alle giaculatorie ipocrite sulla guerra
preventiva al terrore, ha dichiarato la Corea del nord no
“Stato canaglia”, insieme con Iraq e Iran; e Pyongyang ha
deciso di entrare nell’elenco dei paesi dotati dell’arma
atomica. Che ora diventano nove: Cina, Francia, Gran
Bretagna, Russia, Usa e, fuori dalla carta straccia del
TNP, India, Israele, Pakistan e, appunto, Corea del Nord.
Nonostante gli intenti nobilmente assunti all’insegna del
disarmo della non proliferazione nucleare, di messa al
bando di test nucleari e di controllo della
commercializzazione di armi, la comunità internazionale,
le cui bandiere sventolano nobilmente insieme alle pagine
della Carta delle Nazioni Unite, ha accumulato un arsenale
nucleare di tutto rispetto: 27mila testate nucleari.
Un mondo armato fino ai denti e un Consiglio di Sicurezza
che dovrà cercare di tenere sotto controllo il nuovo
arrivato nel club nucleare. Ammesso che ciò sia
effettivamente così.
Già perché ci sarebbe da aggiungere che il test nucleare
sotterraneo nord coreano non convince gli osservatori.
Stati Uniti e Giappone, che sono in grado di monitorare la
zona, sollevano dubbi circa la riuscita del test nord
coreano. Le perplessità nascono soprattutto dal bassissimo
tenore di radiazioni che sarebbe stato rilevato in seguito
all’esplosione. Si pensa quindi che Pyongyang abbia
fallito il test, che abbia testato solo un componente di
un ordigno al plutonio oppure, in ultima analisi, abbia
fatto detonare un ordigno obsoleto.
Al di là di questi aspetti, il test nordcoreano arriva in
una situazione internazionale particolarmente
destabilizzata, soprattutto per le vicende mediorientali e
per la tecnica fallimentare della guerra preventiva al
terrore, che basta e avanza per provocare allarmismo e
reazioni di accalorata condanna della comunità
internazionale intera.
I cinque Paesi con diritto di veto più il Giappone sono
riuniti al Palazzo di Vetro fin da lunedì per cercare di
perfezionare una risoluzione capace di far rientrare le
minacce di uso della forza di Stati Uniti e Giappone con
la prudenza di Cina e Russia.
I primi premono per una risoluzione orientata al Capitolo
sette, che quindi non escluderebbe l’uso della forza,
mentre Russia e Cina propendono per limitarsi
all’applicazione di sanzioni, nell’ottica di riportare
tutti al tavolo diplomatico. Infatti, l'ambasciatore
cinese alle Nazioni Unite, Wang Guangya, ha dichiarato
"credo che ci debbano essere delle azioni punitive, ma
anche che esse debbano essere adeguate" .
Non dimentichiamo che con la risoluzione 1695 del luglio
scorso, arrivata dopo il lancio di missili nel mare del
Giappone da parte di Pyongyang, è stato ufficialmente
richiesto alla Corea del Nord di sospendere le sue
attività nel campo dei missili balistici e,
conseguentemente, imposto ai membri dell’Onu di non
trasferire al regime nordcoreano materiali o tecnologie
che possano aiutarlo a mettere insieme armi di distruzione
di massa.
Pyongyang però rilancia e fa sapere che se arriveranno
provvedimenti dal Consiglio di Sicurezza la sua risposta
sarà molto dura. Aggiunge anche che, qualora fossero
imposte sanzioni contro la nordcorea, saranno valutate
come una dichiarazione di guerra. L’agenzia di stampa
Yonhap riferisce quanto avrebbe dichiarato un funzionario
nordcoreano con sede a Pechino:"Più pressione ci mettono,
più forte sarà la nostra risposta". Dal quotidiano
sudcoreano Hankyoreh un diplomatico dell’ambasciata
della Corea del Nord a Pechino avrebbe rilevato come alle
eventuali sanzioni “siamo già abituati”. Pyongyang inoltre
mette sul tavolo la minaccia di un lancio di missili
nucleari in mancanza di concessioni da parte di
Washington.
Per il Presidente del Consiglio italiano Romano Prodi, il
test nucleare di Pyongyang e “uno strappo alle regole
della convivenza internazionale”. Il ministro degli
Esteri, Massimo D’Alema, che condanna gli esperimenti del
dittatore, ha convocato d’urgenza martedì sera
l’ambasciatore nordcoreano al quale ha rivolto “un forte
monito” ed un appello alla rinuncia del programma nucleare
militare, invitando Pyongyang ad un impegno concreto sul
fronte della diplomazia che possa portare ad una
“effettiva denuclearizzazione della penisola coreana, in
linea con gli obblighi previsti dal Trattato di non
proliferazione nucleare e con la dichiarazione congiunta
dei sei Paesi del settembre del 2005”
La gravità della situazione internazionale, le posizioni
di chi ancora crede che ci siano Stati “armati” più
affidabili di altri e le imminenti decisioni del Consiglio
di Sicurezza impongono la massima attenzione. C’è bisogno
di negoziare, più che di urlare.
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