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 13/10/2006 Corea, Minacce ONU al Caro Leader (Cinzia Frassi, http://www.altrenotizie.org)

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    fagocitati dalla paura dell’invasione americana imminente, pronti, almeno nella capitale, a rifugiarsi in quel grande rifugio atomico che è la metropolitana. Un paese dove il 37% dei bambini sotto ai 7 anni è denutrito. Un paese militarizzato (1,2 milioni di soldati), che rifiuta in parte gli aiuti umanitari, ma che spende il 23% del Pil (5,2 miliardi di dollari) in spese militari. Trattative diplomatiche infruttuose e un isolamento voluto e subìto, soprattutto dalla Cina, che non vuole privarsi di uno Stato che fa saltare i nervi agli Stati Uniti. Nel 2003, quando la Corea del Nord esce dal Trattato di non proliferazione nucleare, prende il via la linea diplomatica a sei (Cina, Corea del Nord, Corea del Sud, Usa, Russia e Giappone) che risulterà fallimentare, cui faranno seguito le sanzioni imposte dagli Stati Uniti.

    Bush, in preda alle giaculatorie ipocrite sulla guerra preventiva al terrore, ha dichiarato la Corea del nord no “Stato canaglia”, insieme con Iraq e Iran; e Pyongyang ha deciso di entrare nell’elenco dei paesi dotati dell’arma atomica. Che ora diventano nove: Cina, Francia, Gran Bretagna, Russia, Usa e, fuori dalla carta straccia del TNP, India, Israele, Pakistan e, appunto, Corea del Nord.

    Nonostante gli intenti nobilmente assunti all’insegna del disarmo della non proliferazione nucleare, di messa al bando di test nucleari e di controllo della commercializzazione di armi, la comunità internazionale, le cui bandiere sventolano nobilmente insieme alle pagine della Carta delle Nazioni Unite, ha accumulato un arsenale nucleare di tutto rispetto: 27mila testate nucleari.
    Un mondo armato fino ai denti e un Consiglio di Sicurezza che dovrà cercare di tenere sotto controllo il nuovo arrivato nel club nucleare. Ammesso che ciò sia effettivamente così.

    Già perché ci sarebbe da aggiungere che il test nucleare sotterraneo nord coreano non convince gli osservatori.
    Stati Uniti e Giappone, che sono in grado di monitorare la zona, sollevano dubbi circa la riuscita del test nord coreano. Le perplessità nascono soprattutto dal bassissimo tenore di radiazioni che sarebbe stato rilevato in seguito all’esplosione. Si pensa quindi che Pyongyang abbia fallito il test, che abbia testato solo un componente di un ordigno al plutonio oppure, in ultima analisi, abbia fatto detonare un ordigno obsoleto.

    Al di là di questi aspetti, il test nordcoreano arriva in una situazione internazionale particolarmente destabilizzata, soprattutto per le vicende mediorientali e per la tecnica fallimentare della guerra preventiva al terrore, che basta e avanza per provocare allarmismo e reazioni di accalorata condanna della comunità internazionale intera.
    I cinque Paesi con diritto di veto più il Giappone sono riuniti al Palazzo di Vetro fin da lunedì per cercare di perfezionare una risoluzione capace di far rientrare le minacce di uso della forza di Stati Uniti e Giappone con la prudenza di Cina e Russia.

    I primi premono per una risoluzione orientata al Capitolo sette, che quindi non escluderebbe l’uso della forza, mentre Russia e Cina propendono per limitarsi all’applicazione di sanzioni, nell’ottica di riportare tutti al tavolo diplomatico. Infatti, l'ambasciatore cinese alle Nazioni Unite, Wang Guangya, ha dichiarato "credo che ci debbano essere delle azioni punitive, ma anche che esse debbano essere adeguate" .
    Non dimentichiamo che con la risoluzione 1695 del luglio scorso, arrivata dopo il lancio di missili nel mare del Giappone da parte di Pyongyang, è stato ufficialmente richiesto alla Corea del Nord di sospendere le sue attività nel campo dei missili balistici e, conseguentemente, imposto ai membri dell’Onu di non trasferire al regime nordcoreano materiali o tecnologie che possano aiutarlo a mettere insieme armi di distruzione di massa.

    Pyongyang però rilancia e fa sapere che se arriveranno provvedimenti dal Consiglio di Sicurezza la sua risposta sarà molto dura. Aggiunge anche che, qualora fossero imposte sanzioni contro la nordcorea, saranno valutate come una dichiarazione di guerra. L’agenzia di stampa Yonhap riferisce quanto avrebbe dichiarato un funzionario nordcoreano con sede a Pechino:"Più pressione ci mettono, più forte sarà la nostra risposta". Dal quotidiano sudcoreano Hankyoreh un diplomatico dell’ambasciata della Corea del Nord a Pechino avrebbe rilevato come alle eventuali sanzioni “siamo già abituati”. Pyongyang inoltre mette sul tavolo la minaccia di un lancio di missili nucleari in mancanza di concessioni da parte di Washington.

    Per il Presidente del Consiglio italiano Romano Prodi, il test nucleare di Pyongyang e “uno strappo alle regole della convivenza internazionale”. Il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, che condanna gli esperimenti del dittatore, ha convocato d’urgenza martedì sera l’ambasciatore nordcoreano al quale ha rivolto “un forte monito” ed un appello alla rinuncia del programma nucleare militare, invitando Pyongyang ad un impegno concreto sul fronte della diplomazia che possa portare ad una “effettiva denuclearizzazione della penisola coreana, in linea con gli obblighi previsti dal Trattato di non proliferazione nucleare e con la dichiarazione congiunta dei sei Paesi del settembre del 2005”

    La gravità della situazione internazionale, le posizioni di chi ancora crede che ci siano Stati “armati” più affidabili di altri e le imminenti decisioni del Consiglio di Sicurezza impongono la massima attenzione. C’è bisogno di negoziare, più che di urlare.


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